La ricerca di Lynn Saville (Durham, 1950) si muove nell’ambito della fotografia americana del paesaggio urbano, con un percorso che da subito si concentra sulla fotografia notturna, inizialmente in bianco e nero e poi a colori. Ma se è vero che la dimensione di Lynn Saville è la notte, colta specialmente nel suo divenire, nel momento di passaggio dell’imbrunire, il cuore di questi lavori è la luce: la luce del giorno che scompare, portando via l’immagine nitida e nota dello spazio, per lasciare la città alla luce artificiale ed enigmatica della notte, in un silenzio deserto, tagliato dai neon delle insegne o abitato da solitarie presenze. È una New York di reminiscenza hopperiana e dal sapore cinematografico, che racconta l’oscurità come momento emblematico e rivelatorio di un’altra realtà in cui tutto appare nella sua dimensione più profonda e segreta.

LA FOTOGRAFIA DI LYNN SAVILLE AI CONFINI DELLA NOTTE
Lynn Saville fotografa strade, incroci, scorci, luoghi iconici di New York o anonimi magazzini di Brooklyn come sequenze di un unico racconto. Tutto accade attraverso dettagli evocativi e simbolici: la vetrina di un negozio che resta accesa, una figura che si allontana, le ruspe che aprono una voragine davanti al Chrysler Building. Sono immagini sospese, ferme in un tempo in cui qualcosa è appena accaduto o sta per accadere: set di una scena che lascia spazio all’immaginazione, alla trasformazione e al mistero. Una dark city, una New York oscura in molteplici sensi, molto lontana dal dinamismo efficiente delle apparenze diurne, che svela nel buio i suoi lati nascosti e fragili: negozi sfitti ed edifici fantasma, lo spettro della crisi finanziaria, lavori interrotti e prospettive incerte.

LYNN SAVILLE E LA POESIA DELL’IMMAGINAZIONE
Di fronte all’esigenza documentaria o sociale, Lynn Saville tuttavia predilige quella personale, poetica: la sua è prima di tutto una fotografia dell’attesa che mira a cogliere la sfumatura perfetta di luce e colore, tra notte e giorno, tra assenza e presenza, in grado di restituire quel particolare frammento in cui la realtà si fa visione, al confine tra il mondo che conosciamo e quello che possiamo solo immaginare, aprendo nell’oscurità il varco sottile alle infinite possibilità del reale.
‒ Emilia Jacobacci
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