La storia coloniale in dialogo con l’arte contemporanea al Museo delle Civiltà di Roma

Si apre il nuovo capitolo dedicato al riallestimento delle collezioni del museo dell’EUR, approfondendo e rielaborando la storia del colonialismo italiano

 Con il titolo Museo delle Opacità, il Museo delle Civiltà di Roma prosegue il suo programma di riallestimento delle collezioni, creando nuove e possibili narrazioni. Protagonista di questo cambiamento è il nucleo di opere provenienti dall’ex Museo Coloniale di Roma, entrato a far parte del museo diretto da Andrea Viliani nel 2017, e in corso di ri-catalogazione. Un percorso espositivo che rende il museo un luogo di “confronto, di dialogo”, sottolinea il direttore in conferenza stampa, e che pone l’attenzione su una nuova rilettura del passato, ricostruendo il presente, per poi proiettarsi nel futuro con maggior consapevolezza.

Museo delle Opacità. Installation view. Ph Giorgio BenniMuseo delle Opacità. Installation view. Ph Giorgio Benni

Museo delle Opacità. Installation view. Ph Giorgio Benni

IL MUSEO DELLE OPACITÀ: UNA NUOVA MESSA A FUOCO DEL PASSATO

Il termine opacità riveste un’importanza notevole, poiché racchiude in sé un duplice significato. Con il primo, in modo letterale, si vuol far riferimento al velo opaco caduto sull’epoca coloniale della storia nazionale e che ne rende ancora poco chiari gli avvenimenti e i protagonisti. Con l’altro, opacità raccoglie l’eredità concettuale del poeta e saggista Édouard Glissant, i cui scritti sono stati fondamentali per lo sviluppo del pensiero post e de-coloniale contemporaneo: per Glissant l’opacità è il diritto di ogni individuo di non sottomettere la propria identità a criteri quali “accettazione” e/o “comprensione” (perché equivalgono a gesti di appropriazione e categorizzazione), bensì a sposare il criterio della “condivisione”, dove le identità autonome e specifiche non sono generate da altri ma da se stessi. Ed è proprio sulla base di questi presupposti che nasce il Museo delle Opacità, con l’obiettivo di mettere “di nuovo a fuoco” il passato e riscrivere la storia dell’ex Museo Coloniale affinché non esistano più enti di questo genere ma spazi di condivisione e di confronto.

IL MUSEO DELLE OPACITÀ. QUATTRO MOSTRE IN DIALOGO CON LA STORIA COLONIALE

Gli interventi degli artisti contemporanei si inseriscono negli spazi museali creando un percorso a tappe che accompagnano il visitatore nel cuore della storia. Si parte con Yekatit 12 di Jermay Michael Gabriel che crea un cortocircuito – sia visivo sia storico – con lo scalone monumentale del Museo delle Civiltà. L’opera è una copia fedele della scalinata che fu eretta ad Addis Abeba durante il periodo coloniale, per inserire l’occupazione dell’Etiopia nella storia dell’epoca antifascista. Successivamente, percorrendo lo scalone per giungere al primo piano del museo, ci si imbatte nei bozzetti di Francis Offman (che costituiscono i primi appunti di un lavoro per un intervento futuro). Arrivati al primo piano, il museo ospita la prima mostra che ricostruisce lo spazio di vita e di ricerca (tanto privato, quanto pubblico) dell’artista e attivista Bertina Lopes. Il progetto, a cura di Claudio Crescentini e Paola Ugolini, ripropone la casa-studio di Lopes che, dal 1964, aveva dato vita a un luogo dinamico dove intellettuali, poeti, artisti, rifugiati e attivisti della comunità mozambicana e portoghese trovavano un “porto sicuro” dove potersi incontrare e confrontare. Uno spazio che racchiude l’essenza dell’artista, ma anche la sua ricerca, ospitando una serie di disegni e dipinti (accompagnati da libri, fotografie e strumenti di lavoro) in cui Bertina Lopes metteva in evidenza la mentalità coloniale, gli atteggiamenti razzisti e le atrocità dei conflitti con l’utilizzo marcato del segno e della linea. Si passa poi a tre narrazioni trans-temporali: la prima sala del mezzanino che sovrasta le Collezioni di Arti e Culture Americane e Asiatiche si focalizza sul tema delle appropriazioni coloniali, dove un gruppo di tele prelevate dal Parlamento di Etiopia -tra il 1936 e il 1938 – e altre di autori ignoti, dialogano con le opere di Theo Eshetu. La seconda sala si focalizza sulla Libia e sul rapporto tra la cartografia coloniale e la cancellazione delle memorie e delle storie di territori e comunità, per poi passare al film-documentario di Luca GuadagninoInconscio italiano, che elabora le immagini storiche dell’Istituto Luce. Il mezzanino che sovrasta le Collezioni di Arti e Culture Africane, invece, trasporta il museo nel futuro, e più precisamente nel 2154 con il collettivo artistico, composto da Wissal Houbabi, Toi Giordani e Ismael Astri Lo, che ha immaginato l’apertura di un’istituzione chiamata ph0n0museaum.rome. Infine, il mezzanino che sovrasta le Collezioni di Arti e Culture Oceaniane approfondisce il rapporto che lega l’arte e la propaganda, basi sulle quali nacque proprio l’ex Museo Coloniale. Una serie di opere aprivano scenari che supportavano e avvaloravano una politica repressiva, assecondando la narrazione immaginaria degli eventi storici. Ad affiancare questo corpus di opere ce ne sono altrettante di autori etiopi ed eritrei che offrono una versione speculare. A unirsi in questo coro, ma con note contemporanee, è Rossella Biscotti che approfondisce la strage di Zeret (1939), per poi passare a Peter Frield, Bianca Baldi e Malak Yacout.

Museo delle Opacità. Installation view. Ph Giorgio Benni

Museo delle Opacità. Installation view. Ph Giorgio Benni

OLTRE IL MUSEO DELLE OPACITÀ

Parallelamente al Museo delle Opacità, sono stati presentati anche altri interventi allestitivi di due artisti in residenza (Research Fellow) al Museo delle Civiltà, ovvero Sammy Baloji e il collettivo DAAR – Sandi Hilal e Alessandro Petti, rispettivamente vincitori con una Menzione speciale e il Leone d’oro come miglior partecipazione alla 18. Mostra Internazionale di Architettura La Biennale di Venezia. Il primo interviene nello spazio museale con l’installazione Gnosis, composta da una grande sfera nera in fibra di vetro che evoca e rivista l’idea di wunderkammer seicentesca. L’installazione si presenta come un mappamondo sferico e specchiato su cui si riflette la mappa del Katanga e due placche in bronzo che riproducono i tessuti Kongo (conservati nelle collezioni etnografiche del Museo delle Civiltà). Questa, assieme alla video installazione Of the Moon and Velvet, sono opere che rappresentano i sistemi epistemici racchiusi nelle decorazioni degli antichi manufatti e acquisite grazie al PAC – Piano per l’Arte Contemporanea 2022 (promosso dal DGCC del Ministero della Cultura). Infine, il collettivo DAAR – Sandi Hilal e Alessandro Petti presenta il progetto l’Ente di Decolonizzazione – Borgo Rizza che analizza l’insediamento rurale di Borgo Rizza costruito nel 1940 dall’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano (la cui funzione era quella di bonificare e modernizzare la Sicilia). L’installazione è una riproduzione in scala della facciata principale dell’edificio del borgo siracusano che gli artisti hanno scomposto in 15 moduli polifunzionali da attivare attraverso eventi, assemblee e talk, e che entreranno in dialogo con l’architettura dei due Palazzi sede del Museo delle Civiltà.

Valentina Muzi 

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Valentina Muzi

Valentina Muzi

Valentina Muzi (Roma, 1991) è diplomata in lingue presso il liceo G.V. Catullo, matura esperienze all’estero e si specializza in lingua francese e spagnola con corsi di approfondimento DELF e DELE. La passione per l’arte l’ha portata a iscriversi alla…

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