A Scampia inaugura una nuova sede dell’università (ma sembra un carcere)

È un bene che il complesso scenario di Scampia accolga la nuova sede dell’Università Federico II, ma stupisce la scelta architettonica di Gregotti: un cilindro respingente, che non parla certo la lingua dell’inclusione e dell’apertura

Lunedì 17 ottobre a Scampia ha inaugurato il nuovo complesso della Federico II, in costruzione dal 2006: nell’edificio si terranno i corsi di Laurea Triennale e Magistrale per le professioni sanitarie della facoltà di Medicina e Chirurgia. Si tratta di un’importante apertura dell’università alla periferia nord – una delle periferie più difficili di Napoli –, voluta fortemente dall’ateneo e, spiritualmente, da tutta la città.
È evidente quanto la decisione di realizzare una sede universitaria proprio dove sorgeva la Vela H – demolita nel 2003 – sia un tassello cruciale per la rinascita di un territorio che è diventato tristemente noto attraverso le stagioni della serie Gomorra, nelle quali questi luoghi, privi di servizi e di attrezzature di qualità, sono stati dipinti come il regno incontrastato della camorra: lande senza speranza, senza nient’altro che crimine e degrado. Ma, al netto dell’immenso potenziale umano e della presenza, a Scampia, di innumerevoli associazioni che forniscono un aiuto concreto a chi rischia di finire nella rete del Sistema, è pur vero che il quartiere sconta una pena che, Gomorra o meno, è un’ipoteca sul futuro di chi ci vive.

La nuova sede dell'Università Federico II a Scampia. Ph. Francesca Albanese

La nuova sede dell’Università Federico II a Scampia. Ph. Francesca Albanese

OCCHI PUNTATI SU SCAMPIA

E per dare un giudizio sul lavoro compiuto da Vittorio Gregotti – l’archistar novarese scomparso nel 2020, autore dell’edificio – è necessario fare un passo indietro e osservarne più da vicino il sito. Perché, con buona pace di chi, giustamente, domanda una maggiore scolarizzazione per le periferie, bisogna anzitutto prendere atto della correlazione profonda tra il sentimento antisociale che qui monta e i quartieri dormitorio, parti immense di una città matrigna che innescano una implacabile voglia di rivalsa: zone che cadono a pezzi, progettate male e costruite peggio, magari spendendo quattro soldi, mai pulite o manutenute, che giacciono abbandonate, inascoltate, sommerse dal pattume. Sono posti feriti, dolenti, dove la dignità di chi ci abita è violentata fin dalla nascita. Perché ciò che vediamo, ciò che ci circonda e con cui interagiamo attraverso lo sguardo fin da bambini, non è affatto una faccenda secondaria. Al contrario, riguarda direttamente il modo che sviluppiamo di percepire noi stessi, il posto che il mondo ci suggerisce – ci obbliga? – di occupare, proprio come un imprinting: in questi anni le neuroscienze hanno dimostrato che i luoghi hanno il potere di influenzare direttamente la psiche e dunque il comportamento umano; non è difficile allora immaginare che ciò che ci accoglie – e tanto più ciò che non ci accoglie affatto o, addirittura, ci respinge – è la prima delle ricchezze o delle condanne che il mondo ci offre.

La nuova sede dell'Università Federico II a Scampia. Ph. Francesca Albanese

La nuova sede dell’Università Federico II a Scampia. Ph. Francesca Albanese

LA NECESSITÀ DI UN’ARCHITETTURA ACCOGLIENTE

La questione è ancora più critica per le aree pianificate e realizzate negli ultimi sessant’anni secondo gli standard dell’edilizia popolare, complice una cultura architettonica forse ingenua, forse un tantinello rigida e autoritaria: edifici concepiti con l’idea di riprendere la struttura dei palazzi storici e che, però, privi di storia, di stratificazione e complessità, semplificati all’osso, realizzati con materiali scadenti e ingigantiti per mille, finiscono per somigliare a delle prigioni. Delle prigioni calate sul terreno dall’alto, secondo geometrie astratte, meccaniche, elementari ma gigantesche, che producono spazi esterni ineluttabilmente distopici, mai raccolti, sempre alienanti; l’opposto di quelli ricchi di variazioni, compatti e intimi dei nostri splendidi centri urbani. Perché in fondo è questo il senso di ciò che comunemente chiamiamo bellezza a proposito di città e architettura: la capacità di essere concavi, come un abbraccio, cioè di innescare incontri, di farci sentire a nostro agio, di invogliarci a sederci su una panchina a darci un bacio o a scambiare due chiacchiere; e ciò accade non per caso nelle piazzette di pietra tutte storte e pullulanti, nelle stradine strette piene di alberi, tavolini e bancarelle.

La nuova sede dell'Università Federico II a Scampia. Ph. Francesca Albanese

La nuova sede dell’Università Federico II a Scampia. Ph. Francesca Albanese

LA NUOVA SEDE DELL’UNIVERSITÀ FEDERICO II A SCAMPIA

E qui veniamo alla nuova sede della Federico II. L’università per Scampia, l’università che si apre alla periferia, forse avrebbe dovuto essere organismo davvero capace di invertire la tendenza, di lenire l’abbandono che si sente addosso girando le stradone a trenta corsie lontane anni luce dalle mastodontiche facciate residenziali figlie di una tenebrosa catena di montaggio. Un’architettura che finalmente accoglie i luoghi del suo intorno, che sceglie di proteggerli, di colmare e riscaldare i vuoti siderali che una concezione un po’ troppo idealista – ideologica? – dell’architettura ha prodotto, indisturbata, per decenni. E, invece, Gregotti, che proprio di quella concezione è stato alfiere per tutta la vita, ha progettato per Scampia un torrione severo, cupo, pesantissimo, che s’innalza tra i poveri palazzi sparpagliati intorno come un fortino sulla terra conquistata e appena rasa al suolo.
Anziché dare corpo a una università ospitale, l’architetto di Novara realizza una vera e propria roccaforte, usando quella che, tra tutte, è la geometria meno relazionale: il cilindro, sempre convesso, sempre altero, sempre chiuso e respingente. Come se, non senza una punta di sadismo, si dicesse “dove sorgeva la fortezza della camorra, ecco, adesso sorge la fortezza della cultura”. E così, la sensazione che si ha passeggiando intorno alla massiccia torre panottica è quella di stare perpetuamente all’esterno, in quella che, se prima era una periferia priva di un degno spazio urbano, adesso è un carcere a cielo aperto, tenuto costantemente sotto controllo come la Terra di mezzo sorvegliata dalla torre di Sauron.
E dentro? La sensazione non cambia di una virgola, anzi si rinvigorisce: l’immenso eppure opprimente atrio cilindrico è una mitragliata di microscopiche finestrelle quadrate, proprio come quelle delle celle di un penitenziario di massima sicurezza. Il coerente spazio interno di un edificio che – se avessimo ancora qualche dubbio – arriva come una sentenza della Cassazione a condannare Scampia all’ergastolo. Tradendo una visione di istituzione – e dell’istruzione e della formazione – che poco sembra avere a che fare con le idee di accoglienza, dialogo e, dunque, di democrazia.

Mario Coppola

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Mario Coppola

Mario Coppola

Mario Coppola è un architetto e scrittore italiano. Insegna progettazione alla Federico II di Napoli e si occupa delle relazioni e dei conflitti tra spazio costruito, comunità e cambiamenti climatici. Ha scritto saggi e racconti fra cui il "Manifesto dell’architettura…

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