Pittura al femminile nell’Italia barocca. A Gent

Musée des Beaux-Arts, Gent ‒ fino al 20 gennaio 2019. Una mostra al Musée des Beaux-Arts analizza per la prima volta il ruolo della pittrici all’interno del contesto sociale e politico tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento. Da Sofonisba Anguissola a Fede Galizia, da Elisabetta Sirani ad Artemisia Gentileschi. Cinquanta opere con importanti prestiti dal Louvre, dagli Uffizi, dalla Galleria Borghese, e numerosi inediti da collezioni private.

Nell’Italia del Seicento, stretta dalla morsa della dominazione spagnola e della Riforma romana, il clima politico e sociale subì un’involuzione rispetto alla tolleranza e all’apertura del Rinascimento. Tuttavia, pur nel suo clima controverso, qualche segno di progresso civile lo vide anche in Italia, con l’avvento della pittura “al femminile”, che modificò il mondo dell’arte così come quello della società, seppur a piccoli passi. Le medesime convinzioni artistiche accomunano pittrici quali Artemisia Gentileschi, Sofonisba Anguissola, Virginia da Vezzo, Lavinia Fontana, che ruppero con la tradizione patriarcale della bottega d’artista e fecero della pittura il loro mestiere, aiutate nello scopo anche dalla convinta aderenza alla causa romana, che stava facendo del culto delle immagini una potente arma di educazione di massa per arginare l’eco della Riforma Luterana e propagandare la “verità rivelata”.

LA “DONNESCA MANO”

Pur all’interno di un clima sociale non libero, queste artiste riescono a far sentire la propria voce, a portare nell’arte nuovi punti di vista e una grazia quale prima non aveva mai posseduto. Se la fede cattolica era la conditio sine qua non per potersi esprimere, una volta pagato questo pegno si ha modo di portare, “fra le righe”, anche un autentico contributo sociale; se ancora non si può parlare di “coscienza femminile”, è comunque un fatto che la presenza della donna nella società comincia a farsi notare. Già sul finire del Cinquecento era nata quella che Giorgio Vasari chiamò “la donnesca mano”, individuata negli autoritratti di Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana, e rintracciabile anche in quelli di Artemisia Gentileschi ed Elisabetta Sirani: tutti caratterizzati da un’espressività eroica, dove ritorna il plastiscimo dell’ultimo Tiziano, alleggerito dai raffinati decori dei tessuti che smorzano appena la sensuale carnalità dei corpi. Formatesi quasi sempre nelle botteghe dei loro padri, o comunque allieve di intimi amici della famiglia, queste pittrici riuscirono a coltivare un’originalità espressiva che andava oltre l’artificio, e a infondere alla tela l’idea della presenza vitale del corpo femminile. Nacque una maniera che ebbe numerose seguaci e cambiò il volto dell’arte italiana, e la mostra, nel suo arco cronologico, permette di apprezzare il passaggio dalla maniera moderna della Anguissola al puro Barocco della da Vezzo e della Garzoni.

Artemisia Gentileschi, Judith and her maid, 1613 ca. Gallerie degli Uffizi, Firenze

Artemisia Gentileschi, Judith and her maid, 1613 ca. Gallerie degli Uffizi, Firenze

OLTRE IL SIMBOLO

Lavinia Fontana è considerata la prima pittrice ad aver ritratto un nudo femminile, quella Minerva traboccante grazia sensuale, qui ritratta mentre toglie l’armatura per indossare un abito assai più confortevole. Un episodio di civetteria quotidiana che entra nell’arte e dimostra come il Barocco vada oltre il Manierismo, e dal senso del teatro, la fusione di generi e temi, e la generalizzazione dei simboli, si giunga alla “conquista”, alla traduzione pratica di concetti teorici. La Minerva di Lavinia Fontana è una donna in carne e ossa come lo è la Maddalena del Caravaggio, con tutte le sue “debolezze” mondane.
Allo stesso modo, le varie Giuditta e Timoclea di volta in volta dipinte dalla da Vezzo, dalla Gentileschi e dalla Sirani rappresentano un’idea di giustizia contro le prevaricazioni della società patriarcale, che avrebbe dominato le donne ancora per tre secoli, ma che conobbe all’epoca la prima incrinatura, almeno a livello di critica, seppur sommessa.

LA NATURA MORTA

Fra i soggetti che conobbero maggior fortuna nel Seicento, la natura morta, che se nell’Europa riformata aveva scopi di catalogazione scientifica, in quella cattolica conservava ancora quelli decorativi, oltre a essere velata metafora della caducità dell’esistenza o della ricchezza del Creato. Giovanna Garzoni e Fede Galizia furono le più valenti interpreti di quella natura in posa che riprodussero senza i raffinati orpelli di quella fiamminga, ma non per questo con minor perizia. I frutti di Fede Galizia, riprodotti con dense pennellate, con rapidi tocchi di ombre e luci, sono spesso al limite della marcescenza, sfiorati da insetti, nella loro funzione metaforica, ma intrisi tuttavia di profondo realismo. Da parte sua, la Garzoni ebbe modo di mettere l’arte al servizio della catalogazione scientifica; amica del farmacista Enrico Corvino e dello scienziato Cassiano dal Pozzo, compilò e illustrò per loro raffinate e dettagliate tavole botaniche con le specie di fiori e frutti conosciuti all’epoca, compresi quelli appena giunti dal Nuovo Mondo. E condivise l’interesse scientifico con Orsola Maddalena Caccia, le cui composizioni vedono insieme fiori, frutti e animali, ispirate al Florilegium di Emanuel Sweerts.

Niccolò Lucarelli

Gent // fino al 20 gennaio 2019
Les Dames du Baroque. Femmes peintres dans l’Italie du XVIe et XVIIe siècle
MUSEE DES BEAUX-ARTS
Fernand Scribedreef 1
www.mskgent.be

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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