Un anti-museo per i Mapuche. A Bolzano

Gioielli in argento, per collegare il passato dei Mapuche con il loro presente di lotte e rivendicazioni. Un progetto di Elena Mazzi che include più voci per superare la visione stereotipata legata ai nativi americani della Patagonia. Al centro della mostra sostenuta dall’Italian Council. Mapuche e grandi multinazionali, una lunga storia di incomprensione, sopraffazione e resistenza.

All’ar/ge kunst di Bolzano si parla di diritti violati, di popoli che rivendicano la propria cultura, il proprio senso identitario contro la logica del profitto portata avanti dalle grandi multinazionali. La mostra che focalizza la propria attenzione sul popolo dei Mapuche in Patagonia è sostenuta dall’Italian Council, sarà poi presentata alla Södertälje Konsthall, all’Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires e alla BIENALSUR per poi entrare nella collezione del Castello di Rivoli.
Non è la prima volta che lo spazio bolzanino affronta tematiche legate a nuove forme di colonialismo, a nuovi imperi. Stavolta protagonista del progetto è l’artista Elena Mazzi (Reggio Emilia, 1984), nota per la sua propensione alla pratica partecipativa, alla coautorialità e all’attenzione rivolta al rapporto uomo / natura / cultura come già mostrato nel video A fragmented world, girato sull’Etna insieme a Sara Tirelli.

LA CULTURA VIVA DEI MAPUCHE

In questa occasione diverse le figure coinvolte nella realizzazione del progetto, in cantiere da lungo tempo. L’artista, infatti, già dal 2012 ha avviato un dialogo con i gruppi indigeni in Patagonia, che a partire dalla fine dell’Ottocento si sono visti espropriare le terre, relegati e confinati nelle riserve. La lotta dei Mapuche per salvaguardare la terra madre, elemento fondamentale nella loro visione del mondo, ha attirato sempre più l’attenzione internazionale stimolando un attivismo non solo a livello locale, ma anche da parte di associazioni diffuse in tutto il mondo. Tra le multinazionali e i nuovi grandi “latifondisti” compare il gruppo Benetton, divenuto proprietario di un territorio di 900mila ettari dove pascolano quasi 100mila pecore che forniscono gran parte della lana pregiata per il noto marchio.
La mostra allestita negli spazi di ar/ge kunst intende ricreare una sorta di anti-museo rispetto al Museo Leleque dedicato al popolo Mapuche, realizzato all’interno della proprietà Benetton in Patagonia. Il Leleque sembra trattare la cultura indigena come qualcosa di estinto, da musealizzare, ignorando del tutto le lotte attuali, la cultura ancora viva, la volontà di difendere il proprio atavico rapporto con la natura.

Silver Rights. Elena Mazzi in dialogo con Eduardo Molinari. Exhibition view at ar_ge kunst, Bolzano 2021. Photo Tiberio Sorvillo

Silver Rights. Elena Mazzi in dialogo con Eduardo Molinari. Exhibition view at ar_ge kunst, Bolzano 2021. Photo Tiberio Sorvillo

ELENA MAZZI E IL SUO PROGETTO PARTECIPATIVO

La mostra si pone a compimento di un viaggio, intrapreso da Elena Mazzi nel gennaio 2020 prima dello scoppio della pandemia, una carovana internazionale fatta di reporter, giornalisti e associazioni che ha permesso all’artista di entrare in contatto con le diverse comunità e avviare insieme al capo spirituale Mapuche Mauro Millàn un progetto di workshop volto a conoscere il modo in cui le comunità stanno reagendo e affrontando sfide e rivendicazioni attuali promuovendo anche il recupero di un’arte tradizionale come quella dell’argenteria. I laboratori sono stati finalizzati alla produzione di gioielli in argento che mescolano forme e simbologie tradizionali con significati attuali e vivi.
Nella prima sala della galleria è esposta una grande installazione in cui disegni e immagini su carta e tessuto si relazionano con quattro storie che rievocano la determinazione del popolo Mapuche a non piegarsi all’idea preconcetta di stampo colonialista, del popolo da addomesticare e della Patagonia come terra selvaggia da cui ricavare risorse. Un viaggio tra le lotte dei Mapuche che attraversa il passato ed il presente. Nei disegni compaiono dei puma uccisi da un proprietario terriero per essere esibiti come trofei, la mappa del Museo Leleque, le immagini della Patagonia prima delle divisioni tra Cile ed Argentina.
L’allestimento curato da Alessandro Mason, prevede poi l’incontro con una sorta di barriera, un pannello informativo che guida lo spettatore ad un approccio corretto con l’ultima parte della mostra, l’esposizione di gioielli cui non si accede senza essersi adeguatamente informati sull’importanza dell’arte dell’argenteria per i Mapuche. Combattendo l’idea preconfezionata del selvaggio ingenuo o feroce, i gioielli di queste comunità sono simbolo di una cosmovisione diversa rispetto a quella della cultura bianca. L’equilibrio e l’armonia tra uomo e natura non possono essere violati dalla logica del profitto e dello sfruttamento delle risorse.

– Antonella Palladino

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Antonella Palladino

Antonella Palladino

Ha studiato Storia dell’arte presso le Università di Napoli e Colonia, laureandosi in Conservazione dei Beni Culturali con una tesi dal titolo “Identità e alterità dalla Body Art al Post-Human”. Ha proseguito la propria formazione alla Fondazione Morra e poi…

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