Corpo e capitalismo. Intervista alla filosofa femminista Silvia Federici

Quali contorni ha l’esperienza del corpo nel capitalismo contemporaneo? Il nuovo libro di Silvia Federici esplora questo tema. Fra controllo, espropriazione e potenzialità rivoluzionarie

Negli Anni Settanta del secolo scorso alcuni movimenti e collettivi femministi lanciarono una campagna internazionale per il riconoscimento salariale del lavoro domestico femminile. Nacque così “Wages For Housework”, tra le cui attiviste e promotrici figurava la filosofa di impostazione marxista Silvia Federici (Parma, 1942). L’espropriazione del lavoro femminile è da sempre uno dei nodi centrali della ricerca di Federici. Un percorso intellettuale che culmina nel 2004 con la pubblicazione di Calibano e la strega, in cui viene tracciata una traiettoria diretta tra il successo e l’accumulazione del sistema capitalista, la caccia alle streghe e le altre strategie e pratiche di controllo dei corpi delle donne. Lo sfruttamento del corpo o meglio, dei corpi, anche di quelli non-umani, da parte del capitalismo contemporaneo trova un’ideale continuazione nell’ultimo testo della femminista italo-americana: Oltre la periferia della pelle. Ripensare, ricostruire e rivendicare il corpo nel capitalismo contemporaneo (traduzione di Patricia Badji). Pubblicato originariamente in inglese nel 2020, il testo viene distribuito in Italia grazie a D Editore, che lo propone nell’ambito di Nextopie, una collana pensata come “un ossario di corpi in rivolta, il sabotaggio organizzato del nuovo millennio, una raccolta di istruzioni per scioperi e boicottaggi ai danni del capitalismo e del patriarcato”.

Oltre la periferia della pelle, copertina

Oltre la periferia della pelle, copertina

INTERVISTA A SILVIA FEDERICI

Partiamo dal titolo dell’ultimo libro, che suona come un invito a ripensare il soggetto al di là dei confini della pelle e in virtù delle potenziali traiettorie che possono connetterlo agli altri corpi e al mondo esterno. Alcuni detrattori degli approcci postumani stigmatizzano questa possibile “dispersione” dell’agentività umana in una sorta di ontologia appiattita in cui tutto, umano e non umano, viene posizionato sullo stesso piano. Lei cosa ne pensa? 
Il titolo è una risposta a quelle concezioni riduttive che vedono il corpo come una monade: un conglomerato di cellule, per esempio, dotato ciascuno di un proprio programma. Ma è anche una riposta a quelle concezioni del corpo che dimenticano che per cambiare la relazione con la nostra corporeità è necessario modificare anche le stesse condizioni materiali della nostra esistenza. Il mio libro non prospetta una concezione del mondo “postumana”, ma rifiuta di concepire il corpo umano come isolato, separato dagli altri, dagli animali e dalla natura. In questa prospettiva non è un appiattimento: al contrario, è una visione che arricchisce il corpo.

Lei denuncia la “necessità di una storia del capitalismo scritta dal punto di vista del mondo animale, oltre che da quello delle terre, dei mari e delle foreste”. Che tipo di narrazione ne verrebbe fuori e quanto abbiamo bisogno di una storia “antro-decentrica” o anti-antropocentrica di questi tempi?
Una storia del capitalismo dal punto di vista degli animali ci mostrerebbe chiaramente tutta la crudeltà della produzione capitalista. E in particolare quella crudeltà che è parte integrante delle tecnologie da cui dipende la nostra vita quotidiana. È la storia dei mattatoi, degli animali che non si reggono sulle proprie zampe, dei laboratori in cui si torturano migliaia di gatti, cani e altri animali. Ma anche delle balene che muoiono sulle nostre spiagge. Lo stesso si può dire di una storia del capitalismo dal punto di vista del mondo della natura.

Silvia Federici. Courtesy l'autrice

Silvia Federici. Courtesy l’autrice

IL LIBRO DI SILVIA FEDERICI

San Junipero, uno dei pochi episodi (apparentemente) a lieto fine della serie televisiva Black Mirror, immagina un’utopia/distopia in cui la gente può sopravvivere al proprio corpo caricando la coscienza su un database. Il suo libro esclude la possibilità di pensare l’umano indipendentemente dal corpo: quali sono i rischi di un immaginario privo di corporeità? 
Io non riesco a immaginare l’umano senza il corpo. Sarebbe un’altra specie che non conosco. Non sono cartesiana e non mi immagino una mente separata dal corpo. Perdere il corpo significherebbe perdere anche ogni contatto con la natura.

Sebbene le nuove tecnologie e l’immaginario collettivo siano proiettati verso uno scenario di dematerializzazione del corpo, il determinismo biologico e l’adagio freudiano secondo cui “l’anatomia è il destino” stanno tornando in auge. Penso ad esempio alle femministe transescludenti o alla premier Giorgia Meloni che ha recentemente dichiarato che non ci si può semplicemente autoproclamare donne. Perché stiamo vivendo questa contraddizione?
Credo che si debba distinguere il discorso riguardo al superamento delle differenze di genere da quello sulla dematerializzazione del corpo. Non sono la stessa cosa. Ci tengo anche a precisare che il femminismo ha sempre criticato il determinismo biologico, che è una cosa ben diversa dall’affermare, per esempio, che le donne sono un soggetto politico.

Edoardo Pelligra

Silvia Federici ‒ Oltre la periferia della pelle. Ripensare, ricostruire e rivendicare il corpo nel capitalismo contemporaneo
D Editore, Roma 2023
Pagg. 224, € 17,90
ISBN 9788894830972
https://deditore.com/

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Edoardo Pelligra

Edoardo Pelligra

Nato a Catania, vive a Londra e Torino. Ha studiato filosofia in Italia e in Germania, laureandosi in Estetica all’Università di Torino. Si è specializzato in Critical Theory and Gender Studies alla Goldsmiths-University of London, con una tesi sul cinema…

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