Sviluppo territoriale e cultura in Italia: quali strategie adottare?

La cultura è uno strumento davvero versatile per mettere in campo il tanto auspicato, e mai realizzato, sviluppo territoriale in Italia. Ma come fare?

Il nostro Paese vive oggi la vigilia di un periodo che senza dubbio può presentare un momento estremamente positivo per lo sviluppo territoriale: perché ciò accada, tuttavia, è necessario elaborare una visione di sviluppo condivisa da tutte le dimensioni della nostra società civile.
Senza tale visione, senza tale strategia, rischiamo di agire in modo puntuale, agendo su specifici settori, su specifiche carenze che l’Italia presenta da tempo.
La linea politica espressa dal nostro attuale esecutivo è una linea chiara e, per certi versi, condivisibile: il ruolo del Settore Pubblico è quello di creare le condizioni affinché il Paese possa esprimersi nel migliore dei modi. Cercando di lavorare sugli asset disponibili, e agendo, in modo tecnico e competente, per poter gestire le dimensioni di tipo economico e finanziario.
Questa condizione rappresenta forse il terreno ideale per fare emergere una nuova visione del nostro Paese come espressione della società civile nel suo complesso: imprenditoria, settore bancario, enti del terzo settore, accademie e cittadini hanno oggi l’opportunità di definire una traiettoria di sviluppo che nasca dalle esigenze dei territori e in risposta a tali esigenze.

CULTURA E RICADUTE SUL TERRITORIO

La nostra cultura o, meglio detto, il nostro settore culturale e creativo, rappresentano, in questo scenario, un elemento strategico estremamente importante: non solo un segmento imprenditoriale attraverso il quale poter incrementare occupazione e reddito, ma anche uno strumento di narrazione di ciò che il nostro Paese vuole essere e raccontare di sé.
Non si tratta di una visione ideologica ma di una semplice constatazione dei fatti: proveniamo da decenni di incrementi della spesa pubblica non supportati da una crescita della produzione di ricchezza e, nonostante ciò, basta guardarsi intorno per comprendere che tale spesa pubblica non si è rilevata all’altezza delle necessità.
I segni o, se vogliamo, le macerie, del modello sinora adottato sono evidenti: tutte le dimensioni del nostro Paese presentano fragilità strutturali, dal sistema scolastico a quello pensionistico, passando per quello sanitario, sociale, culturale e produttivo.
Per quanto tali evidenze siano note alla grande maggioranza degli italiani, spesso le conclusioni cui si giunge mirano a individuare un colpevole di questa condizione, una specifica categoria cui addossare la totalità delle responsabilità. Si tratta però di riflessioni di comodo, utili a portare a casa qualche punto di gradimento in più nei sondaggi, o una leva su cui fare presa sull’opinione pubblica. Una riflessione meno comoda, ma probabilmente più realistica, dovrebbe iniziare semplicemente a considerare che il modello sinora seguito è sbagliato e che è necessario sperimentare nuove forme di sviluppo del territorio.

Imprenditoria, settore bancario, enti del terzo settore, accademie e cittadini hanno oggi l’opportunità di definire una traiettoria di sviluppo che nasca dalle esigenze dei territori e in risposta a tali esigenze”.

Si tratta di valutare quanto è stato sinora completamente delegato al settore pubblico, e iniziare a considerare ciò che realmente tale settore è in grado di gestire. Si tratta di aderire a un principio di realtà e rendersi conto che è iniquo attribuire al settore pubblico la responsabilità dello sviluppo del territorio, soprattutto se si prende atto che in moltissimi territori tale settore riesce con fatica anche soltanto ad amministrare la cosa pubblica.
Ci sono delle debolezze sistemiche, è vero, così come è altrettanto vero che la nostra pubblica amministrazione è anche il riflesso di assunzioni non sempre incentrate sul merito e sulla capacità. Eppure queste spiegazioni non bastano a spiegare realmente le attuali condizioni del nostro Paese. In questo momento storico così particolare, diviene quindi essenziali formulare delle ipotesi che vadano oltre il mero mantenimento delle condizioni in essere, perché tali condizioni si sono rivelate fallimentari ben prima della pandemia.
È forse seriamente necessario ribadire che il settore pubblico è soltanto una parte della società civile, e che lo sviluppo del territorio necessita invece che la società civile tutta partecipi attivamente alla definizione di processi di crescita. Un cambio di paradigma di questo tipo deve tuttavia essere canalizzato verso settori specifici, verso pilot test che consentano di valutare, sul campo, le principali criticità e le migliori strategie da adottare.
Dati gli asset e le risorse disponibili e tenendo conto delle principali tendenze internazionali sotto il profilo economico e finanziario, la scelta del segmento culturale pare essere quasi obbligata. Da un lato, infatti, se analizziamo lo scenario internazionale, sono pochi i settori su cui possiamo dimostrare vantaggi competitivi come quelli presenti nel settore culturale. Sul versante territoriale, invece, sono poche le industrie che presentano livelli di investimento iniziale così contenuti e con così diversificate ricadute potenziali sull’economia e sul benessere sociale della popolazione.
Il settore culturale, inoltre, si caratterizza per la grande eterogeneità delle sue manifestazioni e ciò lo rende indipendente dalla conformazione geologica e geografica: se le attività estrattive si basano sulla presenza di minerali e materiali nel sottosuolo, la cultura non presenta tale vincolo. In altri termini, se sono presenti musei, o collezioni private, o resti archeologici, è probabile che la spinta imprenditoriale legata al settore sia volta alla creazione di prodotti e servizi che valorizzino tali asset, ma in assenza di tali asset la spinta imprenditoriale può essere volta ad altri segmenti produttivi: spettacolo, digitalizzazione, produzione e scambio di arte, di oggetti di design, produzione e distribuzione di libri, riviste, comunicazione, industrie digitali, ecc. Inoltre la cultura può rappresentare un modo per coinvolgere direttamente i cittadini, magari nella realizzazione di interventi che altrimenti sarebbe troppo costoso realizzare, sia per il settore pubblico che per il settore privato.

CULTURA E NUOVI MODELLI DI SVILUPPO

È dunque intorno all’asset culturale che oggi la nostra società civile ha la possibilità di definire un nuovo modello di sviluppo del territorio: riscoprendo la necessaria condivisione di obiettivi e strategie tra imprenditoria e settore pubblico, con la partecipazione da un lato del mondo accademico e dei centri di ricerca e dall’altro con la partecipazione degli istituti di credito (per il settore imprenditoriale) e degli enti del terzo settore (incluse le FOB) per investimenti non produttivi coerenti con le visioni di sviluppo territoriale identificate e condivise. Soprattutto, intorno all’asset culturale può essere costruita una narrazione in grado di dare un senso concreto a quel concetto di partecipazione diretta della cittadinanza difficilmente applicabile in altri contesti, sviluppando modelli di crowdsourcing e crowdfunding territoriali, con i quali potenziare il livello di partecipazione attiva da parte della cittadinanza.
Realizzare questo tipo di iniziativa non richiede grandi trasformazioni: essa si basa su strumenti già oggi in nostro possesso, e su risorse già oggi disponibili. Richiede esclusivamente un atto di coraggio da parte del nostro Paese, dei nostri cittadini e delle nostre imprese. E una forma più collaborativa di gestione da parte del nostro sistema pubblico, che spesso si trincera dietro iper-tecnicismi, per timori o ideologie.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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