Out of your own. Valerio Berruti a Napoli

Al Blu di Prussia, Napoli ‒ fino al 20 gennaio 2018. Un carosello di fascinazioni, disorientamenti e ritrovamenti, frammentazioni e ricomposizioni di immagini contraddette e rinforzate da riflessioni e reiterazioni. Incarnanti la bergsoniana compresenza di più attimi e punti di vista in un vissuto interiore irripetibile. Tutto questo è racchiuso nella mostra di Valerio Berruti a Napoli.

È un’esperienza totale, la mostra di Valerio Berruti (Alba, 1977), a cura di Maria Savarese; un ambiente immersivo in cui, per l’occasione, anche la struttura della galleria di Giuseppe Mannajuolo, diretta da Mario Pellegrino, diviene parte integrante dell’opera. Rivestendosi completamente di specchi che smaterializzano le storiche mura dell’edificio Liberty, in cui lasciarsi ipnotizzare dai cadenzati chiarori del tessuto cromatico delle opere, dei riflessi e delle luci.
Tratta dalla videoanimazione omonima recentemente presentata al Madre, l’installazione Out of your own porta i segni della sua genesi filmica ma, in autonoma evoluzione, ne innalza le potenzialità a estreme e superiori conseguenze. Passeggiare attraverso i pannelli ad affresco su juta ‒ tecnica peculiare col valore estetico aggiunto di trasparenza e matericità ‒ rende infatti l’esperienza visiva assonante con i fotogrammi: in entrambi c’è la ripetizione in continuità spezzata della stessa figura di bambino, ripresa nei momenti contigui di un movimento; e anche il ritmo imposto dal passo evoca il dondolio cinestetico della colonna sonora del video, composta ad hoc da Joan As Police Woman.

FORZE ESPRESSIVE

Eppure, l’installazione espande quel mood ambientale ed emozionale che nel video era evocato dal fondo bianco dei fotogrammi, anch’esso – quasi ulteriore personaggio ‒ animato da sottili vibrazioni informali in movimento, prolungandone tempo e suggestioni dal conchiuso minutaggio alle infinite possibilità dell’esplorazione reale del fruitore.
Fino a inverare, nell’integrazione e deformazione prospettica indotta dagli specchi, il paradosso di teli 2D che divengono più tridimensionali e cinematografici del video, caratterizzato piuttosto da una bidimensionalità sintetica, che potenzia la forza espressiva di una linea in continuo slittamento fra astrazione e figurazione, memore della lezione di Egon Schiele, non a caso particolarmente amato dall’autore. Un po’ il procedimento inverso di The veiling di Bill Viola, vivificato dall’attitudine performativa nell’uso dei veli di Sabah Naim.
In tal modo, lungi dall’essere naïf, ma restando poetica – “l’arte, se non è poesia, a cosa serve?”, per Berruti – pur nel rigore analitico, l’immagine di un bimbo in scoperta della propria ombra, reale e simbolica, veicola metalinguistiche riflessioni sulle dualità mimesi/natura e astrazione/figurazione. Sanate nel rinvenimento di un saldo core interiore estetico e umano che reintegri, nella pluralità dei punti di vista che spingono fuori da se stesso, l’unità della propria creativa, ma non infantile, natura.

Diana Gianquitto

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Diana Gianquitto

Diana Gianquitto

Sono un critico, curatore e docente d’arte contemporanea, ma prima di tutto sono un “addetto ai lavori” desideroso di trasmettere, a chi dentro questi “lavori” non è, la mia grande passione e gioia per tutto ciò che è creatività contemporanea.…

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