La fotografia scalfisce gli stereotipi. Dialogo con Raffaella Perna

In occasione della giornata di studi “Fotografia e pittura. Relazioni e pratiche a confronto”, organizzata da Chiara Agradi ed Emanuele Carlenzi al Museo Macro di Roma, abbiamo incontrato Raffaella Perna. Con la docente all’Università di Macerata abbiamo ragionato di fotografia, arti visive, femminismo.

Raffaella Perna è l’autrice di volumi significativi come Arte, fotografia e femminismo in Italia negli anni Settanta (Postmedia Books, 2013) e curatrice, fra gli altri, di libri quali Ketty La Rocca. Nuovi studi (con Francesca Gallo, Postmedia Books, 2015), Etica e fotografia. Potere, ideologia e violenza dell’immagine fotografica (con Ilaria Schiaffini, Derive Approdi, 2015).
Studiosa entusiasta, curatrice di mostre come Grandi fotografi a 33 giri (Auditorium Parco della Musica, Roma 2012), che ha avuto il merito di ripercorrere il rapporto tra copertine di dischi e fotografia d’autore sin dagli Anni Cinquanta; membro dello staff di esperti che ha contribuito al concretizzarsi della mostra ’77 una storia di quarant’anni fa nei lavori di Tano D’Amico e Pablo Echaurren presso il Museo di Roma in Trastevere (2017), Raffaella Perna risponde facendo emergere le preziose complessità e stratificazioni dell’arte fotografica.

Secondo lei è dato il giusto peso all’arte fotografica nell’ambito dell’insegnamento storico-artistico nelle università italiane? Quali atenei sono all’avanguardia in questo campo?
Benché nel sistema italiano ci siano ancora molte carenze, negli ultimi dieci anni gli insegnamenti di storia della fotografia sono aumentati. Negli atenei di Bologna, Parma e Roma Tre insegnano docenti eccellenti come Claudio Marra, Federica Muzzarelli, Cristina Casero e Antonello Frongia. Già da diversi anni, alla Sapienza, Ilaria Schiaffini, parallelamente alle lezioni, coinvolge gli studenti e le studentesse in un’intensa attività di tirocini, seminari e incontri sulla fotografia, con risultati straordinari.

Da sinistra, Raffaella Perna, Silvia Bordini, Giuseppina Di Monte e Claudio Zambianchi. Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma 2010

Da sinistra, Raffaella Perna, Silvia Bordini, Giuseppina Di Monte e Claudio Zambianchi. Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma 2010

Qual è stato il merito della conferenza curata da Chiara Agradi ed Emanuele Carlenzi? Quale intervento le è piaciuto maggiormente e perché?
Chiara Agradi ed Emanuele Carlenzi hanno curato una giornata di studi ricca di interventi interessanti, lavorando con grande serietà, competenza e passione. Il contributo di Ilaria Schiaffini sulla fotografia di Tato è stato particolarmente originale e documentato. Silvia Bordini ha affrontato un argomento complesso e articolato come “il libro fotografico” con il linguaggio limpido e piacevole che le è proprio, attraverso una serie di casi emblematici, scelti con grande attenzione tra i fotolibri pubblicati a partire dagli Anni Sessanta sino all’attualità.

Quale sarà il suo prossimo ambito di ricerca?
Sto curando un volume miscellaneo su Renato Mambor, che uscirà a breve per University Press Sapienza, e una mostra antologica su Ketty La Rocca, insieme a Francesca Gallo e in collaborazione con l’Archivio Ketty La Rocca. Continuo nel frattempo a svolgere ricerche sulla storia della fotografia, sui rapporti tra arte e femminismo in Italia, sull’arte a Roma negli Anni Sessanta e Settanta, e a collaborare con Donata Pizzi affinché la sua collezione di opere di fotografe italiane, presentata per la prima volta lo scorso anno alla Triennale di Milano, continui a circolare in Italia e all’estero. La collezione sta crescendo: negli ultimi mesi, Donata Pizzi ha acquisito fotografie molto interessanti e spero ci sia presto modo di presentarle a Roma.

Quali sono i fotografi italiani e internazionali più validi attualmente?
Nell’ambito del reportage apprezzo molto il lavoro di Paolo Pellegrin e Susan Meiselas e, tra i fotografi della nuova generazione, quello di Simona Ghizzoni. Guardando alla fotografia sperimentale, credo che in Italia operino autori e autrici molto interessanti, come Paola Di Bello, Gea Casolaro, Monica Carocci, Marina Ballo Charmet, Franco Vaccari, Mario Cresci, Luca Patella o il più giovane Giovanni Hänninen, sui quali istituzioni, collezionisti e galleristi dovrebbero investire con ancora più convinzione.

Raffaella Perna

Raffaella Perna

Cosa si dovrebbe fare per alimentare il panorama di arte fotografica a Roma o la percezione che i diversi pubblici hanno nei confronti della fotografia?
L’idea lanciata nel 2011 dal Comune di Roma di aprire un centro della fotografia in uno dei padiglioni del Macro Testaccio mi trovava molto favorevole. È un vero peccato che il progetto si sia arenato. Mi auguro che in futuro si torni ad affrontare la questione, ma le priorità della attuale giunta mi sembrano altre.

La fotografia come influenza attualmente gli artisti internazionali?
Fare oggi una netta distinzione tra fotografi e artisti è un anacronismo; non parlerei dunque di un’influenza della fotografia sull’arte, o viceversa, ma di una convergenza tra i due ambiti, che emerge con chiarezza nel lavoro di molti autori internazionali, da Gillian Wearing a Wolfgang Tillmans, da Rineke Dijkstra a Thomas Struth.

La fotografia legata al femminismo si è alimentata della ricerca teorica di Carla Lonzi e di Simone de Beauvoir negli Anni Sessanta e Settanta. Come si presenta attualmente e di quali energie si fa forza? Di quali simbologie si nutre?
Numerose fotografe, tutt’oggi, riflettono su temi e pratiche del femminismo, talvolta rifiutando di definirsi femministe, come nel caso di Renée Cox, il cui lavoro analizza l’evoluzione dell’immagine della donna nera nei media, nella pubblicità e nella cultura popolare degli Stati Uniti, incluse icone politiche o del mondo dello spettacolo quali Angela Davis, Grace Jones e Beyoncé. Quello del rapporto tra fotografia e femminismo è un tema complesso: recentemente la rivista americana Aperture [n. 225,  inverno 2016] lo ha affrontato in modo intelligente.

Cosa pensa della pubblicità del Buondì ? Può contribuire a svecchiare alcuni stereototipi sul ruolo materno della donna o li riafferma per contrasto?
Non ho visto la pubblicità in questione né mi vengono in mente réclame in grado di proporre modelli d’identità e di comportamento alternativi. Alcune, pur essendo solo blandamente progressiste, appaiono quasi rivoluzionarie se paragonate agli spot, ancora numerosissimi, in cui giovani casalinghe sono in estasi per l’acquisto di un nuovo detersivo.

– Giorgia Basili

http://docenti.unimc.it/raffaella.perna

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Giorgia Basili

Giorgia Basili

Giorgia Basili (Roma, 1992) è laureata in Scienze dei Beni Culturali con una tesi sulla Satira della Pittura di Salvator Rosa, che si snoda su un triplice interesse: letterario, artistico e iconologico. Si è spe-cializzata in Storia dell'Arte alla Sapienza…

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