In Sardegna una cantina vinicola rende omaggio a Maria Lai

C'è un luogo in Ogliastra, a due passi dai tacchi calcarei di Ulassai, dove le distese di verde si confondono con l’azzurro della costa. Un luogo famoso per i suoi vitigni, dove proprio una cantina ha deciso di aprirsi all'arte e ospitare un’eccezionale selezione di opere inedite di Maria Lai.

Quest’estate Jerzu, città del vino in provincia di Nuoro, ospita la mostra Ricucire il dolore – Tessere la speranza. La “Via Crucis” di Maria Lai, con la quale si inaugura un suggestivo spazio della Cantina Antichi Poderi, affidato all’Archivio Maria Lai e recentemente restaurato per accogliere eventi culturali.
La mostra, a cura di Micol Forti – curatrice della Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani –, dà il via alla prima edizione di Un filo bianco, festival promosso dalla Fondazione e Archivio Maria Lai e dalla Parrocchia di Ulassai con l’obiettivo di ragionare sul significato che oggi assumono le varie stazioni della Via Crucis. Questo appuntamento riflette sulla prima stazione, un’“Ingiusta condanna”, e lo fa già a partire dal titolo della mostra, profondamente radicato nel momento storico attuale, intriso di sofferenza e speranza proprio come lo è la Via Crucis.

MARIA LAI E LA RELIGIONE

Il dolore crea una lacerazione che l’arte si impegna a sanare ponendo degli interrogativi capaci di guidarci verso il futuro che intendiamo costruire. In questo contesto il filo, cifra peculiare dell’arte di Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardedu, 2013), lega gli spazi vuoti. Unisce, ripara, guarisce per tessere immagini ideali del mondo che verrà. Non a caso, tessere la speranza è un atto attivo, che implica uno sforzo collettivo di ricerca per raggiungere risposte condivise.
Per l’artista la sfera del sacro riveste un ruolo chiave in qualità di aspetto della vita sociale di un individuo, come testimoniato dalla selezione di opere, in gran parte inedite, presenti in mostra. Tra queste spiccano tre stazioni della Via Crucis che Lai realizza nel 1981 per la chiesa di S. Antioco martire a Ulassai, un lavoro dal profilo marcatamente verticale, in cui il filo bianco tesse contorni leggeri che si stagliano su fondo nero. A distanza di qualche anno Maria Lai interviene proprio con il filo sulle fotocopie che lei stessa aveva realizzato della sua opera, dando forma a nuove stazioni qui esposte per la prima volta.

Maria Lai, Senza titolo, 1942 © Archivio Maria Lai by SIAE 2021. Photo Giorgio Dettori

Maria Lai, Senza titolo, 1942 © Archivio Maria Lai by SIAE 2021. Photo Giorgio Dettori

ARTE, DOLORE E MEMORIA

Lontana dagli ori e dalle pietre preziose, Lai ci dimostra ancora una volta che l’arte può essere fatta di materie povere che nella loro semplicità sprigionano ancora più forza, cogliendo una sofferenza universale resa evidente attraverso pochi ma incisivi elementi. Ne è testimonianza Sindone, telo struggente e intenso in cui il volto di Cristo prende forma attraverso il filo, materiale capace di condensare nel tratto ciò che non si vede, originando un dialogo lirico tra l’uomo e l’universo.
Come sosteneva la stessa artista, “la religione promette certezze, l’arte si apre al mistero. La religione promette vita eterna, l’arte esalta la vita che contiene la morte”. L’arte diventa così un prezioso strumento per trasfigurare l’ordinario. Infatti in mostra le due tematiche del sacro e del lavoro si guardano, compenetrandosi a vicenda, come è evidente nella selezione di disegni inediti realizzati tra gli Anni Quaranta e gli Anni Sessanta: epifania del mondo che con un tratto asciutto e rapido svela gesti di tutti i giorni perché – come evidenzia la curatrice – “la sacralità è nelle nostre vite, fa parte del nostro quotidiano e fa parte di noi anche se non siamo credenti”.

TESSERE LA SPERANZA CON L’ARTE

Le incertezze e i grovigli esprimono la mia tensione verso altri spazi”, affermava Maria Lai. Con lo sguardo teso verso l’altrove e gli occhi rivolti a un paesaggio solenne, carico di silenzio, e allo spazio che si apre verso il mare, non è difficile comprende quell’ansia d’infinito che è stata linfa vitale del percorso di Maria Lai.
La memoria acquista valore ancora maggiore se diventa strumento di confronto con il presente. Ricucire il dolore – Tessere la speranza dimostra come la vera arte sia una dimensione eterea, eppure potente, capace di raccontare il dolore, suscitando al contempo un impulso fortemente collettivo volto alla costruzione di una speranza comune.

Elisabetta Masala

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Elisabetta Masala

Elisabetta Masala

Nata a Cagliari, si laurea in Storia dell'arte formandosi tra la Sardegna, la Spagna e Roma. Nel 2014 consegue il diploma di Specializzazione in beni storico-artistici presso l'Università di Roma “La Sapienza” con una tesi in Storia dell'arte contemporanea. Si…

Scopri di più