Ritorno a Venezia. Parte la Biennale di Architettura 2021

Slittata di un anno a causa della pandemia, la Biennale di Architettura sta per aprire finalmente i battenti a Venezia. Ecco tutte le anticipazioni.

Non pensate che i tempi morti siano inutili. I tempi morti sono molto importanti se servono a comprendere che cosa dovevamo fare, che cosa dovremo fare e quali sono gli obiettivi del nostro agire”. Ufficializzando le date della sua prima Biennale di Architettura come presidente dell’istituzione lagunare, Roberto Cicutto ha citato il regista Ermanno Olmi e invitato a ragionare attorno al concetto di tempo. Un modo per ricomporre il quadro della 17. Mostra Internazionale di Architettura dopo il forzato slittamento dal 2020 al 2021, svoltosi nel segno della fedeltà alla propria identità e allo storico formato. Una “resistenza” che vari osservatori nel corso degli ultimi dodici mesi avevano messo in discussione, interrogandosi sulle potenziali evoluzioni del progetto espositivo e culturale in attesa di dati certi. Ora che la comunità architettonica internazionale, affrancatasi dal bulimico ricorso ai soli strumenti digitali, può fare ritorno a Venezia, adeguandosi al protocollo di sicurezza redatto dalle autorità competenti, non resta che chiedersi quale architettura sarà materia di questa ritrovata analisi de visu, dell’indagine individuale e del confronto pubblico.

HOW WILL WE LIVE TOGETHER?

La mostra How will we live together?, diretta da Hashim Sarkis, non passerà alla storia solo perché il suo svolgimento coincide con una fase storica ancora segnata dalle ombre lunghe della pandemia. Con 112 partecipanti, provenienti da 46 Paesi, si candida piuttosto a essere ricordata per la più cospicua rappresentanza di sempre di progettisti attivi in Africa, America Latina e Asia. Oppure per aver offerto il proprio contribuito nel percorso di demolizione dell’ormai superato stereotipo di una disciplina a trazione maschile: uomini e donne saranno infatti presenti in egual misura, mentre il Leone d’Oro speciale alla memoria è già stato conferito a Lina Bo Bardi.
Certo, sarà una mostra in presenza nel senso più proprio del termine: è nella dimensione fisica dell’Arsenale e del Padiglione Centrale che prendono forma le cinque sezioni o “scale” tematiche – Among Diverse Beings, As New Households, As Emerging Communities, Across Borders e As One Planet. Eppure le estensioni non mancheranno, sia legate all’ormai imprescindibile ibridazione con il digitale, sia di natura interdisciplinare: si va dalla collaborazione con la Biennale Danza – in programma dal 23 luglio al 1° agosto – al programma di incontri Meetings on Architecture, fino all’attesa “mostra nella mostra” Future Assembly, provocatoria collettiva coordinata dallo Studio Other Spaces (SOS) – fondato dall’artista Olafur Eliasson e dall’architetto Sebastian Behmann – con sei co-designer.

Lina Bo Bardi & Edson Elito, Teatro Oficina, São Paulo, 1984. Photo Leonardo Finotti

Lina Bo Bardi & Edson Elito, Teatro Oficina, São Paulo, 1984. Photo Leonardo Finotti

FORTE MARGHERA E GLI EVENTI COLLATERALI

Nella Biennale più diversificata di sempre, almeno sotto il profilo geografico dei partecipanti, il tema del gioco viene analizzato dall’installazione urbana How will we play together?, allestita a Forte Marghera e aperta a tutti. Diciassette gli eventi collaterali ammessi dal curatore, destinati a insediarsi nell’intero tessuto veneziano, in parte occupato anche da alcune delle 63 partecipazioni nazionali di questa edizione. Nell’anno del debutto di Grenada, Iraq, Uzbekistan e Azerbaijan, la Sale d’Armi A dell’Arsenale si conferma la sede del progetto sviluppato con il Victoria and Albert Museum di Londra. Giunto al quinto anno, con la curatela dell’autore e architetto Shahed Saleem, esamina le storie di tre (singolari) spazi adibiti a moschee nella capitale inglese con la mostra Three British Mosques.

CHI È HASHIM SARKIS DIRETTORE DELLA BIENNALE

Nominato direttore della 17. Mostra di Architettura di Venezia a dicembre 2018 dall’allora presidente della Biennale Paolo Baratta, che lo definì “particolarmente sensibile ai temi e alle urgenze che la società, nelle diverse e contrastanti realtà, pone per il nostro abitare”, Hashim Sarkis è architetto, docente, ricercatore. Classe 1964, originario di Beirut, si è laureato in Architettura e in Belle Arti; alla Harvard University ha conseguito un master e un dottorato in Architettura. Titolare dal 1998 del pluripremiato studio Hashim Sarkis Studios (HSS), con sedi a Boston e Beirut, dal 2015 presiede la School of Architecture and Planning del Massachussetts Institute of Technology.
Autore di articoli e libri, fra cui il recente The World as an Architectural Project (2020), scritto con i colleghi Roi Salgueiro Barrio e Gabriel Kozlowski, presentando nel luglio 2019 per la prima volta il tema How will we live together? aveva invitato gli architetti a “immaginare spazi in cui possiamo vivere generosamente insieme”, per rispondere al “bisogno di un nuovo contratto spaziale” in uno scenario segnato da “divisioni politiche acutizzate e disuguaglianze economiche crescenti”.
Più di recente, esaminando il quesito e attualizzandolo alle forme di isolamento imposte dalla crisi sanitaria, ha ribadito che molte delle ragioni che lo avevano ispirato, fra cui, “l’intensificarsi della crisi climatica, i massicci spostamenti di popolazione, le instabilità politiche in tutto il mondo e le crescenti disuguaglianze razziali, sociali ed economiche, ci hanno portato a questa pandemia e sono diventate ancora più rilevanti”.

Valentina Silvestrini

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #59-60

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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