Fase 2. Torna la parola agli artisti

14 artisti raccontano come hanno vissuto la quarantena e come si immaginano il futuro a partire dal loro settore. Continua la survey di Artribune.

Cosa pensano gli artisti italiani del momento che stiamo vivendo? Come cambierà il mondo? E il nostro settore? Come è cambiato il loro modo di lavorare? Quali visioni per il futuro? Lo abbiamo chiesto a 14 artiste e artisti, in una survey che è ancora in corso (qui la prima puntata).

Santa Nastro

MILTOS MANETAS

Miltos Manetas, Selfportrait with the less priviledged

Miltos Manetas, Selfportrait with the less priviledged

Non ha più importanza chi siamo ‒ siamo dei privilegiati, punto. Quello che ora importa è cosa non vogliamo essere una volta che il pericolo di questa prima disgrazia finirà. Ne seguiranno presto altre: disgrazie climatiche ancora più acute, perché l’1% della popolazione che detiene la ricchezza e i loro servi sono dei suicidi, altrimenti non sarebbero gli uni così ricchi, gli altri così potenti. Appena finisce il COVID-19, diventeranno ancora più ricchi ‒ e anche noi parassiti, artisti e intellettuali, potremo essere più ricchi di quanto non lo siamo mai stati. Distruggendo quel che è rimasto del senso comune, facendo soffrire ancora di più chi è debole. La cosa terribile è che io non vedo l’ora che questo avvenga: aerei più comodi solo per pochi di noi, spiagge senza turisti. Tutto per loro e per noi: i loro ospiti. C’è però qualcosa che non mi consente di divertirmi pienamente. Che cosa sarà?

FLAVIO FAVELLI

Flavio Favelli. Photo Sebastiano Luciano

Flavio Favelli. Photo Sebastiano Luciano

Penso che siano stati due mesi interessanti anche perché, per ora, così sembra, non ho contratto il virus a corona. C’era uno che all’inizio disse che era una scusa degli italiani per fare una vacanza. Poi si pentì perché anche da lui venne il contagio. Forse per molti italiani è stata una vacanza. Per me è stato soprattutto avere più tempo per scrivere e pensare. E questa possibilità me l’ha data un virus che ha fatto morti (per certi i morti sono in fondo pochi, ma la paura di morire a volte è forse più forte della morte) e ha paralizzato il Paese e lo terrà semiparalizzato per anni. Ho sperimentato ancora di più che stare sull’Appennino e non andare in città per due mesi è molto interessante, quasi più del piacere di andare in giro e vedere cose. Come per la crisi economica, molti diranno che rimarrà solo la qualità e la fuffa sparirà, ma è la solita illusione, anche perché la qualità non esiste.

ELENA BELLANTONI

Elena Bellantoni

Elena Bellantoni

Come afferma Franco Berardi Bifo nelle sue cronache della piscodeflazione che mi hanno tenuto col cervello acceso in questo lungo periodo su radiovirus.org: “La Terra si sta ribellando contro il mondo. L’inquinamento diminuisce in maniera evidente. Lo dicono i satelliti che mandano foto della Cina e della Padania del tutto diverse da quelle che mandavano due mesi fa”. Il corpo planetario, così lo definisce Bifo, è entrato in convulsione dopo decenni di accelerazione, è colpito dal collasso della frenesia della crescita: il virus semiotico sottrae i corpi all’economia, i corpi rallentano i loro movimenti. Al panico iniziale che tutti abbiamo vissuto, esorcizzato sui balconi, è subentrato un senso di abbattimento e di triste rassegnazione. Abbiamo capito che anche le relazioni stavano cambiando radicalmente, tutti siamo diventati umorali con giornate sì e giornate decisamente no. Come dentro una scatola di oggetti fatti di cristallo abbiamo iniziato a fare movimenti rallentati e il nostro corpo, decreto dopo decreto, si è lentamente fermato.
La “prigionia domestica” può anche generare una sensazione di blocco che non si traduce nella voglia di leggere romanzi o di essere creativi.
Lo slogan dell’autoreclusione domestica con l’hashtag che ci ha accompagnato in questi mesi #iorestoacasa si basa sul principio che tutto sia convertibile in attività casalinga, non lo condivido totalmente. Riporto qui le parole di Nick Cave che approvo e sostengo: Come artista, per me, questo non è un momento per essere sepolto nel business della creazione. È il momento di fare un passo indietro e sfruttare questa opportunità per riflettere su quale sia esattamente la nostra funzione ‒ a cosa serviamo noi, in quanto artisti.

FRANCESCA GRILLI

Francesca Grilli, 2016. Photo © Tobias Bohm

Francesca Grilli, 2016. Photo © Tobias Bohm

Il COVID-19 ci ha colto tutti impreparati. Ci potevamo aspettare una guerra, ma sicuramente non un virus, che per di più agisse subdolamente, preciso come una lama, togliendoci la socialità, la condivisione, l’arte. Allo stesso tempo, questo ribaltamento di prospettiva forzato mi ha costretta a rivedere le priorità, le possibilità. In questi mesi ho attraversato diversi stati emozionali, dalla paura alla tristezza alla preoccupazione, soprattutto per i miei cari che non potevo raggiungere, ma anche per la mia ricerca artistica che è fatta proprio di condivisione, di contatto, di empatia e di esperienze (performative). Ma, dopo una prima paura, sono entrata in una fase di empatia profonda con amici, ma anche colleghi, curatori, addetti ai lavori con cui mi confrontavo per immaginare un futuro, per pensare a nuovi progetti, nello spavento dell’incertezza. Lo scambio umano e di pensiero, durante questo periodo, è stato grandioso: ho sentito un abbraccio stretto, nel bisogno collettivo di diventare una comunità che si riconosce e si specchia negli occhi degli altri. Se dovessi pensare a un investimento futuro per le arti e per la società a venire, riporrei tutti i miei sogni ed energie su progetti di Public Art.

CRISTIAN CHIRONI

Cristian Chironi

Cristian Chironi

Siamo consapevoli che non torneremo presto alla situazione pre-pandemia e stiamo vivendo in un momento alimentato da tante incognite. Questo periodo potrebbe essere colto come un’opportunità piuttosto che come un ostacolo, per esplorare altre modalità di comunicazione. I modelli attuali per l’accesso e la diffusione delle arti dovranno essere riconsiderati e seguire linee diverse. L’atteggiamento alla base del mio lavoro proseguirà invitando il pubblico a prendere parte al processo artistico, capendo dove sarà opportuno ricalibrare pratiche, temporalità e modi di riunirsi. La performance a lungo termine My house is a Le Corbusier si interrogherà su come cercare l’interazione con il contesto, umano e ambientale, dalla prossima tappa a La Chaux du Fonds a novembre. Per Les Parallèles du Sud MANIFESTA 13, capiremo come far salire il visitatore_copilota a bordo della Fiat 127 Special (Camaleonte), con incontri individuali fruibili a distanza da diversi canali. L’accompagnamento artistico farà da perno anche per il progetto al MUSEION nel mese di ottobre, tra residenza in città, installazioni, workshop e interazioni con il territorio.

LUCA VITONE

Luca Vitone. Photo Jens Ziehe

Luca Vitone. Photo Jens Ziehe

Per quanto riguarda la vita personale, posso dire di essermi goduto questo periodo di clausura in cui non ho più dovuto spostarmi e ho beneficiato della vita famigliare chiusi nel nostro appartamento circondati da una città sprofondata nel silenzio e con un’aria finalmente respirabile. Questa condizione letteralmente inedita ha trasformato totalmente la percezione del presente, consapevoli che si trattasse di un presente che per quanto potesse dilatarsi sarebbe rimasto un presente. Col passare dei giorni ci si rese conto che gli appuntamenti in calendario stavano saltando per essere rimandati a data da destinarsi e si pensava che avremmo avuto tempo per approfondire argomenti utili ai progetti in corso e portare a termine opere rimaste abbozzate. Ma di tutto questo veramente poco si è fatto, un po’ come accade per i propositi per l’anno nuovo, perché subito sono arrivate richieste di partecipazioni a progetti online da diverse istituzioni che hanno colmato quel vuoto apparente. Mai stato meno solo come in questo vuoto, grazie ai nostri dispositivi tecnologici. Telefonate, messaggi, comunicazioni in video di varia natura per chiacchiere, resoconti, riflessioni sul presente e tentativi di analizzare il futuro, parole di conforto e di incoraggiamento. Nel frattempo il nostro ambito si stava organizzando per la riapertura cercando di riflettere come migliorare la propria natura. Il mondo apparentemente sempre pronto a difendere la natura già si organizzava per affinare il progresso del Capitale alle sue spalle.

MARGHERITA MOSCARDINI

Margherita Moscardini

Margherita Moscardini

Credo che questa pandemia non sarà abbastanza crudele da produrre cambi di paradigma come una cittadinanza universale, un reddito universale per una ridistribuzione delle ricchezze, un’economia circolare che rifondi i sistemi produttivi globali a salvaguardia del pianeta. Ma intanto queste visioni circolano, non sono più solo letteratura.
Negli ultimi mesi ho apprezzato chi nel nostro settore ha taciuto sapendo ascoltare questo tempo e le sue possibilità. Spero che il fare arte si asciughi del contorno che lo ha distratto e indebolito. Spero che gli artisti si rifiutino di lavorare senza incarico e compenso sull’idea disfunzionale che una nuova produzione da poter vendere e il pregio promessi da una mostra possano legittimare la gratuità del loro lavoro in aiuto a un sistema di operatori tutti regolarmente retribuiti. Forse l’arte migliore non è in vendita, l’arte non ha prezzo e dovrebbe essere riconosciuta come una  res communis omnium, un bene dell’umanità intera da donare oppure cedere a prezzi inverosimili a condizione che sia sempre e solo pubblica. Sarebbe interessante se globalmente le istituzioni cittadine aiutassero gli autori a svincolarsi dal mercato così come duecento anni fa i mercanti li aiutarono a svincolarsi dai grandi committenti.

CHRISTIANE LÖHR

Christiane Löhr

Christiane Löhr

Per me è difficile fare una valutazione sulle conseguenze del COVID-19 a livello mondiale. Certo, cambia la vita, in quanto è spaventoso doversi rendere conto di quanta debolezza ci sia nei sistemi quotidiani organizzativi che governano le nostre esistenze. L’aspetto che mi preoccupa maggiormente tuttavia è la situazione dei Paesi africani o dell’India, dove la mera sopravvivenza è messa ancor di più a rischio dalla mancanza di un sistema sanitario per tutti.
Relativamente al nostro settore credo sia prematuro fare delle valutazioni sulle conseguenze di ciò che accade, ma sono convinta che il bisogno di Arte non si fermerà certo per qualche mese di rinunce e difficoltà. Sono sicura che, anche se lentamente e in modo ridotto, ci sarà ripresa e continuità.
Per quello che riguarda il mio lavoro non è cambiato molto, anche se ho dovuto rimandare programmi di viaggi e allestimenti di mostre, ma ciò mi permette di passare molto tempo in studio e di completare, con qualche difficoltà e complicazione, la mia monografia. Certo, lo slittamento o l’annullamento delle fiere e delle mostre già in programma non è positivo, ma io ho molta fiducia nel futuro e nel mio lavoro.

IGINIO DE LUCA

Iginio De Luca. Photo Fabio Caricchia

Iginio De Luca. Photo Fabio Caricchia

È il momento della sottrazione e dello smarrimento cui non so ancora dare un nome, un suono, un’immagine. Più che pensare, sento visceralmente questo tempo cruciale, un’apnea prolungata che congela lo spazio, screma le importanze, marca le distanze fisiche e verifica quelle affettive. Vorrei chiamarle le priorità emotive, perché da un trauma locale e globale il proprio sentire sarà il grado zero per ridare senso alla realtà.
Non so quale futuro per l’arte, sicuramente sarà il frutto di una trasformazione passionale prima che professionale e strategica, capace di scendere nelle nostre fondamenta sensibili e setacciarne i desideri primari, inceppando le pieghe del sistema in un momento così incerto e sospeso. Avremo di fronte smottamenti economici, etici e biografici e l’arte interrogherà e metabolizzerà queste metamorfosi e l’opera, la più sublime tra le metabolizzazioni, sarà un cardine sociale e poetico, nella possibilità di creare significato radicandosi in qualsiasi condizione.
Nel tempo alterato, dedico ascolto a quello che per me è l’inizio di tutto: la pittura. Una parentesi creativa per non essere travolto, un rifugio mentale più che tecnico che ricodifica e destabilizza le fasi del mio lavoro, convinto sempre più che l’arte è stata e sarà la mia protezione, il mio personale vaccino contro gli abissi della vita.

FABRIZIO BELLOMO

Fabrizio Bellomo

Fabrizio Bellomo

Sono attonito, di fronte alla cieca accelerazione del ‘nuovo mondo’ – quello dell’algoritmo digitale che controlla l’uomo e della continua e perpetua atomizzazione della società.
Le tabelle educative per strada, davanti agli ingressi dei negozi, che invitano a usare mascherina e guanti – come quelli di matrice fordista affissi nelle vecchie fabbriche: “È obbligatorio l’uso della cintura di sicurezza”. I segnaposto – sull’asfalto – che ti indicano come muovere i tuoi passi. La “Fabbrica Diffusa” continua a diffondersi – ma sono fiducioso nei “Pesci che scappano alla rete della Storia” di Montale. D’altronde a loro ho sempre rivolto le mie attenzioni. Dal Sud: questo atavico senso del sapersi svincolare dalle costrizioni delle griglie c’è – e si percepisce. Rispetto all’arte: potrebbe essere il tempo di indirizzare le energie sullo spazio pubblico – via da gallerie e musei – ma ciò non vuol dire che questi debbano chiudere – anzi: però reinventare la loro funzione, si.

MASBEDO

Masbedo, Protocol no 90-6, 2018. Archivio di Stato di Palermo

Masbedo, Protocol no 90-6, 2018. Archivio di Stato di Palermo

Dobbiamo spazzare via tutti i gonfiati e tutte quelle personalità egotistiche che rifuggono dal confronto e dal creare nuove comunità. Via i “troppo sicuri”, via  tutti quelli che si auto / incoronano perché alterati da una personalità troppo ricca di ombelichi e specchi. La Fase 2 per nostra fortuna non ha nulla da spartire con la paralisi della nostra vanità. Dobbiamo ridurre il glamour e spogliarlo con la ricchezza della nostra povertà, rendiamo fertile questo tempo paralitico. Cancelliamo l’estensione della lotta e scardiniamo tutto il superfluo che si è accumulato in questi anni. Noi come voi siamo stati complici. Complici di troppe disattenzioni. Complici e affini. Allentiamo la sopravvivenza. Gli artisti hanno bisogno di uno statuto, di leggi e diritti d’autore. Chiediamo la possibilità non utopistica di far parte di un ingranaggio culturale che consideriamo un bene indispensabile per questo Paese. In Germania tutto questo accade. Vogliamo un dialogo costante con le istituzioni e prenderci la libertà di partecipare in modo attivo al nostro tempo. Abbiamo la responsabilità di consegnare ai nostri figli una nuova testimonianza, l’esperienza diretta di una poetica sociale che in futuro sarà solo da rivivere e continuare.
La politica come la vita è l’arte del possibile. Insistiamo sul coraggio e ricordiamoci che il coraggio è un muscolo che si deve allenare. Ma attenzione: esiste il rischio del “potrei ma non voglio”, ovvero del desiderio inconscio di ritornare al prima senza aver tentato un possibile e faticoso cambiamento; tra le pulsioni distruttive degli artisti c’è di certo l’autocommiserazione, ovvero la disponibilità illimitata a rimandare la scelta perché il rischio di fallire e di perdersi esiste ed è reale. Ma davvero vogliamo ancora sopravvivere nella certezza che siamo capaci di sfamarci con il poco degli avanzi? È così creativo nuotare a cerchio nella nostra palude? A noi tutti quindi la scelta, il futuro, la sentenza.

PATRICK TUTTOFUOCO

Patrick Tuttofuoco. Photo Gaia Degli Esposti

Patrick Tuttofuoco. Photo Gaia Degli Esposti

Sono stati mesi incredibilmente complessi e intensi per il mondo. La nostra capacità di percezione spazio-temporale si è trasformata varie volte cercando di adattarsi a scenari assolutamente imprevedibili. Ci vuole molto distacco, ma se per un momento ci concentriamo soltanto sulla portata di quello che sta accadendo potremmo anche trovare il modo per viverlo quasi come un esperimento dal potenziale evolutivo ampissimo.
È difficile perché molti di noi sono feriti e lo saranno ancora a lungo, ma io credo che nella sofferenza vissuta risieda una forza e un’energia di cambiamento che sarebbe imperdonabile sprecare. Il nostro mondo dovrebbe essere il primo a registrare questa possibilità e a trovare il modo di darle una forma sia estetica che teorica, dobbiamo dimenticare tanto del superfluo che ci sembrava vitale e credere ancora di più nelle idee al di là della loro capacità di convincere qualsiasi mercato.
Per un artista è una sfida tanto difficile quanto spontanea ed emozionante. La pratica artistica non è un sistema di produzione di un bene, ma è prima di tutto un percorso per affrontare e trasformare il mondo, partendo dal proprio sguardo per arrivare a una consapevolezza diffusa. È sicuramente un bene se il mercato trova una nuova dimensione ed equilibrio ma perché ciò avvenga bisogna ripensare alle priorità e a come attribuiamo valore alle cose.

TIZIANO MARTINI

Tiziano Martini

Tiziano Martini

La situazione colpisce tutti in un modo o nell’altro. I danni e le ripercussioni hanno pesi invece molto specifici e singolari. Il mondo dell’arte è un tessuto dalle trame molto fragili, nutrito da speranze, illusioni, fatto di tempi biblici, gioie, frustrazioni; il tutto unito da un collante di interessi ed entusiasmi già di per sé molto aleatori, sfuggenti e influenzati da trend. Personalmente non ho notato grandi azioni solidali. Cambi di rotta importanti? No. Qualche omaggio qua e là per sostenere qualcuno ma nulla di più. Solo rallentamenti.
Il codice Ateco che identifica la nostra attività rientra fortunatamente tra quelli che permettono di continuare l’attività all’interno dello studio, anche durante la quarantena più severa. In termini pratici l’artista, essendo un professionista con partita iva, si ritrova a dover far i conti con le stesse identiche problematiche dell’artigiano o del barista. E sarebbe bugiardo dire che la cosa non si ripercuota sull’umore o sui risultati.

ANGELO MOSCA

Angelo Mosca. Photo Anna Viktorovna Faktorovich

Angelo Mosca. Photo Anna Viktorovna Faktorovich

Rispetto al mondo credo sia un po’ presto per trarre delle conclusioni o prefigurarsi uno scenario prossimo venturo. I dati più tangibili, una volta certi di essere sopravvissuti, sono le ripercussioni economiche con le quali stiamo già facendo i conti. La mia generazione ha una certa familiarità con le crisi, potremmo dire che ciclicamente e con cadenza quasi regolare ne arriva una. Questa pare la più difficile, la Crisi delle Crisi.  Che fa l’artista?   Per quanto mi riguarda spostando lo studio, nel 2016, da Londra a Castel di Ieri (piccolo borgo di 300 anime nella provincia dell’Aquila) avevo già qualche presentimento, non pensavo naturalmente al Coronavirus ma che un certo modo di concepire l’arte stesse entrando per così dire “in crisi” sì. I sintomi sono sempre gli stessi e siamo abituati a riconoscerli.
Essendo l’artista perennemente in crisi con il suo lavoro e guai se non lo fosse, non si capisce mai bene qual è il confine; se è il mondo che è in crisi o se lo sei tu. Ho comunque avvertito la necessità di cercare altro, riflettevo sull’arte ma soprattutto sul ruolo e la figura dell’artista. Mi sono ritrovato in questo borgo medioevale: da una parte il sindaco, affidandomi la direzione del piccolo Museo Spazio\Studio e coinvolgendomi anche nelle scelte della politica culturale, ha messo me e dunque metaforicamente l’artista al centro del dibattito. Che poi era un po’ quello che cercavo. Dall’altra mi sono ritirato in una dimensione più intima, domestica. Diciamo che ho iniziato un mio personale lockdown prima che mi fosse imposto. Mi sono preso un tempo. Da diversi anni mettevo da parte da parte oggetti inutili, ninnoli, cose varie che di solito vengono regalate oppure oggetti per noi importanti che invece per un motivo o per l’altro nel tempo si sono deteriorati o inavvertitamente rotti. Ebbene, assemblando queste cose e toccandole con il colore ho creato quelle che poi sono diventate le “sculture domestiche”. La pittura al contempo ha preso una diversa consistenza ed è come se avessi raccolto e sintetizzato tutte le mie precedenti esperienze… insomma posso ritenermi soddisfatto e questo per un artista è molto importante. Ripeto, ciò che ci accadrà non è dato saperlo o forse è meglio non chiederselo neppure. È importante in certi momenti fermare i pensieri per poter andare avanti. Ma non è un esercizio facile.

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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