Rigenerare migliora il pianeta. Intervista all’architetto Maria Alessandra Segantini

Dall’operazione di retrofit che porterà alla nuova GAMeC, con le sue ricadute sullo spazio pubblico di Bergamo, ai prototipi di scuole circolari, fino gli interventi di rigenerazione urbana: conversazione a tutto campo con Maria Alessandra Segantini, che dirige C+S Architects

Se si volesse individuare il preciso momento in cui, negli ultimi trent’anni, gli architetti Maria Alessandra Segantini e Carlo Cappai hanno iniziato a occuparsi di rigenerazione urbana probabilmente non lo si troverebbe. Seguire la traiettoria tracciata dal loro studio – dalla fondazione del primo nucleo veneziano, nel 1994, fino alle aperture delle sedi di Treviso e Londra, tra concorsi, riconoscimenti e cantieri – equivale infatti a ricostruire un’esperienza professionale che, fin dagli esordi, è stata segnata dall’interesse verso le pratiche rigenerative. Il tema, oggi ricorrente e non estraneo a controversie, è stato affrontato dal duo già attraverso i primi interventi nella città lagunare: lo testimoniano il restauro della Torre Massimiliana, nell’isola di Sant’Erasmo, e il recupero dell’ex-manifattura tabacchi. Parallelamente è stato materia di indagine e analisi per le ricerche condotte a cavallo tra i continenti e nelle aule degli atenei internazionali. Per Cappai e Segantini – rispettivamente professore associato e ordinario di composizione architettonica e urbana, sono stati visiting professors presso MIT, Cambridge Massachusetts, Syracuse University e Hasselt University, n.d.R. – operare nell’esistente è un atto necessario per chi si occupa oggi di architettura. Riflette, infatti, un preciso modo di porsi di fronte al Pianeta, agli ecosistemi territoriali, alle comunità. Proprio queste ultime costituiscono il fulcro (e le reali beneficiarie) dell’esteso lavoro condotto dallo studio nell’edilizia scolastica, che ha guidato le Linee Guida del Ministero sulla progettazione delle scuole italiane.

C+S Architects, rigenerazione urbana Tervuren (Belgio). Crediti immagine: C+S Architects
C+S Architects, rigenerazione urbana a Tervuren (Belgio). Crediti immagine: C+S Architects

Intervista a Maria Alessandra Segantini

Come definirebbe il rapporto di C+S Architects con la rigenerazione urbana?
Abbiamo sempre lavorato sul tema della rigenerazione urbana. Nella maggior parte dei nostri progetti – penso alle riqualificazioni a Pordenone, a Firenze Novoli (nell’area ex Fiat), nella zona della stazione di Bassano, a Venezia sull’isola di Sant’Erasmo, all’area della Ex-Fabbrica Conterie a Murano, all’ex manifattura tabacchi a Piazzale Roma, alla stessa GAMeC, a Bergamo – il brownfield è sempre stato più nelle nostre corde rispetto al greenfield. Realizzate o no, tutte queste opere sono esempi di costruzione sul costruito: non si va a consumare nuovo suolo, ma si lavora per riconnettere brani di città o per offrire spazio pubblico alla comunità, che per noi non è mai composta solo da esseri umani.

Cosa intende?
Forse perché abbiamo cominciato lavorando nella laguna di Venezia, ma biodiversità e paesaggio per noi sono centrali, essenziali tanto quanto gli essere umani. E la rigenerazione urbana permette di migliorare il nostro Pianeta. Negli ultimi trent’anni la Terra ha assistito a situazioni paradossali: abbiamo distrutto foreste, saccheggiato le materie prime, trasformato città e territori. Sul piano sociale abbiamo gentrificato i centri storici e costruito spazi che definiamo “pubblici” ma in cui prevalgono, ovunque, gli stessi brand ed è sostanzialmente impossibile riunirsi, ballare o per i bambini giocare! Questo è lo scenario. Non abbiamo altri pianeti; se non ci fermiamo, non avremo più neppure questo. Ma io credo nel potere dell’architettura.

In quale modo può invertire la rotta, essendo anche parte del problema?
In quanto umani possiamo scegliere: non ci muoviamo solo con l’istinto. Abbiamo usato la tecnica per potenziare noi stessi fino ad oggi; e ora la tecnica si alimenta da sola, al servizio del mercato finanziario globale, che personalmente non intendo con un’accezione negativa. Tutto sta a convincere questa grande forza globale a lavorare a vantaggio del Pianeta. Di conseguenza, in questo momento storico, gli sviluppatori sono gli interlocutori chiave. È tramite loro, e ovviamente con il contributo del pubblico, che noi architetti possiamo migliorare quella porzione di Pianeta che ci viene affidata. Purché seguiamo quella che definisco una “etica planetaria”, che trascende confini e si prende cura del Pianeta e di tutti i suoi abitanti. 

Un ritratto di Maria Alessandra Segantini. Courtesy C+S Architects
Un ritratto di Maria Alessandra Segantini. Courtesy C+S Architects

La rigenerazione urbana secondo C+S Architects

Come si traduce questa posizione in concreto? Prendiamo, per esempio, il vasto intervento di rigenerazione in corso nelle ex-Scuderie Reali a Tervuren, in Belgio.
È l’esito di un concorso internazionale in due fasi, che abbiamo vinto; è uno dei tre cantieri attualmente in corso in Belgio. Stiamo intervenendo in un’area in cui insiste un manufatto di pregio, a ridosso di una successione di laghi e di un parco meraviglioso. Attraverso le ricerche d’archivio, che conduciamo sempre all’inizio di ogni iter, abbiamo scoperto una potenzialità insita nel dislivello del terreno: a differenza degli altri progettisti che hanno partecipato al concorso, abbiamo inserito in quello spazio tutte le dirty functions, liberando così spazio pubblico da restituire alla città e alla comunità. Abbiamo quindi ampliato il parco esistente, aggiungendo un quinto lago per la raccolta delle acque meteoriche e innestando una serie di piccole piazze pedonali. 

In relazione al modo di concepire lo spazio pubblico, riconosce delle vostre strategie ricorrenti? Una sorta di “metodo C+S”?
Lo spazio pubblico è sempre la spina dorsale dei nostri progetti, da quello partiamo per rigenerare gli spazi urbani. A Cascina Merlatanell’intervento di social housing abbiamo abbattuto le recinzioni del lotto, trasformando una ‘geted community’ in una piazza di connessione tra il Villaggio Highrise e il parco. Una piazza identitaria per la comunità che vi abita e che se ne prende cura. Prestiamo inoltre grande attenzione all’acqua, attraverso il recupero di quella piovana: per noi è importante tanto quanto il consumo di suolo. D’altronde siamo veneziani e il campo a Venezia nasce come grande cisterna d’acqua che è anche spazio collettivo. Inoltre cerchiamo di non abbattere alberi, eccetto specie infestanti o in situazioni di criticità: a Lovanio abbiamo modificato un progetto pur di non rinunciare a un albero (e tutto quello che porta con sé, in termini di vita). Anche grazie alle esperienze con i paesaggistici con cui lavoriamo in Inghilterra o in Belgio prestiamo grande attenzione al paesaggio; in particolare nel Nord Europa c’è una sorta di attitudine a progettare micro-environments con specie che risultano gradevoli anche quando non sono in fiore. È un interesse che abbiamo sempre avuto, fin dal progetto a Sant’Erasmo quando abbiamo disegnato gli argini piantando tamerici e recinzioni con cespugli di more invalicabili.

C+S Architects: dall’operazione di retrofit per la GAMeC all’edilizia scolastica

Attesa e curiosità accompagnano il cantiere della GAMeC. A Bergamo si è scelto di non demolire il palasport ellittico, risalente agli anni Sessanta, per farne una sede museale. Forse anche muovendo una critica alle costruzioni ex novo in ambito museale…
Quello di Bergamo non è solo il progetto di un museo: è la concreta occasione per ricucire il tessuto di una città e perfino per inventare un nuovo concetto. Attraverso il retrofit possiamo fare un upgrade della struttura esistente, che in questo caso era stata costruita bene, senza sprecare risorse. Siamo di fronte a un museo che uscirà dai suoi muri: attraverso la nuova piazza (per la quale sta per partire la progettazione esecutiva) sarà possibile fondere l’istituzione museale e Bergamo. La città che si trasforma è essa stessa un museo. Il direttore Giusti ci ha molto supportato in questa idea.

È stata da poco indetta la gara per l’edificio scolastico di Cervignano, che insieme a quelli di Venaria Reale e a Conegliano, rappresenta un’evoluzione del vostro modo di progettare le scuole. 
Quando abbiamo iniziato a occuparci di edilizia scolastica, le strutture erano composte da corridoi e aule. Non c’era nessun tipo di relazione tra psicologia e spazio. Ci pareva che mentre il mondo intorno a noi si trasformava velocemente, la scuola non avesse reagito a un mondo che da stanziale diventava fluido e nomade. Nel frattempo, anche le città cambiavano, i centri si sbriciolavano nelle periferie, il paesaggio coltivato o incolto si riduceva. Abbiamo iniziato a concepire le scuole come reti di queste nuove città, affinché non avessero una connotazione solo funzionale, ma divenissero “piazze”, punti di incontro per famiglie e comunità, specie laddove non esistevano. E ci siamo riusciti: gli edifici di Ponzano e Chiarano sono diventati modelli.

Quali novità caratterizzano i “casi-studio” di Chiarano e Ponzano?
Entrambe hanno impattato tantissimo nella progettazione scolastica in Italia, tra “aule senza mura” (così le abbiamo chiamate nel 2008: sono opache fino a 110 cm e trasparenti sopra quella quota, in modo che quando sono i seduti bambini vedono e seguono gli insegnanti, ma in tutti gli altri momenti possono essere in relazione), tecnologie per il contenimento dei consumi energetici e tante soluzioni anche tecniche. Tra queste ricordo le potenzialità dell’intervisibilità, per scambiare in modo trasversale, e un design intelligente per aprire gli spazi pubblici delle scuole alle famiglie oltre l’orario scolastico: a Chiarano il sindaco ci ha creduto e ha portato la biblioteca dei bambini all’interno della scuola. Lavoriamo molto sulle strutture, definendo nuovi concept strutturali. Più di recente abbiamo deciso di provare a fare un passo avanti.

E siete arrivati ai prototipi di scuole circolari; tre sono in progress in Veneto, Piemonte e Friuli.
Sì, ora usiamo la forma circolare, che per definizione è sinonimo di aggregazione. Ma circolare oggi ha anche un significato tecnico: ragionando sul duplice valore del vocabolo, lo abbiamo associato alla forma, ma anche alla possibilità di smontare l’edificio alla fine del ciclo di vita. Così sono nate queste scuole che cambiano sulla base del diverso rapporto che, negli anni della crescita, gli studenti hanno con lo spazio, lasciando sempre la luce come guida nell’esplorazione e della scoperta. A Venaria Reale le nuove strutture in legno disegnano la soglia con la natura, sottolineando le relazioni con il giardino necessarie per l’educazione dei più piccoli. A Conegliano (scuola primaria) la struttura è sospesa a 2,5 metri da terra, con lucernari zenitali scavati che invitano all’esplorazione e alla scoperta. L’istituto tecnico di Cervignano l’abbiamo concepito con una grande e informale piazza coperta, un auditorium attraversabile e laboratori al piano terra in cui iniziare a stringere relazioni con il tessuto imprenditoriale locale. E, proprio perché tecnica, dispone di una struttura che segue la forza di gravità, con spazi che “danzano” al ritmo della forza di gravità. Le aule sono rivestite in YTONG, i pavimenti sono in sughero. Un materiale naturale, performante e, appunto, smontabile.

C+S Architects, rigenerazione urbana Pordenone. Credits Alessandra Bello
C+S Architects, rigenerazione urbana a Pordenone. Credits Alessandra Bello

Presente e futuro di C+S Architects

Lo studio C+S Architects è nato trent’anni fa. Quali indicherebbe come prossime direttrici della vostra ricerca? 
Sicuramente l’ambito museale, visti i semi piantati con GAMeC. Non un museo-oggetto, come fu il Guggenheim di Bilbao, ma un’occasione per ripensare a come produciamo cultura. Oggi chi va a visitare un museo non dovrebbe essere passivo, ma trasformarsi da consumatore a produttore: la cultura alimenta la costruzione di eredità future. Un’altra prospettiva di ricerca è quella di realizzare edifici sempre più precisi e controllati costruiti off-site e montati in loco con dettagli eleganti che trasformano l’architettura in un oggetto di design.

E tra quelle premiate, realizzate, rimaste su carte o mai andate in cantiere, a quali opere siete più legati?
Non posso non ricordare, di questi trent’anni, tra quelle realizzate, il depuratore di Sant’Erasmo: è stato fondamentale, perché si trattava di rendere un’infrastruttura un paesaggio, provando a fonderla con l’ambiente. E poi il Palazzo di Giustizia di Venezia, che reinventa un archetipo della città come la ‘tesa veneziana’, lo espande in tutte le direzioni: tiene insieme tipologia, etica, istituzione. Tra quelle non realizzate la scuola di Wels, in Austria; al concorso siamo arrivati secondi, ma quel progetto è stato fondamentale per il nostro lavoro sull’edilizia scolastica. Impossibile, infine, non citare l’incompiuta Church for all nations city, in Nigeria, e il concorso che abbiamo vinto a 28 anni, a Venezia: la rigenerazione delle Ex-Conterie a Murano. Progettato fino all’esecutivo e poi sottrattoci da un collega.

Valentina Silvestrini

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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