Piero Guccione e Achille Perilli a confronto al Mart di Rovereto

Il museo Mart di Rovereto propone le ricerche creative di Piero Guccione e Achille Perilli giudicandole complementari nel superamento del realismo. Il dialogo funziona?

Il siciliano Piero Guccione (Scicli, 1935 – Modica, 2018), in genere inserito nell’ambito figurativo, e il romano Achille Perilli (Roma, 1937 – Orvieto, 2021), recentemente scomparso, inscritto a tutti gli effetti nel filone dell’Astrattismo, possono essere accostati? Per i curatori della mostra Piero Guccione e Achille Perilli. Ai confini dell’astrazione, Marco Di Capua e Daniela Ferrari, ispirati da un’idea di Vittorio Sgarbi e Lorenzo Zichichi, metterli a confronto non è un azzardo. Ma una prospettiva inedita.

Piero Guccione, Il grido della luna. Collezione privata

Piero Guccione, Il grido della luna. Collezione privata

LA MOSTRA A ROVERETO

I due artisti del secondo Novecento hanno una propria connotazione: Guccione è attratto dalla luce e dall’assoluta immobilità del mare, “che però è costantemente in movimento. Io voglio fare il mare”, come specifica in un’intervista. Fino a diventare il movente del quadro, il grande protagonista della sua pittura. Ammaliato da quella leggerissima differenza di colore che appare all’orizzonte, con il mare e il cielo in una sempre rinnovata simbiosi. Un precipitare dell’uno nell’altro che si connota come parvenza sensoriale dell’infinito. Fra i quadri selezionati dai curatori ce ne sono due, Sulla spiaggia di Sampieri, del 1967, e Il grido della luna del 2000, che testimoniano il progressivo e inesorabile diradarsi del dato referenziale.
Se nella prima opera s’intravedono ancora tracce del reale, nell’intensità cromatica delle onde, nella seconda perdono rilevanza. L’immagine del mare di Guccione, che non ha niente a che vedere con la veduta, è rigorosa, essenziale, ascetica. Immersa nel silenzio. Le interferenze, i manufatti presenti in altre opere, muretti o linee telefoniche che servivano a scandire lo spazio, sono banditi. Ora lo spazio è cadenzato dal colore, dai suoi impercettibili mutamenti, azzurro-viola-azzurro, che annullano gli orizzonti fra mare e cielo; dalla luce che invade l’opera da ogni parte e riesce a raffigurare ciò che sembra impossibile: l’infinito.
Una pittura, quella di Guccione, dalla doppia lettura. Se la guardiamo da lontano può sembrare di semplice fattura. Vista da vicino, con attenzione, si scopre un affascinante e fittissimo intreccio di segni che rimanda all’impercettibile, eterno movimento dell’acqua.

Achille Perilli, La visione globale, 1973. Mart, Collezione Domenico Talamoni

Achille Perilli, La visione globale, 1973. Mart, Collezione Domenico Talamoni

ACHILLE PERILLI

Fondatore con Accardi, Attardi, Consagra, Sanfilippo e Turcato dello storico gruppo di ispirazione marxista Forma 1, Achille Perilli, è uno dei padri accreditati dell’Astrattismo italiano. Un’intelligenza lucida e geometrica la sua, alla base di una coerenza stilistica fondata su elementi primi, lontani da agganci figurativi, che dispone sulla tela come organetti. Innestandosi l’uno nell’altro fino a configurare una sorta di racconto, per figure rigorosamente aniconiche. Nel corso degli anni il pittore si lascia alle spalle la gestualità per un’astrazione assoluta. Scandita da intensi e brillanti cromatismi che vanno oltre la bidimensionalità, creando piani che agiscono in uno spazio senza gravità. Un procedere creativo allora, articolato in solidi geometrici visti in prospettiva, atonali dal punto di vista cromatico e suscettibili di molte varianti.

UN DIALOGO RIUSCITO?

Due modi di concepire il dipingere che sembrano agli antipodi. E tuttavia c’è qualcosa che li accomuna: la reazione al realismo, spiega Sgarbi, quello che, nel secondo dopoguerra, aveva il volto di Renato Guttuso. Una motivazione sicuramente valida dal punto di vista storico. È innegabile sia in Guccione sia in Perilli il sottrarsi alla sudditanza del dato. Ma si può condividere fino in fondo la tesi della mostra che inserisce tout court i due artisti nella “pura astrazione”, nello stesso “rigore formale” giudicandoli complementari? Nella scelta poietica sì.  Nella scelta dei soggetti, e nelle reazioni che possono suscitare le loro opere, meno. Se Il grido della luna, prima citato, può richiamare E il naufragar m’è dolce in questo mare, il voler sprofondare nella serenità dell’infinito, dove ogni rigore geometrico si annulla, ne La visione globale di Perilli del 1973 il rigore geometrico ci sta tutto come pure l’atonalità cromatica e la concettuale strutturazione dello spazio. Ma nessuna voglia di naufragare.

Fausto Politino

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Fausto Politino

Fausto Politino

Laureato in Filosofia con una tesi sul pensiero di Sartre. Abilitato in Storia e Filosofia, già docente di ruolo nella secondaria di primo grado, ha superato un concorso nazionale per dirigente scolastico. Interessato alla ricerca pedagogico-didattica, ha contribuito alla diffusione…

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