“Il corpo dato in pasto ai giorni“, scrivono i curatori Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo, ed effettivamente si ha la sensazione di avere a che fare con delle presenze fisiche ‒dei fantasmi di pelle pittorica ‒ letti alla stessa stregua di nature morte, di un bouquet di fiori, custoditi in un vaso all’angolo di una stanza umida. Umida di umori e intrisa di ricordi.
Dario Nanì (Ragusa, 1993), giovane artista siciliano di stanza a Bologna, in una storia d’amore passata, aveva ingaggiato una sorta di gara con se stesso: trasformare i fiori in immagini, per donarli al suo amato, che fossero più belli, più veri e profumati di quelli finti, regalati al compagno dal suo ex.

LA MOSTRA DI DARIO NANÌ A CASA VUOTA
La mostra racconta infatti di relazioni finite, di luoghi in cui Nanì ha transitato, di traslochi effettivi ed emotivi, di freni e di ripartenza, di un desiderio di vita e contatto umano che non viene pregiudicato da precedenti arresti e sconfitte amorose. Perché la scommessa è l’eterno rimettersi in gioco, rimboccarsi le maniche, investire sentimentalmente. Negli ambienti di Casa Vuota si dipanano così disegni e dipinti, alcuni quasi nascosti: da scoprire con argutezza in angoli insoliti o, addirittura, da maneggiare, avvicinare a piacere al proprio sguardo, esplorare con i sensi. La pittura gioca con una tavolozza soft ‒ tinte “ovattate” come il rosa e il celeste, l’aranciato, il verde anche smeraldino, il giallo pallido o più infuocato ‒, ma soprattutto mescola l’olio e i pastelli a olio in più stratificazioni, brillanti e seducenti. È la materia mnestica che affiora o si incava in lacerti d’ombra difficili da penetrare.
‒ Giorgia Basili
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