In che direzione sta andando la nuova architettura italiana?

Architetto ed editore, Matteo Ghidoni è uno dei tre curatori di un progetto di ricerca sull’architettura emergente in Italia, confluito nella mostra “10 architetture italiane”. A conclusione della quale gli abbiamo chiesto un’istantanea dello scenario attuale

Iniziato nell’autunno del 2020 da Matteo Ghidoni, Enrico Molteni e Vittorio Pizzigoni, il primo ciclo di ricerche sul nuovo panorama architettonico italiano (che ha incluso una fase di studio e due cicli di seminari) si è recentemente concluso alla Triennale di Milano con la mostra 10 architetture italiane. Alla rassegna è seguita l’uscita, sul numero 185 di Area, di una prima serie di deduzioni tratte dai tre curatori, che sono anche docenti del Dipartimento di Architettura e Design dell’Università di Genova. Nell’intervista a Matteo Ghidoni, abbiamo provato a tirare le fila di questo primo step, che speriamo non resti un episodio isolato ma sia un trampolino di lancio per approfondire questa indagine. Oltre che per avvicinare giovani studi rimasti, sinora, “silenti”.

Vista dell’allestimento della mostra “10 architetture italiane”, Triennale Milano, foto © Gianluca Di Ioia

Vista dell’allestimento della mostra “10 architetture italiane”, Triennale Milano, foto © Gianluca Di Ioia

INTERVISTA ALL’ARCHITETTO MATTEO GHIDONI

Iniziamo dalle basi del vostro percorso di ricerca: quali sono i confini entro cui vi siete mossi?
Per evitare che la ricerca fosse inutilmente disomogenea, l’abbiamo concentrata tra i progettisti under 35 che avessero già costruito, o avessero opere in fase di costruzione. Il terzo criterio è stato quello di presentare l’architettura e non la biografia degli studi.
Il primo scaglione è stato presentato online nell’ambito del dottorato del Dipartimento di Architettura e design dell’Università di Genova, in un seminario di tre giorni a maggio 2021: i 15 studi invitati hanno raccontato una loro architettura costruita. A gennaio 2022, con Altre 15 architetture italiane, in Triennale Milano, abbiamo mostrato ulteriori 15 nuovi progetti, sebbene gli studi fossero in parte gli stessi del primo ciclo di seminari. Le deduzioni di questa selezione sono state tratte su un numero speciale di Area, dove ci sono tre saggi dei tre curatori e di due invitati (Asli Çiçek e Moisés Puente). I 18 studi individuati sono FONDAMENTA, AMAA, Associates Architecture, VG13 Architects, casatibuonsante architects, Supervoid, SuperSpatial, Fondaco Studio, Pietro Servalli, Be.St., WAR, NM3, Studio Ossidiana, Alessandro Bava, (ab)Normal, Armature Globale, Vitali Studio, Parasite 2.0.

SuperSpatial, Borgo Ognissanti a Firenze. Zona d’ingresso © Delfino Sisto Legnani, Alessandro Saletta

SuperSpatial, Borgo Ognissanti a Firenze. Zona d’ingresso © Delfino Sisto Legnani, Alessandro Saletta

Come siete poi arrivati alla mostra in Triennale?
Il tentativo era quello di creare un ritratto collettivo. Visto il buon riscontro anche del secondo seminario, abbiamo chiesto alla Triennale di organizzare una mostra. Per spazi e budget a disposizione, non era percorribile coinvolgere tutti gli studi, soprattutto perché a ognuno era stato chiesto di realizzare un modello in scala 1:5, su misure di base predefinite, di una delle loro architetture. Nell’allestimento, oltre ai totem che si guardano tra loro come un’assemblea, c’erano due fotografie d’autore a progetto e un libro di sala, presto disponibile anche in una pubblicazione. Così è nata 10 architetture italiane.

Cosa accomuna i dieci studi scelti per l’esposizione?
Oltre agli input iniziali, abbiamo riscontrato una comune capacità di scelta quando si è trattato di scendere nel dettaglio del modello, una definizione del progetto che ne rendesse la matericità e la presenza fisica, nonostante ne fosse un “estratto”. È emerso, a nostro parere, un dialogo sotterraneo tra studi che si conoscevano dai media ma, in molti casi, non si erano mai incontrati. Abbiamo cercato di esplicitare non solo con la mostra, ma soprattutto con i seminari, questo confronto.

AMAA Office, Teatro a Terni. Modello sezione longitudinale, Scala 11333 © Rigon Simonetti

AMAA Office, Teatro a Terni. Modello sezione longitudinale, Scala 11333 © Rigon Simonetti

METODO, VISIONE E PROSPETTIVE DELL’ARCHITETTURA EMERGENTE IN ITALIA

Da questo dialogo siete riusciti a trovare caratteri comuni tra gli studi selezionati?
Ci sono sicuramente caratteri comuni, non tanto dal punto di vista stilistico e formale quanto piuttosto in una forma di ottimismo nei confronti delle occasioni lavorative che hanno e di quelle potenziali future: senza lasciarsi sfuggire nulla, anzi, anche la più semplice delle commesse diventa progetto degno di nota. Hanno tutti un percorso di ricerca alle spalle, grande senso pratico e una grande attenzione alle opportunità che gli si propongono. Studiano materiali e tecniche costruttive con grande impegno portandosi fuori dagli studi e dentro il percorso formativo, e questo genera un forte senso del mestiere, quasi sorprendente per la loro età. In occasione del numero di Area, ho avuto modo di fare uno studio visit: un’altra cosa che ho notato è stata l’organizzazione metodica dell’organigramma dello studio. Quest’esperienza sicuramente proviene dalle esperienze di praticantato, ma è costantemente efficientata.

E nei confronti della comunicazione del proprio lavoro qual è la posizione di questi studi?
In realtà quello che è emerso è controintuitivo. Sono talmente immersi in questo tipo di società mediatica che non è qualcosa che li ossessiona, anzi mostrano una forma di ingenuità nei confronti soprattutto dei social. “A noi non interessa mostrare pezzi di colonna in cantiere” – affermano molti di loro – “ma piuttosto la forma finale di ciò che abbiamo progettato”.
Sono infatti ancora dell’idea che la rivista, con il suo filtro critico, abbia maggiore valenza. Non affermerei dunque che, come si dice, questa generazione sia ossessionata dall’immagine: l’hanno assorbita e in parte superata per tornare sempre verso la legittimazione della carta stampata. Molto importante è, invece, la comunicazione interpersonale, con i clienti quanto con i costruttori, un dialogo e uno scambio che riporta l’architettura a una forma tradizionale, si può dire.

Fondamenta, Villa RP02 in Val di Noto Vista esterna in costruzione © Mikael Olsson

Fondamenta, Villa RP02 in Val di Noto Vista esterna in costruzione © Mikael Olsson

Oltre ai pregi, quali sono le mancanze che avete riscontrato?
Sicuramente le più evidenti sono di genere e geografiche. La componente femminile c’è, ma solo in alcuni raggruppamenti, almeno da quanto abbiamo incontrato sinora. Anche il dato geografico è rilevante: la maggior parte si è formata tra il Nord Italia e la Svizzera, dove lavora. Speriamo anche per questo che non si fermi qui la ricerca.

E hai riscontrato una concreta volontà, da parte di questi studi, di costruire in qualche modo una comunità?
Sicuramente c’è stato un incremento di dialogo tra loro, e confronto, sulla gestione delle commesse. A noi quello che interessava era far emergere, oltre alla capacità personale dei singoli studi di costruirsi contatti e committenze di valore, anche la difficoltà, tutta italiana, da parte delle istituzioni di generare lavoro. Ancor più riscontriamo una reale disattenzione riguardo proprio all’architettura cosiddetta “italiana”. Lo si nota, in particolare, a confronto con Paesi come Francia, Spagna o Portogallo che veicolano, indagano e promuovono la propria architettura. Speriamo che la Triennale di Milano, come istituzione, voglia proseguire con noi questo cammino di ricerca e di promozione dell’architettura italiana. I partecipanti, inoltre, erano inizialmente scettici in merito alla ricerca, ma sicuramente oggi ne riconoscono il valore; sono grati e felici di farne parte.

Parasite 2.0, Galeria e Bregdetit a Valona, Albania. Lo spazio per le residenze d'artista © Giaime Meloni

Parasite 2.0, Galeria e Bregdetit a Valona, Albania. Lo spazio per le residenze d’artista © Giaime Meloni

L’IMPORTANZA DEL DIBATTITO SULL’ARCHITETTURA ITALIANA CONTEMPORANEA

Non si può non riconoscere, ai curatori di questa prima rassegna sul panorama architettonico italiano ultra-contemporaneo, una volontà di definire una linea di riflessione su cosa stia succedendo, oggi, nel nostro Paese. Senza la pretesa di esaustività o di assoluto, l’evidente criticità dell’assenza di un dibattito davvero attivo fuori dalle riviste e nelle istituzioni/Ministeri lascia ancora perplessi sulle vere possibilità di scardinamento di alcune farragini burocratiche che limitano le possibilità a molti giovani studi di partecipare attivamente alla res publica, all’architettura di tutti. Una piccola provocazione, anche con queste righe, che speriamo non resti un caso isolato.

Flavia Chiavaroli

http://www.salottobuono.com/806

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Flavia ChiavarolI

Flavia ChiavarolI

Architetto, exhibition designer e critico freelance. Osservatrice attenta e grande appassionata di architettura ed arte moderna e contemporanea riporta la sua esperienza nell’organizzazione di workshop, collabora con artisti e fotografi e aggiornando i principali social network. Dal 2012 si occupa…

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