Sono scale ripide quelle che conducono in un luogo sospeso, un mezzanino che diviene camera picta e dove sono raccolti i grandi fogli di carta dai contorni singolari realizzati da Anna Capolupo (Lamezia Terme, 1983). Il sogno si tramuta in materia, pittura vivida dalla narrazione ordinata e talvolta convulsa, dove l’imprevisto figurativo riconduce l’immagine a un frammento quotidiano.

IL LINGUAGGIO PITTORICO DI ANNA CAPOLUPO
Le opere dell’artista di origine calabrese racchiudono un sentire personale, sono brani pittorici che ricordano gli ampi e antichi teleri e dove la natura morta non è solo un genere rappresentativo, ma è anche una traccia simbolica, archivio figurato di un’indagine antropologica che coniuga e prende in esame sia l’oggetto reale che quello irreale, inserito all’interno di una scenografia visiva dai contorni esotici, magici e atavici.
Capolupo esegue un trittico dai dettagli carnascialeschi in cui le lunghe tinte e le numerose figure sono attori e testimoni di un linguaggio composito, e il cromatismo ricorda alcune suggestioni pittoriche di Antonietta Raphaël. Ogni opera è caratterizzata da nastri intrecciati, legami silenti e laboriosi che abbracciano e tengono stretti non solo i pensieri, ma anche il colore e il disegno.
‒ Giuseppe Amedeo Arnesano
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