Verona: collezionista Mauro De Iorio apre centro diagnostico con collezione di arte contemporanea

A volerlo è Mauro De Iorio, collezionista e titolare di una società con centri medici a Verona, Trento e Rovereto, che ci ha raccontato in questa intervista del suo ultimo progetto. L’obiettivo è mettere spazi privati a disposizione del pubblico e far entrare l’arte contemporanea nella sfera del quotidiano, conciliando mondi diversi.

Mauro De Iorio è medico radiologo e imprenditore sanitario. La sua attività come collezionista nasce nel 2002 con il suo primo acquisto, l’opera Orfeo (1988) di Giulio Paolini. È il primo passo verso una raccolta che conta oggi circa 600 pezzi: ci sono autori storicizzati della seconda metà del Novecento, come Carla Accardi, Gianfranco Baruchello, Gina Pane, Tony Cragg, Sol LeWitt e Ettore Spalletti, accanto a una ricerca che con il tempo si è fatta sempre più aperta verso i giovani e gli artisti internazionali: Korakrit Arunanondchai, Josh Kline o Petrit Halilaj, per citarne alcuni. Una passione trasmessagli dal padre, già collezionista d’arte antica, e che De Iorio ha indirizzato nel suo percorso verso i linguaggi della contemporaneità. Anche se il mondo dell’arte e quello medico possono sembrare agli antipodi, nella ricerca di De Iorio spesso convergono: ecco che la medicina, la diagnostica e l’indagine del corpo umano emergono come temi ricorrenti nelle opere da lui raccolte. La sua rete di centri diagnostici consiste oggi in un ambulatorio a Trento (nella stessa città si trova anche uno spazio espositivo autonomo), uno a Rovereto e due a Verona. Quello attualmente in costruzione sarà il terzo centro diagnostico veronese al quale si affiancherà in uno spazio attiguo la sua collezione. Ce ne ha parlato De Iorio in questa intervista.

Il nuovo spazio di collezione De Iorio a Verona

Il nuovo spazio di collezione De Iorio a Verona

È in preparazione il terzo centro a Verona, che sarà una realtà ibrida tra studio medico e spazio espositivo. Cosa dobbiamo aspettarci?
Volevo aprire un nuovo studio medico nella città, ma cercavo allo stesso tempo uno spazio dove poter organizzare attività complementari. Durante la mia ricerca, ho individuato una struttura dotata di un nucleo centrale e una vecchia segheria risalente agli anni Trenta molto interessante dal punto di vista architettonico. Ho colto la palla al balzo e ho fatto costruire un centro medico di 1600 metri quadrati, uno spazio molto moderno e pulito, demolendo alcune parti non più utilizzabili. La segheria, invece, è stata ristrutturata mantenendo l’aspetto originario e rimanendo quasi intatta. Ora stiamo costruendo un soppalco che ne aumenterà lo spazio, permettendo di ospitare mostre e eventi.

Secondo questo modus operandi non si tratta quindi di arredare semplicemente lo studio medico con opere d’arte, bensì di creare uno spazio attiguo dedicato alla collezione.
Sì, ma non solo. Vorrei ricalcare l’esperienza di Trento, in cui ho portato 45 opere nel centro diagnostico, distribuendole negli studi e nelle sale d’attesa. Ovviamente le ho scelte assieme al personale che ci lavora, cercando di andare incontro ai suoi gusti: voglio che le opere restituiscano una sensazione di piacevolezza a chi si trova dentro allo studio. Ho preso poi in affitto un open space che si trova lì accanto di 350 metri quadrati, in cui ho allestito circa 70 lavori. Il nuovo progetto di Verona vorrei che si rifacesse a questo modello.

Si tratta quindi di due ambiti molto diversi – quello artistico e quello medico -, che in questo modo vengono messi in dialogo.
L’idea è che negli spazi medici ci siano sempre una cinquantina di lavori e che le due realtà siano separate ma collegate fisicamente da un passaggio. Nello studio di Verona ci sarà una terrazza in comune (che useremo anche per eventi) e i pazienti che vengono a trovarci potranno passare di lì per andare a visitare la collezione. È una situazione piuttosto nuova in Italia.

Visto il tipo di progetti a cui ha dato vita finora, lei crede in qualche modo a effetto terapeutico dell’arte?
Non proprio. Non uso l’arte come terapia, non penso che possa servire a curare una rottura del menisco! Contrasterebbe con la mia formazione e visione scientifica [ride, ndr]. Ovviamente, però, credo che il bello sia una cosa che faccia bene allo spirito e anche al corpo. Tutto quello che è bellezza stimola endorfine e serotonina, la felicità insomma. Penso che la visione olistica dell’uomo sia fondamentale per raggiungere il benessere.

È evidente che la sua collezione, che parte da una fascinazione personale, non possa prescindere dallo spirito di condivisione con il pubblico.
È sempre grande la voglia di mostrare la collezione al pubblico. Il nuovo spazio di Verona dovrebbe essere completato per fine marzo. Poi procederemo con gli allestimenti: come di consueto, inizierò col mettere pochi pezzi nello spazio per vedere come dialogano tra loro e procederò così, fino a ottenere un risultato soddisfacente.

– Giulia Ronchi

http://www.collezionedeiorio.art/

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Giulia Ronchi

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi è nata a Pesaro nel 1991. È laureata in Scienze dei Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano e in Visual Cultures e Pratiche curatoriali presso l’Accademia di Brera. È stata tra i fondatori del gruppo curatoriale OUT44, organizzando…

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