A Parigi la prima grande mostra sullo stilista Rick Owens è un tempio dell’amore
Al Palais Galliera di Parigi apre la prima monumentale retrospettiva dedicata allo stilista californiano in Francia. Una meditazione sull’amore firmata Rick Owens

Da qualche tempo a questa parte sulla facciata del Palais Galliera sbrilluccicano giganti monoliti neri glassati di paillettes dalle spalle protese verso il cielo. Silenziosi, immobili, alieni, come guardiani di qualcosa di sacro. Potevamo aspettarci un’introduzione meno scenografica per la nuova retrospettiva dedicata a Rick Owens? Certo che no. A maggior ragione se lui stesso ne è il direttore artistico, affiancato dalla curatela di Alexandre Samson. Dal titolo Temple of Love, infatti, la sua, più che una mostra da visitare è una liturgia a cui prendere parte. Dove il museo della moda e del costume parigino diventa santuario e le oltre 100 sihouettes esposte icone da contemplare.

Rick Owens: da Hollywood a Parigi
Attraverso archivi personali, video e installazioni, la retrospettiva ripercorre la carriera del designer dagli inizi in quel di Los Angeles, dalla primissima collezione con Goddess Bunny in passerella. Quando scriveva: “I vestiti che creo sono la mia autobiografia. Sono l’eleganza silenziosa a cui aspiro e i danni che ho causato lungo il cammino. Sono l’espressione di una tenerezza e di un ego scatenato. Sono un’idealizzazione adolescenziale e la sua inevitabile sconfitta”. Un approccio che richiama la fragilità delle nostre esistenze, ora come allora. Tanto che varcata la soglia della prima sala, il buio è così denso da sembrare solido: ogni dettaglio – dalle pareti rivestite in feltro marrone, omaggio a Joseph Beuys, passando per le opere simboliste di Gustave Moreau, fino ai flebili coni di luce che colpiscono i drappeggi distopici – contribuisce a creare un’atmosfera mistica, rituale. Ad animarla nella loro staticità sono i manichini o, meglio, le presenze gotiche appollaiate su piedistalli come gargoyle di una cattedrale pagana. Distribuiti tra l’”altare” e le “cappelle” laterali, non per collezioni ma per tribù esistenziali – freaks, dissidenti, eterni romantici – che ci osservano in processione. Le stoffe si trasformano in reliquie. E le teche centrali in navate, contenenti tranches de vie elette a refereces obsession, quali il romanzo À rebours di Joris-Karl Huysmans, le affissioni di Ziggy Stardust, le collane science fantasy di Edgar Rice Burroughs.
La gioia della decadenza in Rick Owens
Nell’universo di Rick Owens “la bellezza è sempre bizzarra”, direbbe Charles Baudelaire. Non è né levigata né accomodante. È sporca, irregolare e lucida, dolente. Nella seconda sala la penombra sacrale viene ribaltata da un’irruzione improvvisa di luce naturale, mai usata prima per una mostra di moda al museo. La ragione? L’eventuale decolorazione dei capi diventa parte integrante de processo creativo del designer parafrasando il deterioramento della vita. Qui, le sagome sono disposte in formazione serrata a mo’ di setta segreta appena emersa dal sottosuolo. Che ci scorta verso la terza sala, dove l’attenzione è catalizzata da una fontana: una statua a grandezza naturale di Owens che urina solennemente in una vasca di metallo. Gesto che, in qualunque altro contesto, rasenterebbe lo scandalo, ma qui rasenta il sacramento. Intorno, troviamo video e fotografie di atti erotici, pratiche di pissing, oggetti bondage che assumono il valore di ex-voto, portrait dissacranti, come quello che ritrae lo stilista mentre si spara in bocca, che nel 2006 aveva condiviso su Twitter con una chiarissima caption: ”rick owens, blow job, 2006″. Insomma, tutto ciò che la società censura Owens lo mette in mostra con la grazia e l’audacia di un martire queer.






Una camera da letto e un film in B&W
L’ultima stanza è la più piccola, la più silenziosa e la più tremendamente intima. Una camera da letto, letteralmente: quella di Rick Owens e Michèle Lamy, spedita in un blocco da Los Angeles come un cuore imbalsamato. Lenzuola sfatte, cuscini usati, scaffali pieni di libri (Breuer, Huysmans, Mapplethorpe, Steichen), un armadio impregnato di henné nero e profumi. Niente parla più di moda, ma ogni oggetto parla d’amore – quello vissuto, intellettuale, irregolare, eterno. Non a caso la moglie Michèle Lamy, musa e oracolo dello stilista, è anche il volto della mostra: ieratica e punk, sospesa tra Jean Cocteau e Sainte Bernadette, domina i manifesti tappezzati ovunque per Parigi. E non c’è provocazione che tenga: Temple of Love è la confessione più tenera e feroce che Owens abbia mai fatto. Un’ode alle vite disobbedienti, un requiem pieno di carne, ossa e poesia. Senza nessuna redenzione promessa, bensì una proposta di comunione.
Aurora Mandelli
Parigi // fino al 4 gennaio 2026
Rick Owens. Temple of Love
PALAIS GALLIERA
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