Promozione culturale diffusa: il mondo dei Circoli Arci

Tra soci, volontari e pubblico raggiunge circa 550.000 persone. Una ricerca ha rivelato un mondo vivo, attivo, con una ricca proposta culturale dal basso. Nonostante ciò, il mondo della politica sembra ignorare queste realtà, rendendo ancora più complessi i processi e sottoponendole a ulteriore tassazione

Qual è il ruolo e la dimensione della promozione culturale dal basso, dei centri culturali e degli spazi di comunità in Italia? Questo è il focus dell’autoinchiesta Essere Moltitudine, promossa da Arci nazionale in collaborazione con cheFare,i cui risultati sono pubblicati su www.moltitudine.it e sono stati oggetto di un incontro organizzato nell’ambito del Convegno nazionale Strati della Cultura tenutosi a Modena dal 14 al 16 novembre 2024.

I circoli in Italia

La ricerca intende raccontare desideri e bisogni di una scena culturale che spesso opera ai margini – territoriali e culturali – con la presenza e il radicamento di spazi, mediante forme organizzative e morfologie differenti, che contribuiscono in maniera determinante alla diversificazione dell’offerta culturale del paese.
L’autoinchiesta delinea un quadro sorprendente in termini quantitativi e qualitativi, una moltitudine di 417 spazi per un totale di metri quadri equivalente a 88 campi di calcio e per un coinvolgimento di pubblico che, solo nel 2023, è paragonabile alla popolazione residente di Genova.
Tante città, un’altra Italia che pratica cultura, socialità e aggregazione come azione di prossimità sociale, di cura delle relazioni e di pratica dello stare insieme non sempre iperprogettato e definito dagli standard dell’industria culturale, ma che si genera proprio grazie – con e nello spazio – alla permeabilità dei processi artistici e sociali che accadono in questi luoghi.  Se pensiamo alle città trasformate dal consumo di suolo e da fenomeni aggressivi come la gentrificazione e l’overtourism, all’omologazione dei centri urbani delle città d’arte o allo spopolamento dei paesi delle aree interne, addentrarci nei risultati di questa autoinchiesta ci fa comprendere come esista un tessuto culturale che rimane ai margini delle narrazioni mainstream e che agisce in alcuni casi anche nella mancanza totale di presidi culturali istituzionali.

Flavio Favelli, Serie Imperiale (Zara), pittura murale, Casa del Popolo, Bazzano (Bologna), 2018. Foto di Dario Lasagni
Flavio Favelli, Serie Imperiale (Zara), pittura murale, Casa del Popolo, Bazzano (Bologna), 2018. Foto di Dario Lasagni

Alcuni dati rappresentativi della ricerca

Il pubblico raggiunto da questi spazi sfiora le 200.000 persone, con 937 lavoratori e lavoratrici dipendenti e di più di 5.000 volontari e volontarie coinvolte, per un totale di persone interessate (tra soci, pubblico e volontari) che equivale a oltre un milione di persone.
Cifre che in realtà raccontano solamente un campione del 10% delle associazioni aderenti alla rete Arci (più di 4000) e che, secondo i dati Siae del 2022, ha promosso complessivamente più di 23.000 eventi tra cinema e spettacolo dal vivo. Purtroppo, solo il 18% degli spazi oggetto di indagine della ricerca è presente nelle regioni del Sud, mentre il 3% si trova nelle aree interne e secondo analisi recenti sono circa 180 le associazioni Arci presenti e attive nelle aree interne. In realtà, dal punto di vista dell’analisi qualitativa, realizzata da cheFare attraverso dei focus group territoriali, è proprio dalle aree interne che arrivano nuovi modelli di progettualità culturali fondate sul mutamento delle forme di residenzialità dei giovani delle aree interne (da statica a ubiqua), con la creazione di circuiti culturali che si attivano soprattutto in determinati periodi dell’anno.

I centri culturali secondo la ricerca

La ricerca ha adottato uno sguardo sui centri culturali con una lente particolare, quella dei margini, dove spesso si concentrano i processi culturali più interessanti e seminali, nei luoghi in trasformazione e in attesa, in luoghi storici come case del popolo o bocciofile popolari, negli spazi rigenerati da processi informali e dal basso, talvolta anche in spazi pubblici concessi dalle pubbliche amministrazioni (il 20%, secondo la ricerca) o in beni confiscati alle mafie. In questi territori, spesso periferici o marginali, crescono presidi che operano non secondo i principi dell’attrattività o della competitività, ma attraverso la programmazione di proposte sperimentali e di ricerca, con un posizionamento dichiaratamente antifascista, antisessista e solidale, permeato in maniera intersezionale dalle lotte sociali, ecologiste e di emancipazione culturale. Sono spazi che ragionano politicamente di come fare cultura non rispondendo all’appiattimento della turistificazione, che dai margini provano a ricostruire una poetica dello stare insieme per generare pensiero culturale e condividerlo, non per consumare.
Non sono quindi spazi neutrali, location, ma esperienze che si interrogano su come essere attraversabili e riuscire ad essere safer, a come praticare aggregazione anche in maniera trasgressiva, tuttavia garantendo le condizioni per un’esperienza culturale vitale e libera per tutte e tutti.

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I circoli Arci e la costruzione di immaginari 

Dal punto di vista dell’offerta culturale, soprattutto in ambito musicale ma non solo, il contributo di questi luoghi nella creazione delle condizioni di accesso all’ascolto o alla visione di linguaggi e produzioni diverse, laterali o emergenti, è davvero importante. “Gruppi come i Litfiba e i CCCP – Fedeli alla linea senza Arci non sarebbero mai esistiti. I circoli sono stati gli unici luoghi in cui storicamente si è permesso ai giovani di esibirsi, per un giusto compenso e liberi dalle soffocanti logiche di mercato”, ha affermato Francesco Magnelli, pianista e arrangiatore per entrambe le band, durante la presentazione della ricerca nell’ambito di Strati della Cultura. Ma questo tessuto eterogeneo di spazi continua a rappresentare una infrastruttura nodale per la circuitazione della musica e dello spettacolo dal vivo in Italia, facendo emergere giovani artisti e artiste, offrendo programmazioni indipendenti e, talvolta, coltivando ambiti di sperimentazione di livello internazionale. 
Aldilà della circuitazione che a livello musicale e dei linguaggi audiovisivi raggiunge una importante articolazione su scala nazionale, i centri culturali sono spazi di sperimentazione perché spesso liberati dallo stress e dalla cultura dell’evento: emergono nuove forme di stare insieme perché saltano le gerarchie dell’evento e si innescano modalità collaborative tra artisti e pubblico che portano a riscrivere geometrie e ruoli delle ritualità, anche di notte. 
I circoli diventano così spazio delle possibilità, di costruzione di nuovi immaginari liminali, in cui si trasfigurano anche le marginalità e i paradossi della vita urbana.

Quali politiche culturali per i circoli Arci?

In tutto questo quadro che racconta una capacità di attivazione dal basso piuttosto impressionante, ciò che manca è il ruolo della politica. A fronte di una riforma, quella del Terzo Settore, che ha comportato una forte revisione delle procedure burocratiche e amministrative, non si registrano ad oggi politiche e investimenti adeguati da parte pubblica.Non si percepisce l’effetto innovatore della riforma, neanche dal punto di vista dei processi di coprogettazione e coprogrammazione, strumenti molto narrati ma poco attivati in ambito culturale se non in alcuni casi e contesti specifici, così come mancano fondamentali interventi economici per la sostenibilità del settore.
Ad esempio, nonostante il riconoscimento dei live club avvenuto nel 2021, ancora non ci sono state misure concrete di investimento e promozione su questo settore, mentre in Inghilterra il governo ha recentemente risposto alle richieste dei live club aprendo alla possibilità che una porzione dei guadagni dei grandi concerti venga reinvestita sulle realtà più piccole.
Uno scenario peggiorativo è invece alle porte: il rischio che dal primo gennaio 2025 ogni cessione di beni o prestazione di servizi del Terzo Settore siano sottoposte a IVA potrebbe rivoluzionare in negativo il mondo associativo della promozione culturale, rendendo ulteriormente complessi i processi gestionali e danneggiando soprattutto le realtà più piccole e la loro capacità di autofinanziamento.
Intanto non si registrano interventi significativi da parte del Ministero per la Cultura a riguardo, se non un taglio netto – ad esempio – dei finanziamenti relativi alla diffusione cinematografica per le associazioni nazionali e le sale di comunità, in uno scenario complessivo di decremento di stanziamenti per la cultura in Italia.

Marco Trulli

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Marco Trulli

Marco Trulli

Operatore culturale e curatore. È ideatore e co-curatore di Cantieri d’Arte, piattaforma di arte pubblica cha ha realizzato, negli anni, numerosi progetti site specific nella città di Viterbo. Attualmente cura La Ville Ouverte, programma internazionale di azioni di arti pubbliche…

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