Concetti organici. Graziano Folata a Mestre

Galleria Massimodeluca, Venezia-Mestre – fino al 10 marzo 2017. La galleria veneziana festeggia i suoi primi cinque anni di attività con una mostra sottile e densa. Frutto del lavoro di un artista che non ha paura di evolvere il proprio stile e che ha deciso di rispondere alle nostre domande.

È un gradito ritorno quello di Graziano Folata (1982) tra le sale della galleria mestrina. A tre anni di distanza dalla mostra precedente, l’artista originario di Rho espone gli esiti di una ricerca che ha consolidato l’interesse per la materia, affinandone il linguaggio. Un’aura di organicità pervade l’intera esposizione, senza minarne gli equilibri compositivi e, soprattutto, concettuali. Il suggestivo intervento site specific dispiegato sul pavimento della prima stanza affonda le radici nell’immaginario marino di Folata, traducendolo in un’onda lunga e multipla, fatta di sabbia, malta, acqua salmastra e migliaia di meduse, raccolte dall’artista sulla spiaggia alla fine del loro ciclo vitale. Un rito quasi propiziatorio, nella speranza di offrire loro una nuova forma di esistenza, sublimata dall’arte. La dimensione rituale innerva la rassegna, generando un sotto testo delicato e persistente, che a tratti lascia emergere la propria narrativa, come nell’assemblage tra una nassa e un acchiappasogni e nella sfera in trucioli di legno ricavati dalla lavorazione di un remo. Materia, idea e rito si incontrano anche nelle statuarie silhouette che punteggiano una parete della galleria: realizzate attraverso una speciale tecnica pittorica messa a punto da Folata, evocano tutta la magia della scoperta e la concretezza dell’intuizione.

Rispetto all’ultima mostra presso la galleria Massimodeluca, nel 2014, la tua ricerca si è caricata di una componente materica e concettuale. Quali riflessioni ti hanno condotto qui?
Per risponderti pienamente mi occorrerebbe un saldo filo invisibile di memoria cui aggrapparmi, così che io possa uscire dal labirinto interiore degli eventi leggermente confusi anche se recenti. Un piccolo dedalo qual è, fatto di momenti, sostanze e segni indecifrabili, tutti compresi a livello istintivo, suggeriti sulla pelle come una scossa elettrostatica. Ci sono volte in cui la mia ragione è balbuziente, ma la sensibilità canta; sono gli attimi del presagio e dell’azione, in cui convergono le volontà e le forme.

Che cosa significa per te ricordare?
Ripercorrere e ricordare le riflessioni dei gesti compiuti è qualcosa che, nella velocità del nostro tempo, è una condizione pari allo sforzo dello sciatore in slalom: non può tentare di fermarsi, mentre è lanciato verso il suo futuro conteggiato in decimi di secondo, rischierebbe d’inforcare i paletti delle porte intermedie; oppure mi sembra simile alla sospensione laminale del surfista, aggrappato alle pareti dell’onda, con il rischio costante di esserne travolto. Entrambi gli atleti, solo a impresa compiuta possono permettersi di voltarsi, uno verso la cima, l’altro verso la schiuma che dilaga lontano da lui. Così è anche per un artista che guarda verso ciò che ha appena realizzato. È in momenti di quiete che ci si può permettere l’osservazione a posteriori. Per adesso, nonostante la trama e l’ordito delle mie azioni e parole sembrino più calmi, mi ritengo ancora nello stomaco dell’onda.

Graziano Folata Deriva / All the sounds that you can hear / Time float, 2017 malta bro-rinforzata, sabbia, acqua salmastra, decine di migliaia di meduse 550 x 169 cm courtesy l’artista e Galleria Massimodeluca

Graziano Folata Deriva / All the sounds that you can hear / Time float, 2017 malta bro-rinforzata, sabbia, acqua salmastra, decine di migliaia di meduse 550 x 169 cm courtesy l’artista e Galleria Massimodeluca

Tornando alla prima domanda…
Sto cercando di grattare il tempo e intanto noto, nella domanda, termini che vorrei permettermi di cambiare: in luogo di “materia” io direi “organicità”, perché le forme che ho espresso annunciano o hanno trattenuto in loro stesse la vita e le sue pulsioni. Come le meduse che si lasciano andare alla deriva (Deriva-Time float, 2017), per esempio, o la radice di posidonia oceanica, in cui un fulmine in bronzo è incastrato (Figli della forma 2017), o la cera d’api che compone alcuni lavori, come la testa di un serpente (Inner vision, 2017) o i trucioli di legno residuo della produzione di un remo, trattenuti assieme nella forma di una sfera (Romolo – A imperium desire, 2017).

Ci sono altri termini che vorresti modificare?
Il termine “concettuale”, allorché ogni gesto che compone una forma deve essere compiuto attraverso la sua esperienza diretta, ciò per portare chiarezza concettuale a un discorso. In prima istanza, la necessità vitale del gesto è però quella di appartenere a un universo, non concettuale, ma quanto più “poetico” possibile, così che anche le forme estetiche derivanti da esso godano dello stesso afflato. Alla fine, posso dire che dal 2014 a ora ho solo maturato, nel tempo, una distanza ulteriore di coscienza.

Il legame con l’acqua, la terra e i processi organici assume nei tuoi lavori un ruolo di primo piano. Da dove trae origine questo tuo interesse?
Potrei dirti, scherzando, di essere una creatura marina che ha perduto le branchie milioni di anni fa, eppure mi piacerebbe risponderti a questo modo: “Se mi piace il mare e tutto ciò che è marino, e tanto più mi piace quando è con me irato contrasto: se è in me il piacere della ricchezza che drizza le vele verso l’inesplorato, e se in questo mio piacere c’è il gusto del marinaio: se mai la gioia ha gridato: “La costa è scomparsa; ora è caduta da me l’ultima catena e l’immensità mi rumoreggia intorno e laggiù, lontano lontano, risplendono per me lo spazio e il tempo; su coraggio, o mio vecchio cuore!” Oh come potrei non bramare ardentemente l’eternità e il nuziale anello degli anelli, l’anello del ritorno?…” (Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra).

Graziano Folata Eminence / Venus, 2017 Folata’s engraving oil bar, papier satin 200 x 150 cm courtesy l’artista e Galleria Massimodeluca

Graziano Folata Eminence / Venus, 2017 Folata’s engraving oil bar, papier satin 200 x 150 cm courtesy l’artista e Galleria Massimodeluca

Alcune delle opere in mostra sono state realizzate con una tecnica pittorica particolare. Ci racconti le sue peculiarità?
Dov’ è l’arte? Perduta, scomparsa! Ecco le forme stesse di una fanciulla…
– … Io qui vedo soltanto dei colori confusamente ammassati, e delimitati da una moltitudine di linee bizzarre, che formano una muraglia di pittura…
– … Eliminare finanche l’idea del disegno, e darle aspetto e la rotondità stessa della natura
Honoré de Balzac, Il capolavoro sconosciuto.
 Sono molti anni che questo racconto abita un stanza particolare del mio spirito, e mai come in questi tempi esso assume per me significato. Tanti sono stati gli artisti che si sono confrontati con questo testo e credo che a ognuno di essi abbia lasciato il valore di un limite invalicabile necessariamente da oltrepassare, cui un artista deve far fronte, se esso aspira onestamente al superamento dell’immagine data. Credo che ai tempi di Balzac, così come adesso, la novella esprimesse la rappresentazione della volontà, quale quella forza maggiore che più della gravità stessa spinge alcuni a intraprendere, agli occhi della moltitudine, imprese fallimentari e folli o altri a lasciarsi cadere in voli notturni e solitari, e altri ancora a consumarsi come meteore in profetici lampi accecanti. I loro frutti sono nella storia.

Come si rapporta il contenuto della citazione di Balzac al tuo essere artista nel presente?
Se ora parlo de Il capolavoro sconosciuto è perché credo che molto potrà sempre dirsi in modi impensabili, fenomeni che trascenderanno sempre il tempo e le epoche, forme che anche in questo momento, da qualche parte, muovono i primi passi oltre l’oscurità dell’impensabile ignoto, oltre lo scandalo della barbarie. Cerco di essere autore di un gesto che accenda in sé il non-visto.
E da cosa può essere composto questo gesto se non dall’esperienza artistica diretta, dallo studio dei fenomeni della materia e dal senso guidato paradossalmente dalla visionarietà?
Ho voluto nei miei Engraving (2017) codificarne la tecnica, per dar luogo all’esplorazione di un mio personale sfascio dell’involucro sensibile, compiere, anche attraverso una certa forza scultorea, un moto pittorico in cui poter far perdere figura e informe, rappresentazione ed evocazione.

Graziano Folata Figli della forma (Teti), 2017 poseidonia oceanica, fulmine di bronzo 40 x 40 x 20 cm c.ca courtesy l’artista e Galleria Massimodeluca

Graziano Folata Figli della forma (Teti), 2017 poseidonia oceanica, fulmine di bronzo 40 x 40 x 20 cm c.ca courtesy l’artista e Galleria Massimodeluca

Quali sono le caratteristiche di questo gesto?
Se è un gesto, io lo chiamo gesto plurimo, perché, seppur irreversibile, non si chiude mai come conclusione di un’opera, sola immagine in sé stessa, ma esso va ad attingere, all’interno dello stile e della tecnica, sempre da possibili risvolti nella costante insorgenza dell’immagine. Pochi giorni fa ho trovato per caso un pensiero di Luciano Fabro, diceva: “Invenzione quale coscienza in movimento”.
Ho sempre pensato che l’invenzione sia cosa essenziale: far sì che l’opera di fantasia scopra ciò che è occultato. Questa petizione di pensiero, questo mio teorema guida, mi salverà perennemente dall’immobilità espressiva. È vero, per i miei Engraving uso materiali comuni, carte da lucido, colori a olio, e posso scegliere tra il fare “dal vero” o muovermi a sentimento. Il tutto è di una semplicità sbaragliante, ma in modi inediti riparto a comporre e riparare i nodi che legano l’immaginazione al reale.

A distanza di tre anni hai fatto ritorno alla galleria mestrina, che festeggia il quinto anniversario di attività. Quali sono le ragioni di questa scelta?
Con la Massimodeluca ho un rapporto ormai di grande intesa e fiducia, assieme abbiamo affrontato tutti gli sviluppi di questi anni trascorsi. La galleria fa un lavoro più unico che raro a livello nazionale: valorizzare e promuovere la ricerca di artisti italiani emergenti. Come in tutti i rapporti autentici, abbiamo attraversato, di volta in volta, momenti di idillio e altri di tensione, sempre riuscendo, però, a collaborare sinceramente, donando forza ed energia a ogni progetto per un fine comune.
Loro hanno scommesso sul mio valore e la mia sperimentazione, io sulla crescita e sulla solidità di questa realtà galleristica in evoluzione. Marina Bastianello, quale direttrice artistica e fondatrice dello spazio mestrino, mi riserva totale autonomia, sa che può contare sulla mia consapevolezza e riconosce la validità della mia ricerca; questo è un grande vantaggio per un artista: poter contare sull’entusiasmo e l’appoggio di collaboratori lungimiranti, in prolifica libertà.

Quando e come si è avviata la tua parabola artistica e come si è evoluta nel tempo?
Parabola è il titolo stesso della personale in corso alla Massimodeluca, per cui mi toccherà distinguere gli argomenti: da una parte questo racconto, teso tra le strutture estetiche che presento, le invenzioni espressive, le istanze comunicative all’interno della mostra; dall’altra la mia progressione nel campo delle arti visive, nata come una pulsione fondamentale da quando ero molto piccolo, in maniera più significativa con il disegno (mio padre era lavoratore in una cartiera Burgo: faceva la carta. Pane e carta per me hanno sempre coinciso), e poi concentratasi durante la crescita sul senso dell’immaginazione e del suo scarto nel reale.

Graziano Folata, Parabola, exhibition view at Galleria Massimodeluca, Mestre 2017

Graziano Folata, Parabola, exhibition view at Galleria Massimodeluca, Mestre 2017

Quali sono gli intenti alla base di Parabola?
Parabola rappresenta la mia presa di coscienza interiore e il tentativo di allargarla a chi vorrà fare l’esperienza della visione. Parabola propone all’osservatore ben disposto di calarsi nel ritmo del sensibile per scoprire una condizione esistenziale comune, in virtù della transitorietà del tempo.
Io invece, in qualità di artista e di uomo, sono un essere di passaggio in mezzo a forme che permangono. La mia grande fortuna, qualche volta, è quella di poter avere l’occasione di cogliere il prodigio della natura e del fantastico, e restituirlo quale fenomeno significante per altre persone.

Progetti futuri: dove ti vedremo e in quale direzione si muoveranno le tue ricerche future?
Di certo posso dire che nelle ultime settimane di marzo parteciperò a una mostra collettiva a Londra, Salad Days, insieme a due giovanissime artiste dell’accademia di Brera: Ginevra Ghiaroni (1994) e Virginia Dal Magro (1994), negli spazi della 12 Star Gallery, sede istituzionale della Casa della Cultura Europea. Il progetto specifico è curato anch’esso da giovani curatori: Eugenio Martino Nesi e Giulia Bassoli, già Out44, pool curatoriale milanese, emergente e molto attivo.
Questa mostra è inscritta, in quanto rappresentativa dell’Italia, in un calendario più ampio, comprendente una successione alternata delle migliori accademie europee.

Che cosa porterai a Londra?
Sono quattro le opere che porterò in mostra: le Distanze dagli elementi (2017), un mio personale ritorno su un segno espresso al tempo de La pelle della tigre, la mia prima personale alla Massimodeluca. Sono delle sciabolate di china che rivelano l’impronta di un chewing gum teso nella distanza delle mie braccia aperte. Le Distanze (2013/14) allora rappresentavano fisicamente la volontà e l’espressione di una distanza concettuale, nell’armonia di un segno netto e irreversibile, mai uguale, sempre unico.
Ora queste ultime Distanze dagli elementi sono spinte energiche più libere, cariche e azzardate, mature se vogliamo, che abbracciano, attraverso fenomeni sottili, le idealità della materia.

Arianna Testino

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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