Carlo Verdone: “ecco il mio rapporto con l’arte e con gli artisti” 

A Torino per la mostra di sue fotografie, il regista ha raccontato un po’ di aneddoti sulla sua relazione con le arti visive. Da Alberto Grifi a Mario Schifano passando per Yoko Ono

Ha parlato parecchio di arte e artisti, Carlo Verdone ospite a Torino del Glocal Film Festival e poi del Museo nazionale del cinema che lo ha premiato, primo regista italiano, con la Stella della Mole. “Sono cresciuto in una casa tappezzata di opere d’arte, piena di colori: mio padre oltre che studioso di cinema era un grande collezionista, legato in particolare al Futurismo, e all’Astrattismo degli Anni ’50. I primi nomi che mi vengono in mente sono quelli di Toti Scialoja, Giulio Turcato, ma possiedo anche dei De Pisis e opere di tanti altri artisti“. 

Carlo Verdone davanti alle sue fotografie esposte al Polo del '900 a Torino
Carlo Verdone davanti alle sue fotografie esposte al Polo del ‘900 a Torino

Una vita segnata dal cinema come forma d’arte 

Arte e cinema d’autore che si mescolano in un’infanzia caratterizzata dalla personalità del padre, Mario Verdone, professore universitario di Storia e critica del film e collaboratore del Centro sperimentale di cinematografia. “Dedico a lui il premio Stella della Mole, perché oltre che un buon genitore è stato anche un grande educatore, nel senso più pieno del termine”. 
I ricordi del regista romano partono da lontano, Anni ’60. “Quando mio padre saliva a Saint-Vincent per partecipare alle Grolle d’Oro (allora uno dei più importanti premi cinematografici italiani, ndr) ci fermavamo sempre a Torino dove incontravamo una sua amica, Maria Adriana Prolo, la fondatrice e direttrice del Museo nazionale del cinema”. Per il ragazzino di 12-13 anni era l’occasione di scoprire – assistito dalle spiegazioni dei due studiosi – lanterne magiche, ombre cinesi, proiettori e tutti gli strani apparecchi del pre-cinema. “Discutevano fra loro di cose importanti, ma per me la Prolo aveva sempre un pacchetto di giandujotti e mi sorrideva pure”. 
Un decennio più tardi Verdone è studente al Centro sperimentale di cinematografia nonché assiduo frequentatore del Filmstudio di Roma. ”È lì che si è formata la mia educazione all’immagine: ho visto tanto cinema d’avanguardia o underground come si diceva allora: Jonas Mekas, Kenneth Anger, Alberto Grifi, Andy Warhol, Mario Schifano, Yōko Ono“. 

Carlo Verdone. Crediti Mirta Lispi, Paramount +
Carlo Verdone. Crediti Mirta Lispi, Paramount +

La strana ossessione per un quadro di Yōko Ono 

E, a proposito dell’artista giapponese e compagna di John Lennon, Verdone ha molto da raccontare. “L’ho conosciuta, una donna intelligente dal carattere un po’ difficile…” Per il regista, cresciuto nel culto dei Beatles, Yōko Ono era il tramite per entrare in contatto con quel mondo. “Quando Stefania Miscetti, gallerista romana, ha organizzato in Via delle Mantellate, accanto allo studio di Schifano, una mostra ci sono andato: volevo a tutti i costi acquistare un quadro che Yōko aveva dipinto, sconvolta, nei giorni successivi all’assassinio di Lennon”. 
Una storia fatta di rifiuti a vendere, di lettere piene di ammirazione scritte da Verdone, di successivi incontri. “Dopo due anni Yōko Ono torna a Roma e al terzo tentativo mi ha finalmente venduto il quadro e vi assicuro che non me lo ha regalato, ma ho anche la sua dedica”. 
Poi, una decina di anni fa, l’artista giapponese è di nuovo a Roma per un omaggio ai Futuristi e Verdone accompagnato dal figlio Paolo “che parla bene l’inglese” non ha perso l’occasione per incontrarla: “Mi raccomando, quel quadro, è molto importante mi ha detto ed è stata molto carina con mio figlio e sono riuscito a scattare una foto di loro due che passeggiano in via delle Mantellate”. 

La fotografia, una grande passione 

L’occasione che ha portato Verdone a Torino è stata proprio la fotografia con l’inaugurazione della mostra “Luci nel silenzio” allestita al Polo del ‘900 (visitabile fino al 14 aprile 2024). Una quarantina di suoi scatti, prevalentemente nuvole, albe, tramonti che il regista definisce “preghiere senza parole“. Davanti alle sue immagini, il regista romano spiega che “la fotografia è una passione seria che ho dal 1998, una reazione al mio lavoro di regista di commedie, piene di parole, di persone. Nelle mie immagini non ci sono esseri umani, quando fotografo voglio essere da solo, è un momento di contemplazione, rappresentano la mia vera anima, il mio lato malinconico, contemplativo, spesso solitario”.  
In mostra c’è solo una selezione dell’archivio fotografico. “Ci sono molte foto a cui sono legato: una è quella del vortice di nuvole su Roma che ho regalato a Paolo Sorrentino dopo aver finito di recitare ne La grande bellezza”. 
E poi i racconti dei posti dove ama o ha amato fotografare: “La Cornovaglia, soprattutto, per i suoi cieli mutevoli, il mare che può essere calmo e un momento dopo in burrasca, le scogliere. Mi piacerebbe andare in Islanda ma per il momento ho in programma un viaggio in Bretagna”. 
Si ritorna inevitabilmente all’arte. A Turner, a Constable ai paesaggisti inglesi che possono aver avuto un’influenza sulle sue fotografie, ma quando a Verdone viene chiesto qual è un artista a cui è più legato sentimentalmente, la risposta non è immediata. Passano molti secondi di riflessione, gli occhi vanno un po’ all’insù come facevano i suoi primi personaggi televisivi di Non Stop (registrati nel 1978 a Torino dove è iniziata la sua carriera professionale, ndr): “Piero Sadun, un astrattista amico di mio padre, di cui abbiamo una grande collezione. Non si è mai capito perché non sia stato apprezzato per quello che merita. Certamente, in qualche modo, mi ha influenzato”. 

Dario Bragaglia 

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Dario Bragaglia

Dario Bragaglia

Dario Bragaglia si è laureato con Gianni Rondolino in Storia e critica del cinema con una tesi sul rapporto fra Dashiell Hammett e Raymond Chandler e gli studios hollywoodiani. Dal 2000 al 2020 è stato Responsabile delle acquisizioni documentarie e…

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