Andare al cuore della sostanza. Intervista allo scultore T-yong Chung

Parla di vuoto, di materia da scoprire e di tecniche legate all’idea di sparizione lo scultore T-yong Chung, presto in mostra presso la collezione privata Cattelani a Modena

Attivo dal 2010 in Italia, T-yong Chung (Tae-gu, 1977) ci ha accolti nel suo studio e ha discusso con noi del suo processo creativo. Nel solco di un dialogo tra oriente e occidente e di una riflessione sulla materia nella quale il vuoto gioca un ruolo fondamentale.

Che cosa ti ha ispirato durante il tuo percorso?
Io ho fatto Brera e poi due anni a Carrara. In Corea ho fatto l’accademia di scultura. Quando sono venuto qui ho scoperto la storia dell’arte del dopoguerra. Ho trovato molti interessi. In Italia c’è molta classicità. E la bellezza mi ha condotto alla contemporaneità. All’inizio del mio percorso ho usato molto ready-made, sedie rotte, assemblaggi.

Come nasce una tua scultura?
Cerco un punto di fusione, un ponte tra occidente e oriente. Ho scoperto un busto della gipsoteca greco-romana levigato. Cerco ciò che è sparito, scomparso: della civiltà antica vedo solo vuoto. Per curiosità ho iniziato a trasformare, con una macchina industriale, un levigatore. Mettevo fisicamente alla prova questo busto di gesso. E questo materiale, quando si leviga, sparisce, diventa polvere e va nello spazio. Perciò io in quel momento ho sentito il senso. Poi ho iniziato a produrre io stesso il ritratto delle persone. Ci sono anche mia madre, mia moglie ma anche personaggi famosi come: John Keats, Testori

T-yong Chung, 2022. Photo © Lorenzo Barbieri Hermitte

T-yong Chung, 2022. Photo © Lorenzo Barbieri Hermitte

LA TECNICA DI T-YONG CHUNG

Puoi parlarmi del gesto compiuto, della levigatura?
Il mio è un gesto complesso. Ho visto il collegamento tra immagine e non immagine, tra orientale e occidentale. Un busto classico che non c’è più, che sparisce, che è scomparso. Si vede solo vuoto e profilo della scultura, molto sottile e delicato. Il gesto è intimo, come andare dentro quello che vediamo. Noi vediamo le persone, ma non sappiamo cosa succede dentro di esse, nella loro testa. Neanche io riesco a capire me stesso. Non sappiamo neanche cosa c’è dentro di noi. Siamo in continuo mutamento, tu cambi, non sei uguale oggi e domani. Ecco, per me la scultura completa è fatta di una parte che rimane e di una parte che sparisce. È la ricerca di una pagina bianca. Levigando vedi lo spazio dentro vuoto. E dimostri il vero, perché alla fine la scultura è un pezzo di pietra.

Queste curve, quando tu agisci su di loro, diventano linee, spigoli, geometria. Crei un contrasto. Quasi mi spaventano.
Non credo che le mie sculture facciano paura. Le mie sculture non sono fatte con violenza, ma con tenerezza. Mentre io levigo cerco il punto giusto per fermarmi e bilanciare la figura, tra pieno e vuoto. Eliminando tutto il materiale visivo. Per trovare l’essenzialità. Attraverso questa pratica, trovo la meraviglia all’interno. La scultura ci mostra l’incanto di questi due lati: la bellezza visiva ma anche la grazia del vuoto, del nulla.

Cosa intendi con “nulla”?
Indago l’essenzialità. Elimino le cose materiali. Trovo una bellezza interna, il senso del nulla, del vuoto. Rimuovo il materialismo occidentale, quel desiderio delle cose che non ti servono, che ti danno fastidio.

T-yong Chung, 2022. Photo © Lorenzo Barbieri Hermitte

T-yong Chung, 2022. Photo © Lorenzo Barbieri Hermitte

CLASSICO E CONTEMPORANEO SECONDO T-YONGCHUNG

Guardando il tuo studio vedo la scultura, vedo il Classico ma anche un’estetica molto precisa. Il tuo lavoro può essere definito “iconoclastico”, tu “cancelli” la faccia. C’è un gesto di guerra?
Quando si rompeva un’icona, questo gesto veniva compiuto per imporre un’idea, imporre e opporre. Nel mio caso non c’è questo. Per esempio nella Collezione Cattelani (uno dei primi a portare Fluxus in Italia; ha lavorato con Gino De Dominicis e Joseph Beuys) c’è molta arte sacra. In quel caso sono stati selezionati Gesù e Maria. Ma in origine, queste statue furono buttate via nelle campagne, in coppia. Io le ho comperate per poco e le ho levigate. Creando un Gesù e Maria contemporanei.

Tu incontri queste persone. Fai la ricerca dell’interno. E quando la termini, sveli il centro. Mostri il vero. Dico questo perché mi dai la possibilità di guardare “attraverso” il materiale. Mi fai vedere cosa c’è dentro, cosa c’è dietro la facciata. C’è dualità nel tuo lavoro. Dimensione doppia: fisica e… musicale.
È la prima volta che qualcuno definisce musicale il mio lavoro. La scultura ci lascia lo spazio per vedere. Nel senso che prima di fare il ritratto di una persona faccio ricerca su di essa, quindi per esempio se faccio Anna Maria Luisa De Medici, cerco tutto, cosa ha fatto, cosa non ha fatto, perché è importante, come sarà lei di carattere. Dopo la ricerca faccio il ritratto. E poi quella traccia che lascio. È come dicevi tu, andare dentro al personaggio e mostrare lo spazio. Aggiungo le domande.

Che messaggio lasceresti agli artisti di domani?
Racconterei questa storia: una volta, un intellettuale era andato a trovare un monaco, per apprendere la sua conoscenza. Infatti il monaco era molto famoso in quanto illuminato dalla sapienza. L’intellettuale trascorreva il suo tempo con il monaco. Ma era turbato perché non sapeva quando fare la sua richiesta. L’intellettuale pensava: “Cosa faccio? Faccio la domanda? Altrimenti passa un anno e questo non mi dice nulla”. Quindi si decide ed esordisce, mentre il monaco pranzava. Dicendo: “Maestro ma io sono qui da un mese, non ho neanche mangiato, come posso ricevere insegnamento?”.  Il maestro risponde: “Tu hai mangiato tutto ora? Allora vai a lavare i piatti”.

Domenico Greco

http://www.t-yongchung.com/

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Domenico Greco

Domenico Greco

Classe 1997, Domenico Greco nasce a Catanzaro. Primogenito di cinque figli, è figlio di Francesco Greco, macchinista, e Giacomina Svelto, signora delle pulizie. Ha due sorelle, Clara Bella e Sofia. Durante l’adolescenza si appassiona all’anatomia grazie agli insegnamenti del padre…

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