La piramide rovesciata. Università e architettura italiane del ’68 secondo Giancarlo De Carlo

“Parlare di architettura significa interessarsi di molto altro”. Lo sostiene Francesco Zuddas, che per Artribune ha letto e commentato la nuova edizione del saggio dell’architetto genovese Giancarlo De Carlo, data di nuovo alle stampe dopo cinque decenni dall’uscita.

Talvolta, i libri più rilevanti di architettura sono quelli che non parlano esplicitamente di architettura. A cinquant’anni dalla prima uscita, nel 1968 per l’editore De Donato, Quodlibet ripubblica La piramide rovesciata, un saggio cui Giancarlo De Carlo affidava le proprie riflessioni sulla contestazione studentesca che, due anni dopo, nel più noto testo Il pubblico dell’architettura (1970), non avrebbe esitato a definire “l’avvenimento più importante dopo la fine della seconda guerra mondiale”. La nuova edizione allega, a calce del testo originale, il saggio del 1970 unitamente a un terzo testo dello stesso periodo – Perché/come costruire edifici scolastici (1969) ‒ commissionato per un numero speciale dell’Harvard Educational Review sul tema architettura ed educazione, che includeva anche scritti di James Ackerman, Saul Steinberg, Herman Hertzberger, Aldo Van Eyck e Shadrach Woods. La triade di testi testimonia una traiettoria intellettuale che impegnò De Carlo in un momento cruciale, non solo per la società in generale, ma anche per la precisazione delle idee dell’architetto genovese. O, a dirla con Filippo De Pieri, autore dell’introduzione al volume, le tre riflessioni scritte testimoniano il “lungo ‘68” di De Carlo che, iniziato nei due decenni precedenti al climax violento della contestazione, sviluppò un pensiero incentrato su anti-autoritarismo e libertà individuale passando per l’osservazione della protesta studentesca e sfociando, negli Anni Settanta, nel discorso sulla partecipazione a cui la figura di De Carlo è comunemente associata.

IL PRINCIPIO DI AUTORITÀ

Se, come ricorda De Pieri, quella dell’architetto genovese è una figura difficilmente integrabile all’interno dell’architettura italiana postguerra, altrettanto può dirsi per La piramide rovesciata. Nato da una conferenza per i Venerdì Letterari, tenuta a Torino nel febbraio 1967, il saggio espandeva le riflessioni di De Carlo sugli avvenimenti che fin dal 1963 avevano scosso la storica imperturbabilità, il tradizionalismo e l’arretratezza dell’università italiana, e metteva in relazione le ragioni della protesta studentesca con una critica al proprio campo disciplinare. Allineandosi all’atteggiamento di opposizione totale del Movimento Studentesco, De Carlo non ricorreva a mezze parole per denunciare la profonda corruzione e collusione dei vertici accademici con quelli del potere statale. Vertici che coincidevano in un singolo punto che tuttavia, sosteneva l’architetto, non era mai apparente. L’università italiana del dopoguerra era come una piramide senza un chiaro vertice, in cui tutto era al contempo confuso e chiaramente programmato per la conservazione dello status quo dei giochi di potere. Le facoltà di architettura ne fornivano un esempio chiaro, con le loro strutture per compartimenti stagni di discipline cui si accompagnava la stagnazione dei metodi didattici, ancora basati su sterili esercizi accademici privi di relazione ai problemi reali della società. “Se qualcosa di buono è stato prodotto dall’architettura italiana, assai raramente è venuto dalla scuola”, affermava De Carlo criticando una crescente incomunicabilità tra docenti e discenti di architettura in cui scorgeva la prova di un’università orchestrata dall’alto. Un principio di autorità correva come filo d’unione della storia accademica italiana, dalla Compagnia di Gesù ai tempi della Controriforma, passando per la codificazione di un’università per lo stato unitario nel 1861, e arrivando alla riforma del tempo fascista a firma di Giovanni Gentile. A vent’anni dalla fine della dittatura, e nonostante la svolta democratica e l’apertura a una società dei consumi spinta dal miracolo economico della fine degli Anni Cinquanta, l’università italiana della fine dei Sessanta soffriva della presenza di quello che De Carlo definiva un “germe corrosivo dalla libera tensione che aveva caratterizzato le comunità di studi del medioevo”.

Giancarlo De Carlo – La piramide rovesciata (Quodlibet, Macerata 2018)

Giancarlo De Carlo – La piramide rovesciata (Quodlibet, Macerata 2018)

UNIVERSITÀ PER IL GRANDE NUMERO

Il riferimento al Medioevo non è casuale nel discorso di De Carlo, che vedeva nell’università premoderna delle qualità che erano andate perse con il rafforzarsi del principio di autorità: l’ubiquità e il labile grado di definizione istituzionale. Così come l’università medievale, priva di edifici specifici, era stata innanzitutto un raggruppamento di individui, analogamente De Carlo auspicava una nuova università di massa – o, come preferiva chiamarla lui, un’università per l’epoca del “grande numero” –, capace di non cristallizzarsi nello spazio e nel tempo. Criticando l’ottusità di una concezione dell’educazione necessariamente confinata all’interno di uno specifico momento della vita e di un preciso apparato spaziale (l’edificio scolastico o universitario), De Carlo era naturalmente attirato dalle sperimentazioni di organizzazione collettiva in atto, intorno al 1968, nelle scuole di architettura in Italia. Lì, le assemblee studentesche stavano tentando una diversa forma di gestione politica fatta di rapporti di potere più egualitari, in cui i vertici decisionali erano continuamente rinnovati.

FACOLTÀ DI ARCHITETTURA E POLITICA

De Carlo sottolineava come, di fronte alle proposte di riforma della classe politica (specialmente quella del ministro Luigi Gui, arenata lungo il proprio cammino parlamentare fin dal 1965), gli studenti fossero “arrivati, da soli, al fondo del problema” e con idee cariche di “molta più immaginazione, novità e lungimiranza di quanto non sia possibile rilevare nelle proposte e nelle minacce dei loro mancati maestri”. Quella indicata dagli studenti, attraverso una didattica di gruppo condotta unitamente da studenti e docenti, non era un’università modificata sulla base di quella esistente, ma una fondamentalmente diversa. Non più un esamificio in cerca di collocazione tra i quadri dirigenziali della società; non più un luogo che, a nome della specializzazione scientifica, si rendeva impermeabile nei confronti della vita quotidiana e di ciò che accadeva fuori dai palazzi di accademia; neanche, infine, un’università monopolio di stato che si nascondeva sotto false dichiarazioni di autonomia accademica. Messaggio centrale del saggio, su cui De Carlo tornò spesso in successivi testi e interviste, era che pensare una diversa università in tempi di rapida mutazione sociale non significava il mero ingigantimento della vecchia macchina accademica, amplificandone in tal modo anche i beceri rapporti di potere. Piuttosto, l’università per il grande numero, che si sperimentava all’interno delle scuole di architettura come luogo di un più paritario rapporto tra gruppo docente e gruppo discente, rifiutava l’idea di riforma perché, come affermava negli stessi anni Adriano Buzzato-Traverso nell’altrettanto polemico Il fossile denutrito: L’università italiana (1969), non si può riformare un corpo eccessivamente corrotto; l’unica via possibile è quella di sovvertirlo e reinventarlo.

La protesta studentesca a Milano, 1968. Retro di copertina della nuova edizione (originariamente pubblicata in Giancarlo De Carlo, Why-How to Build School Buildings, Harvard Educational Review, 4 (1969))

La protesta studentesca a Milano, 1968. Retro di copertina della nuova edizione (originariamente pubblicata in Giancarlo De Carlo, Why-How to Build School Buildings, Harvard Educational Review, 4 (1969))

UN LIBRO DI ARCHITETTURA SENZA IMMAGINI

Nel 1968, il libro di De Carlo si aggiungeva a una lunga lista di testi, nazionali e internazionali, sulla necessità di riformare l’idea di università, e inseriva l’Italia all’interno di una stagione dell’architettura che, in altri Paesi, aveva già prodotto i primi esempi di nuovi spazi universitari – prima tra tutti l’esperienza inglese delle New Universities, che aveva sancito un nuovo contratto sociale promosso dal Welfare State. Ciò che segnala La piramide rovesciata come un caso isolato nella produzione intellettuale degli architetti (italiani, ma anche internazionali) del tempo, è il modo originale in cui De Carlo sviluppò un discorso sull’architettura senza parlare di architettura in maniera convenzionale. In questo senso, il testo si contrappone al coevo New directions in Italian architecture, in cui Vittorio Gregotti, pur dedicando il capitolo finale alla rivolta nelle scuole di architettura, la liquidava velocemente per passare a una catalogazione dei principali approcci al progetto così come sviluppati nelle scuole di architettura italiane. Rimanendo circoscritto a un’analisi dal di dentro dell’architettura, il libro di Gregotti si presentava come un più tradizionale saggio corredato di illustrazioni di progetti e realizzazioni scelti per rappresentare sentimenti e valori del proprio tempo. Di contro, De Carlo non trovava la rappresentazione del presente nei disegni o nelle fotografie di architettura. Piuttosto, erano le scene della rivolta studentesca a fornire la più chiara rappresentazione dello stato di fatto di una società imprigionata nell’anacronismo. Scene rimaste implicite nell’edizione originale de La piramide rovesciata, per la quale De Carlo non usò illustrazioni, ma che si ritrovano nel saggio Perché/come costruire edifici scolastici del 1969, da cui la nuova edizione di Quodlibet estrae e usa per il retro di copertina una fotografia di una manifestazione studentesca sullo sfondo del Duomo di Milano.

TRE TESTI E TRE PROGETTI

La lettura sequenziale dei tre saggi consente di comprendere lo sviluppo di un discorso che, partendo dall’analisi delle richieste di partecipazione da parte degli studenti alla gestione dell’università, arrivò al concetto di partecipazione come nodo centrale di una rinnovata pratica architettonica per il grande numero. È, però, collegando i testi alla pratica progettuale dell’architetto genovese sul tema degli spazi universitari che si ottiene una più completa comprensione del ruolo che La piramide rovesciata svolse all’interno dell’opera del suo autore. Attraverso un’altra triade, questa volta di progetti per tre università in tre città – Urbino, Dublino e Pavia –, De Carlo affinò la definizione di un nuovo modello di spazio universitario improntato a quella perduta ubiquità che aveva caratterizzato l’università premoderna e pre-autoritaria. La dispersione della presenza universitaria nel tessuto storico di Urbino e la sperimentazione di una diversa idea di campus suburbano come luogo aperto a una vasta popolazione regionale, messa a punto per il concorso bandito dallo University College a Dublino (1963-64), sfociarono nel piano urbanistico per l’Università di Pavia, sviluppato immediatamente dopo la pubblicazione dei tre testi qui raccolti. A Pavia, De Carlo arrivò alla forma finale di un’università ubiqua, scomposta in atomi dislocati nel tessuto urbano vecchio e nuovo, dotata di servizi generici aperti anche a una popolazione extra-universitaria, e proiettata attraverso poli di osservazione mobili sul più vasto territorio regionale. L’idea di un’università esplosa e proiettata su un ampio campo territoriale distanzia De Carlo dai tanti nuovi campus universitari costruiti nel mondo occidentale durante il corso degli Anni Sessanta, e da lui raccolti nel volume Pianificazione e disegno delle università (compagno illustrato di La piramide rovesciata, anch’esso pubblicato nel 1968), e lo affianca a idee più sovversive dello stato di fatto, come quelle proposte da Cedric Price per una nuova industria del sapere in Inghilterra, o da Guido Canella per una università nomadica nel meridione italiano.

Giancarlo De Carlo – Pianificazione e disegno delle università (Edizioni Universitarie Italiane, Roma 1968)

Giancarlo De Carlo – Pianificazione e disegno delle università (Edizioni Universitarie Italiane, Roma 1968)

ISTITUZIONI INTERROTTE

Solo quando le istituzioni sono interrotte, affermava De Carlo, si può arrivare all’esperienza totale. Nel fervore attuale, forse inevitabile, di riletture del 1968, La piramide rovesciata è capace di parlare al presente in una maniera più diretta di quanto cinquant’anni di distanza e di cambiamenti possano far pensare. Immagine letterale di un’università riversata sulle strade della città, la rivolta studentesca interruppe un’istituzione tradizionalmente inamovibile fin dalla sua reinvenzione post-medievale. La interruppe forse per un momento troppo breve, forse cadendo troppo presto nella violenza e peccando di eccessive semplificazioni. Nonostante la sostanziale difesa delle ragioni degli studenti, De Carlo notava come l’enfasi da loro posta sull’idea di ‘ricerca’ quale fondamento per una nuova didattica fosse troppo generica; un calderone capace di comprendere troppo. Oggi, nell’epoca della completa commercializzazione del sapere, quando ormai il termine ‘ricerca’ (insieme al suo più fedele alleato, ‘eccellenza’, mediato dal mondo corporativo) è svenduto a basso prezzo e applicato spregiudicatamente da parte di una società che sembra apprezzare solo il nuovo a scapito della critica ricognizione di conoscenza già esistente, il messaggio lanciato da De Carlo per un’università capace di mantenere “l’esercizio continuo della critica”, e al contempo di non abbandonare la sperimentazione di forme di vita collettiva, si carica di nuova rilevanza e urgenza. Rileggerlo, inoltre, ci ricorda come parlare di architettura significhi necessariamente interessarsi di molto altro.

Francesco Zuddas

Giancarlo De Carlo – La piramide rovesciata. Architettura oltre il ’68
Quodlibet, Macerata 2018
Pagg. 192, € 16
ISBN 9788822902399
www.quodlibet.it

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Francesco Zuddas

Francesco Zuddas

Francesco Zuddas è Senior Lecturer alla Anglia Ruskin University. Insegna anche all’Architectural Association e alla Central Saint Martins, e in passato ha lavorato alla Leeds Beckett University e all’Università degli Studi di Cagliari. Nel 2013-14 è stato Visiting Research Scholar…

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