La trappola del patrimonio immateriale e il qualunquismo culturale

La lista del patrimonio immateriale tutelato dall’Unesco è sempre più nutrita. Ma è ancora in grado di rappresentare al meglio le espressioni culturali che ci identificano?

L’Unesco è poco più che una burletta. Così titola un articolo de Il Foglio, a firma di Antonio Gurrado, a commento dell’imminente ingresso nella lista del patrimonio immateriale della pratica dello Sbürlar la rôda, tipica della provincia cremonese.
Un’affermazione, quella di Gurrado, che nella sua veridicità apre a due livelli di riflessione.
Perché alla base di questo processo di banalizzazione ci sono due elementi tutt’altro che banali: da un lato una chiara volontà espansiva dell’organizzazione dedicata al patrimonio culturale mondiale, dall’altro una diretta conseguenza della prima, vale a dire la decisione di dedicare una delle proprie liste al cosiddetto patrimonio immateriale.

“La storia del patrimonio immateriale è inclusiva, permette di incrementare le possibilità di consulenza e consente di ottenere finanziamenti”

COS’È IL PATRIMONIO IMMATERIALE

Ora, la storia del patrimonio immateriale ha proprio tutte le caratteristiche che piacciono a una buona parte del mondo della cultura italiano: è inclusiva, permette di incrementare le possibilità di consulenza e consente di ottenere finanziamenti. Oltre a questi elementi ci sono anche caratteristiche più sostanziali: il riconoscimento delle espressioni culturali autonome, che “nascono dal basso” (restando nel lessico della cultura radical chic) e che a differenza delle altre espressioni materiali, non necessariamente sono l’espressione di un “potere dominante”.
Ironia a parte, esistono, in questo riconoscimento della cultura immateriale, indubbiamente degli elementi che rendono tale scelta coerente con il nostro tempo. Quindi bisogna definire subito i confini della riflessione: è essenziale riconoscere il valore del patrimonio immateriale, anche e soltanto perché questa scelta racconta in una prospettiva storica una determinata sensibilità che, fino a 50 anni fa, era forse del tutto inesistente.
Era necessario farne una lista? Una classifica? Probabilmente no. Ma come tutte le organizzazioni internazionali, l’Unesco è una rete di relazioni. E le reti, oggi lo sappiamo tutti, hanno bisogno di crescere per sopravvivere.

Un piatto di pasta al pomodoro

Un piatto di pasta al pomodoro

LA LISTA UNESCO DEL PATRIMONIO IMMATERIALE

Non è la prima volta che chi scrive affronta questo tema: poco più di cinque anni fa, su questa stessa rivista, le titubanze erano pressoché quelle di oggi. Pur riconoscendo l’importanza dell’immateriale, ci si interrogava sulla possibilità di “definire” una classifica tra le espressioni immateriali della cultura, affermando che “stando così le cose, tutte le tradizioni, gli usi e i costumi (come si diceva un tempo), i saperi artigianali, potrebbero divenire patrimonio immateriale”.
Affermazione che si inseriva in una riflessione più ampia e interessata: tutelare la centralità del nostro Paese sotto il profilo del posizionamento turistico-culturale nel mondo, e tutelare allo stesso tempo quel concetto di “unicità” che il “Patrimonio Unesco” rappresentava.
Articolo che, chiaramente, non è piaciuto per niente a coloro che guardano più al concetto di cultura che alla cultura stessa. E che ora come allora probabilmente guarderanno a queste affermazioni con sospetto, perché “ogni espressione culturale ha un valore inestimabile”.
Per carità, verissimo se parliamo di concetti.
Se invece caliamo queste parole che parlano di parole alla realtà, non otteniamo altro che un qualunquismo culturale che sfiora il delirio collettivo.
Affrontando con più attenzione la questione, ci sono due elementi di questo approccio che devono quantomeno essere considerati. Il primo riguarda il rapporto tra la cultura immateriale e l’espressione identitaria che ingloba. È un elemento cui bisogna guardare con attenzione, perché questo portato identitario è tutt’altro che patinato. Chi è nato e ha vissuto sempre in una grande città probabilmente non ha chiara questa percezione, e allora val la pena provare a descriverla.

“Una lista internazionale che certifichi l’importanza delle espressioni culturali non necessariamente è la scelta corretta, perché introduce elementi che sono di fatto del tutto estranei dal portato identitario e culturale che esse esprimono”

CULTURA E IDENTITÀ

L’espressione culturale che è tipica di un territorio è identitaria e viva. Come ogni elemento che è identitario e vivo, si tramanda, si modifica, si integra, si riattualizza. Come ogni elemento che è identitario e vivo, è autentico nella misura in cui lo si conduce senza sovrastrutture filo-turistiche. Ancora, poiché ogni elemento identitario è vivo, genera in chi lo vede come proprio sensazioni molto contrastanti: attaccamento, odio, disprezzo, nostalgia, riconoscimento, affetto, senso di origine. Ce ne sono migliaia di espressioni del genere nel nostro Paese, e la quasi totalità rimanda a tradizioni secolari, quando nei nostri Comuni si viveva ancora di vita contadina: salutare le pecore perché portano ricchezza (transumanza), le feste con i falò al termine della mietitura (raccolto), le feste dedicate alle acciughe, alle galline, e così via.
Una lista internazionale che ne certifichi l’importanza non necessariamente è la scelta corretta, perché introduce elementi che sono di fatto del tutto estranei dal portato identitario e culturale che esse esprimono, alcuni dei quali contengono particolari insidie: la burocrazia e la crescente necessità di fonti di finanziamento esterne.
Si tratta di elementi tutt’altro che neutri, che possono incidere significativamente nel rapporto tra tali rituali collettivi e la comunità che li condivide. Che si tratti di inneggiare al vino, di camminare tra le strade allagate di un piccolo comune, o di ballare intorno a un fuoco, queste espressioni “appartengono” alla comunità, e un approccio che non provenga direttamente da tale comunità può rischiare di indebolirne il legame.

Consorzio del Chianti Azienda Melini San Gimignano-Castellina Siena

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TURISMO E PATRIMONIO IMMATERIALE

Ed è un concetto molto diverso da quella mercificazione turistica tanto paventata. Il turismo, in questi luoghi, esiste, ed è spontaneo, perché da sempre rappresentano giorni di festa e in quanto tali tendono ad essere coinvolgenti.
Ma è un turismo proporzionale, non tanto per numero, ma per modalità di attrazione: è un turismo che cresce con il crescere dell’organizzazione, che a sua volta potrà continuare le proprie attività durante l’intero anno, mantenendo viva e vitale la tradizione culturale.
Inserire in una lista UNESCO può invece denaturare questo tipo di rapporto, che è talmente delicato che basta nominarlo per alterarlo.
Qui non si tratta, dunque, di riconoscere o meno l’importanza della cultura immateriale. Ma si tratta di comprendere se inserire questi elementi in una lista internazionale che tra un po’ diverrà troppo lunga da poter essere realmente indicativa rappresenti o meno il modo migliore di rendere tale cultura immateriale più potente.
Il portato identitario di tali espressioni e la rilevanza culturale delle stesse sono elementi che hanno una dignità e un’importanza enorme. Lo hanno oggi, che sono di moda, ma lo avevano anche quando lo stesso mondo della cultura che oggi vediamo inneggiare alla cultura immateriale guardava alle espressioni popolari con la puzza sotto al naso.
Non dimentichiamolo.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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