Europa e cultura: che cosa manca per essere davvero comunità

Se la coesione fra i Paesi membri dell’Unione Europea si basa solo sull’identità storica, si rischia di non andare lontano. A emergere deve essere una nuova cultura europea, che parta dalla quotidianità e che coinvolga i cittadini

L’Unione Europea che raccontiamo non esiste. Non esiste perché la narrazione adottata risponde poco alla realtà concreta. L’Unione Europea contemporanea, infatti, coincide con la nascita di una moneta unica, e quindi come un progetto di natura economica volto a tutelare i Paesi membri all’interno di uno scenario internazionale sempre più competitivo, che vedeva da un lato il ruolo tendenzialmente egemonico degli Stati Uniti, e dall’altro allarmanti segnali di crescita provenienti da quelli che allora erano definiti Paesi in via di sviluppo.
Non è un caso se Helmut Kohl, ex cancelliere tedesco, a pochi giorni dell’entrata in vigore della moneta unica, si riferiva al territorio aderente come a Eurolandia. Fin da subito, tuttavia, l’intento è stato quello di ancorare una manovra economica in un’operazione culturale. Una scelta che sarebbe stata funzionale se le comunicazioni fossero state ancora dettate dal modello pre-internet. Oggi sappiamo che conosciamo ben poco e condividiamo ben poco delle culture dei nostri partner economici, eppure ogni discorso istituzionale tende a far coincidere l’Europa all’Eurolandia, citando identità storiche profondamente interconnesse.
Il problema è che, nonostante siano trascorsi vent’anni, gli apparati istituzionali perseverano nell’adottare tale narrazione, in attesa che il messaggio reiterato si consolidi nell’identità collettiva degli individui, infondendo dunque loro la sensazione di essere intimamente europei. C’è un motivo per cui l’efficacia di tale narrazione si è rivelata essere meno evidente di quanto auspicato: il motivo è che la narrazione proposta è veritiera per l’Europa, ma non per l’Eurolandia.

“Non serve promuovere storiche radici comuni, serve piuttosto creare nuovi innesti

IDENTITÀ E CULTURA IN EUROPA

Se si guarda al passato, alla nostra storia, sempre più persone sono ormai consapevoli dell’effettiva interconnessione delle nostre culture, ma non è così quando lo sguardo si sposta dalla cultura storica a quella contemporanea. Come se avere radici storiche comuni potesse accomunare culture che sono oggi estremamente differenti tra loro.
Le conseguenze di questo approccio sono tutt’altro che teoriche, ma si traducono in una serie di investimenti economici e culturali necessariamente sub-efficaci. Non serve promuovere storiche radici comuni, serve piuttosto creare nuovi innesti.
La differenza è sostanziale, non tanto in termini di oggetto (radici o innesti), quanto in termini di soggetti da coinvolgere per l’affermazione di una nuova cultura condivisa. Questione che rende immediatamente evidenti le conseguenze di questa riflessione.
Se si intende avvalorare l’identità culturale europea sulla base del trascorso storico, è naturale che i soggetti più indicati siano le Istituzioni: gli Enti Territoriali, i Governi, i Capi di Stato e le Università, soggetti che più che mai hanno portato avanti questa narrazione. Se si intende invece creare una nuova cultura europea, per far sì che Eurolandia possa anche avere delle conseguenze sociali e culturali, allora sarà necessario affidare tale narrazione ad altre categorie di interlocutori: agli individui, alle piccole imprese, alle organizzazioni del terzo settore che si occupano di cultura.

“Serve avere una vita quotidiana comune. Un’informazione comune. Una comicità comune

CULTURA E QUOTIDIANITÀ

Certo, ci sono numerosi programmi di investimento che puntano a questo tipo di produzione, ma la costruzione di tali programmi risponde a una logica istituzionale, a una dimensione burocratica che, naturalmente, meglio risponde a un progetto di natura economica che a un progetto di natura culturale.
In un momento di così intensa sofisticazione di ogni contenuto, le persone tendono a riconoscere le narrazioni di facciata con sempre maggiore arguzia, quasi fosse un nuovo istinto di conservazione. Non hanno bisogno di spiegarne il motivo, sanno che quanto hanno sentito è spam istituzionale. Sentire solo il presidente Mattarella parlare di cultura comune non basta. Serve avere una vita quotidiana comune. Un’informazione comune. Una comicità comune. Possono essere più efficaci i meme di Instagram che un’opera d’arte in un museo.
È una riflessione che bisogna avviare, perché altrimenti le questioni comunitarie saranno sempre più distanti dalla vita delle persone, e finiranno con l’interessare sempre meno. E non necessariamente è una riflessione che deve nascere in ambito istituzionale.
È una constatazione che è doveroso avviare con quanti in Eurolandia ci sono nati, dicendo loro che non devono riconoscere l’importanza storica che li accomuna con un norvegese, quanto piuttosto che il loro compito è quello di costruire un futuro in cui ci sia un’esperienza comune reale. Una battuta che faccia ridere tanto i francesi quanto i greci.  Più che di una lingua, abbiamo bisogno di creare uno slang.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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