Il ritorno di Malta alla Biennale di Venezia

Dopo un’assenza di diciotto anni, il Padiglione maltese torna a calcare le scene della Biennale veneziana. Ne abbiamo parlato con i curatori Raphael Vella e Bettina Hutschek.

Malta e il suo arcipelago di isole si stagliano nella parte più meridionale del Mare Mediterraneo e combattono il mito dell’assolata e pacifica vita mediterranea con una delle più alte densità di popolazione in Europa. E tuttavia sono molti i cliché che Malta riesce a sfatare unendo a una delle crescite economiche più sorprendenti di questo anno anche importanti obiettivi culturali, come ad esempio il titolo di Capitale della Cultura Europea nel 2018. A conclusione del suo semestre alla presidenza europea, Malta torna alla Biennale di Venezia dopo un silenzio durato diciotto anni (l’ultima volta era nel 1999). Raphael Vella e Bettina Hutschek, selezionati tramite una open call internazionale, sono due artisti-curatori attivi da diversi anni nell’organizzazione di festival e rassegne d’arte sull’isola.

Quando avete deciso di lavorare in un team curatoriale?
Bettina Hutschek: In realtà era da un po’ di tempo che io e Raphael volevamo lavorare assieme in un progetto artistico, per cui quando è stata proclamata l’open call dell’Arts Council abbiamo pensato che probabilmente la nostra prima collaborazione poteva essere come curatori e non come artisti.

Karine Rougier, Horses dream, 2015

Karine Rougier, Horses dream, 2015

Il vostro padiglione è interamente basato sul tema dell’identità.
Raphael Vella: La definizione dell’identità è qualcosa che mi interessa e coinvolge profondamente. Questa isola è continuamente alla ricerca della definizione dell’identità, spesso anche creando concetti di appartenenza che, pur essendo maltese, mi escludono del tutto. Ad esempio, tempo fa, si è diffusa l’idea che la caccia fosse uno degli elementi che contraddistinguono l’identità maltese. Beh, il mondo della caccia mi è profondamente estraneo e mi affascina l’idea che ciò che è così identitario per qualcuno possa essere muto per qualcun altro.
B. H.: Quando si guarda alla storia dell’isola, fatta di attraversamenti e conquiste, non si può fare a meno di domandarsi quale sia l’identità maltese o se esista un’identità che contraddistingua solo Malta, un carattere peculiare diverso da quello della Sicilia e della Libia, i suoi vicini più prossimi. In una certa misura stiamo analizzando il caso maltese come un esempio attraverso il quale ripensare l’identità nazionale, così discussa di questi tempi. Siamo profondamente convinti che l’identità sia un concetto fluido, quasi finzionale, ed è anche per questo che abbiamo deciso di chiamare la nostra ricerca Incomplete inventory e di creare una lista seguendo il modello di Borges e del suo Emporio celeste dei riconoscimenti benevoli.

Come si evita che questo esercizio di definizione identitaria sfoci nel nazionalismo?
R. V.: Il nazionalismo era precisamente quello che volevamo combattere. All’opposto, eravamo interessati a proporre una varietà di elementi, di oggetti, di punti di vista al fine ultimo di confondere chi guarda. Il nostro desiderio è che lo spettatore che lascia il Padiglione porti con sé una sensazione di smarrimento e di curiosità. Ci interessa confondere le acque, fornire una visione problematica, meticcia dell’identità. Ed è anche per questa ragione che abbiamo fortemente voluto in mostra i ritratti dei transgender di Gilbert Calleja.
B.H.: Inoltre, ciò che più ci premeva era anche problematizzare il ruolo dell’intellettuale, sottolineando come anche un “esterno” come me possa avere una voce nello studio dell’identità, prescindendo da qualunque diritto di nascita o di nazionalità.

Giacomo Gastaldi, Isola de Malta. Ganado Collection

Giacomo Gastaldi, Isola de Malta. Ganado Collection

Come avete selezionato gli artisti in mostra?
B. H.: La decisione dei nomi è venuta dopo la definizione del tema, Homo Melitensis. Quando abbiamo presentato il nostro progetto non avevamo ancora chiaro quali sarebbero stati i nomi definitivi.
R. V.: Sì, inoltre mi preme sottolineare che gli artisti maltesi sono stati selezionati su invito. Mentre abbiamo deciso di lanciare una open call per selezionare artisti maltesi residenti all’estero. Questo è stato fatto per unire diverse provenienze, oltre che differenti oggetti e periodi storici. L’esposizione finale conterà più di duecento manufatti, appartenenti a epoche diversissime, dai ritrovamenti conservati al museo archeologico all’oggi. Oggetti autentici saranno uniti a copie, specie nel caso dei documenti in carta. La commistione tra falso e originale era particolarmente importante per ridiscutere anche lo stereotipo dell’identità come la vera anima di una nazione. Per questa ragione includeremo anche una parte della ricerca di uno studio scientifico che indaga il genoma maltese: proprio per unire il meticcio, il falso a qualcosa tristemente considerato come puro e autentico.

La rassegna dei duecento oggetti esposti a Venezia è solo una parte delle immagini e dei materiali che state raccogliendo sulla piattaforma web homomelitensis.com?
R.V.: Sì, il web è una parte integrante del nostro progetto. Il sito si costruisce e genera mutuando materiali dai social. Chiunque può definire il suo concetto di identità e interagire con la pagina, il fine ultimo è quello di ottenere una rassegna di immagini che possa attrarre e confondere. Questa è certamente la parte più aperta e in crescita del progetto e per noi si accompagna al catalogo che include, anche se in maniera necessariamente più strutturata, contributi da una molteplicità di attori.

Per il catalogo avete scelto come editore Mousse Magazine.
R.V.: Le fasi iniziali di ricerca hanno riguardato anche la valutazione di quale potesse essere l’editore più adatto al progetto. Ci è sembrato che Mousse rispondesse alle esigenze transnazionali e meticce del nostro padiglione, oltre al fatto che da anni pubblica il suo The artist as a curator, che per ovvie ragioni è molto vicino alla nostra sensibilità.

Irene Biolchini

www.labiennale.org
www.homomelitensis.org

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