Marshall Applewhite nel 1999 invitava in tv i seguaci della propria setta a un suicidio di massa: in un video delirante sosteneva infatti che presto la Terra sarebbe stata rasa al suolo e che il suicidio avrebbe consentito la salvezza delle anime. Parte da questa suggestione la complessa mostra che Mishka Henner (Bruxells, 1986) ha installato alla Galleria Bianconi di Milano, rivelando un’indagine connessa alle trasformazioni della Terra, ai paradossi legati alle catastrofi naturali e ad altre declinazioni che ribadiscono la precarietà stessa di questo enorme organismo vivente.
Henner conferma così la pluralità della propria ricerca e la capacità di sapersi confrontare con l’installazione e lo spazio attraverso un display espositivo assolutamente rigoroso: la mostra è solida, consente al pubblico di testare la capacità di Henner di essere visionario eppure analitico, senza correre il rischio di sprofondare nella narrazione. E poi è una mostra immersiva, soprattutto quando nella project room al piano interrato si accede a uno spazio totalmente nero in cui risuona il respiro di Applewhite, incombendo nel silenzio assoluto underground. Oppure quando – al piano terra – una serie di dischi rivelano suoni e notizie relative a tornado e altre catastrofi. Un dramma estetizzato, quindi, da contemplare paradossalmente.
‒ Lorenzo Madaro