I numeri della Biennale di Venezia. È stata davvero un successo?

I numeri totalizzati dall’ultima Biennale di Venezia sono altissimi, eppure l’affluenza di visitatori italiani potrebbe essere migliorata. Ecco come e perché

Si è conclusa da qualche giorno Il latte dei sogni, la 59esima edizione della Biennale di Venezia curata da Cecilia Alemani, che ha confermato la grande attenzione di cui la Biennale di Venezia gode, soprattutto a livello internazionale.
A dimostrarlo sono gli stessi numeri resi pubblici dall’istituzione: un incremento dei visitatori del 35% rispetto all’edizione del 2019 (e quindi pre pandemia), per un totale di 800.000 biglietti venduti. Si tratta, è lo stesso sito della Biennale a riportarlo, della più alta affluenza di pubblico nei 127 anni di storia della Biennale di Venezia.

I VISITATORI DELLA BIENNALE DI VENEZIA

Al di là delle dovute manifestazioni di plauso, analizzando i dati dei visitatori non può non colpire come la maggior parte di essi provenga dal contesto internazionale: 59% dei visitatori provenienti dall’estero contro il 41% degli italiani. Ora, molti penseranno che un dato del genere è naturale per una manifestazione che, per propria natura, è internazionale; altri potranno pensare che fare le pulci a un’edizione che ha avuto così tanto esito possa essere un’operazione superflua e fuori luogo. Se però ci si concentra proprio sul fatto che sia un’edizione che ha avuto così tanto successo, e ci si concentra sui suoi numeri, allora appare chiaro che il quantitativo di visitatori italiani possa essere sicuramente oggetto di miglioramenti. Beninteso: 320.000 visitatori per un’esposizione d’arte contemporanea sono tantissimi, soprattutto in Italia. Ed è qui il punto: la Biennale è, ancora oggi, percepita come un evento di arte contemporanea, con tutti i pregiudizi che tale connotazione può generare.
Ma la Biennale, e questa edizione ancor più delle altre, non è una semplice esposizione d’arte contemporanea. È molto di più. È la costruzione di mondi, in cui i visitatori sono chiamati a immergersi fisicamente ancor prima che mentalmente. Mondi che, attraverso i padiglioni, includono opere che difficilmente si potrebbero fruire all’interno di una qualunque galleria d’arte.

La Biennale è, ancora oggi, percepita come un evento di arte contemporanea, con tutti i pregiudizi che tale connotazione può generare”.

Se in qualche modo è comprensibile che, per molti italiani, l’idea di visitare una mostra d’arte contemporanea possa essere poco emozionante, diviene di certo meno comprensibile pensare tale estraneità di fronte al padiglione danese, francese, svizzero o coreano. In questa luce, la Biennale di Venezia è l’occasione più efficace per avvicinare le persone all’arte contemporanea, ed è per questo che 320.000 persone sono poche. L’immediatezza di alcuni linguaggi artistici utilizzati, l’effetto meraviglia provocato da altre riflessioni, il ricorso ad atmosfere pluri-mediali, l’utilizzo dei codici tipici della comunicazione sono tutti elementi che potrebbero coinvolgere anche chi difficilmente si sentirebbe coinvolto dalle proverbiali Attese di Fontana, o di fronte al ciclo Cremaster di Matthew Barney.
Con ciò (purtroppo è necessario precisarlo) non si vuol certo sminuire la validità delle riflessioni che sono state presentate. Al contrario, si vuol piuttosto evidenziare come, nell’esteso universo che compone l’arte contemporanea, sono presenti anche riflessioni che attingono da elementi caratteristici della cultura condivisa, e che proprio tali riflessioni, utilizzando alfabeti che sono ben più diffusi di altri, potrebbero riuscire a rompere quel pregiudizio che, nel nostro Paese, crea una distanza importante tra i cittadini e l’arte contemporanea. Perché se è vero che spettacolarizzare l’arte è sbagliato, è altrettanto immaturo de-spettacolarizzarla con lo scopo piuttosto infantile di potersi sentire tra gli eletti a comprenderne i messaggi. Per la capacità espressiva di questa edizione, 320.000 visitatori italiani sono il successo della Biennale, ma sono anche il riflesso di un’Italia che non riesce a comunicare con chi non visita i musei. Nemmeno con tutte le casse del padiglione australiano.

Stefano Monti

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

Scopri di più