Come rappresentano la realtà i pittori di oggi

Il legame con il reale, senza la mediazione dell’estetica pop, è la bussola che guida la pittura degli artisti contemporanei. Un modo concreto di guardare l’“altro”

Un nuovo Spirito si aggira da qualche tempo negli studi dei pittori. Aleggia vivo contro quella tendenza che ha visto, per molto tempo, fare della riproduzione il soggetto dell’arte, permettendo l’accesso artistico alla dimensione dell’immagine, possibile solamente selezionando visioni già date, in ambiti che esulano da quello artistico. Queste immagini, che non fanno altro che riferirsi ad altre, compongono un infinito rimando di specchi che impedisce la visione del referente oggettivo primario, di cui l’immagine dovrebbe essere effettivamente l’immagine.
Lontani da questa tendenza ampiamente discussa da critici e pensatori, fra cui il sociologo Jean Baudrillard, e permeati dall’aria del cambiamento, alcuni pittori recuperano la capacità di intervenire direttamente sul reale attraverso un’intermediazione non tra le immagini, ma tra l’individuo e la collettività, proponendo una realtà simbolizzata, aderendo alla visione personale dell’Io, facendo del quadro una pagina del proprio diario dove lo stile, la vita, le proprie idee, il mondo si trasformano in un’esca succulenta per impensabili e strani predatori. A fare ciò sono gli artisti di quella che si potrebbe chiamare Altra IndividualitàSilvia Argiolas, Irene Balia, Thomas Berra, Maurizio Bongiovanni, Michele Bubacco, Anna Capolupo, Nicola Caredda, Dario Carratta, Rudy Cremonini, Barbara De Vivi, Alice Faloretti, Agnese Guido, Dario Maglionico, Dario Molinaro, Giacomo Modolo, Matteo Nuti, Giuliano Sale, Davide Serpetti, Sophie Westerlind e altri che, nelle acque brillanti senza approdi della società contemporanea, raccattano l’individuo dalla sua sonnambula esistenza, il quale ora non deve più confermare se stesso in rapporto all’oggetto, ma si riconosce solamente dopo essere entrato in rapporto con l’Altro.

Dario Molinaro, Lucia al vento, 2020, olio su tela, 100 x 120 cm

Dario Molinaro, Lucia al vento, 2020, olio su tela, 100 x 120 cm

PITTURA E PRESENTE

In uno stato tra il sonno e la veglia, l’artista precipita nella profondità immaginaria del quadro: per poter riemergere da questo lago insondabile, la pittura è il principale e immediato canale di lettura e trascrizione del presente. L’artista deve proteggersi ed essere pronto a cozzare contro qualcosa di indicibile, poiché il solo interesse per la cultura non basta: mosso da una passione pura, egli deve essere in grado di resistere alle miriadi di informazioni che lo circondano e schiacciano, svegliarsi dal torpore e, nella veglia, udire il battere del tempo. Concedendo una possibilità d’esistenza, senza chiedersi cos’è bello o brutto, il sentimento della creazione si sviscera nell’opera al di sopra delle categorie estetiche. L’atto del creare torna a essere fondamentale criterio dell’agire artistico e, nel fare ciò, si sprofonda nella vita, così come nei paesaggi più sconfinati e inconsci, per restituirne cenni, trappole sottili, fremiti appena percettibili del reale. Nulla di quello che è intorno e dentro a questi artisti dev’essere troppo piccolo, troppo brutto, irraccontabile; ogni cosa è degna: l’icona più banale, il volto più insignificante, la periferia più scialba… possono rivelare un’impressione più profonda che non la semplice sensazione del bello. E da loro stessi spesso traggono i personaggi e le situazioni il cui pulsare essenziale si ammanta di ambigue condizioni irreali, man mano che vengono avvolti dai fumi involontari della pittura.
Le avventure creative si arricchiscono di emozioni personali che travalicano nell’immaginifico palesando un giudizio privato, qualcosa di simile a una pausa di meditazione che l’artista si concede e pone tra sé e il mondo, spingendosi lungo lo “scarto” tra realtà e reale, nello spazio mentale che rappresenta in maniera seducente.
Diventa chiaro come uscire dalla matrioska del quadro del quadro, dell’immagine di un’altra immagine, comporti una scelta di parte: uscire dalla zona di comfort per estraniarne l’analisi non è un’azione imparziale; limitare rocambolesche capriole mentali a una estroflessione più tipica dell’arte vede l’opera riattivare un’intera iconografia al suo interno. Un atto sicuro, a tratti inevitabile, poiché ogni opera ingloba l’arte del passato, con cui gli artisti si misurano facendo riaffiorare figure, volti rimossi, luoghi mai veramente esplorati, come vecchie canzoni che ridestano lontane consapevolezze.

“Le somiglianze con i fenomeni sociali sono più realistiche e critiche di quanto possa sembrare; l’artista si appropria dei segni dell’oggi per elaborare forme e colori in grado di rappresentare in vario modo le idee presenti fuori dalla superficie del quadro”.

La storia dell’arte è ora nelle mani degli altristi: essi non replicano ma trascrivono confidenzialmente il presente, dipanando sul dipinto pensieri isolati, sorti subitamente e salvati dall’oblio attraverso linguaggi distintivi, per nulla pop. Un trauma elettrico li rianima dalla doccia fredda della consapevolezza, scuotendo la vista abituata al vuoto della sovrabbondanza dell’immagine. È una nascita, una venuta al mondo in cui il mondo stesso è il figlio di questo brivido che scompagina la realtà restituendo visioni e preveggenze sul nostro vivere odierno. E anche quando i suoni esterni della società diventano più forti e le sue immagini prevalgono, l’attenzione per il milieu non si attenua e non entra in conflitto con la funzione metalinguistica con cui l’artista parla. L’attenzione al codice lo avvicina a un discorso tautologico senza mai disarcionarlo dalla costa rocciosa della condizione esistenziale. Ed è qui che l’artista sosta, sul calar della notte su un giorno felice che non può reggere, dove ogni cosa diventa più cupa e si ricopre di sogno. A ogni tipo di sagoma gli artisti stringono un tramonto che un po’ per volta rivela le ombre che la luce diurna nasconde. La chiave pop o neo-pop sfuma dietro l’orizzonte e non offre spunti di interpretazione poiché gli altristi sono interessati alla società non per estrarne icone ma per farne luogo di capovolgimento dell’immaginario globale che pone al centro l’uomo. Ogni creazione prende una forma sociologica individuale, carica di una forza che può ripercuotersi sugli immaginari collettivi con una simbologia visionaria e allertante. Osservando la concretezza del presente con lente emotiva ed esprit immaginifico, gli artisti si avvicinano al carattere sfuggente di un reale insidioso, muovendosi sul limitare dello “scarto” tra la finzione e la realtà, quello stesso scarto interposto tra chi ha concepito l’opera e chi in essa viene coinvolto. L’arte di conferire significato è la chiave che genera la condizione di piacere che si prova guardando l’opera. Il modo con cui l’Altra Individualità osserva e si accende di una bruciante dissimulata amarezza dal tono più verista è simile a quello della Nuova Oggettività, mentre non spartisce nulla con la frizzante autoironia neo-pop più vicina cronologicamente ma distante per spirito e sensibilità.
Il pittore, pur coprendo la sua tela di segni e campiture dall’inizio alla fine, iniettando una dose di automatismo, elaborando elementi figurativi accidentali o meno, non usa metodi di estrapolazione iconografica d’arte pop facendo di questa iconografia il fine ultimo della sua arte. Le somiglianze con i fenomeni sociali sono più realistiche e critiche di quanto possa sembrare; l’artista si appropria dei segni dell’oggi per elaborare forme e colori in grado di rappresentare in vario modo le idee presenti fuori dalla superficie del quadro. Le donne di Argiolas, i volti e paesaggi di Modolo, le ammucchiate baconiane di Sale, gli oggetti animati disneyani di Agnese Guido, le figure liquide di Cremonini e quelle inaspettate di Bubacco diventano trampolini di lancio e allo stesso tempo rimangono soggetti dell’opera. Si affidano all’inconscio, all’accidentale e all’analisi del proprio contesto, liberandosi da quelle inibizioni che impedirebbero l’abbandono al mezzo, alla superficie del quadro. Questo abbandono, di lontana origine surrealista, distacca l’artista dalla vita precaria della società liquida e, in quanto individuo, lo avvicina all’Altro. È un tu per tu diretto e pericoloso con se stessi e con il mondo, un discorso aperto costruito su parole chiave che accomuna un gruppo, un movimento considerevole di questi anni.

Domenico Russo

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Domenico Russo

Domenico Russo

Domenico Russo è laureato in Beni Artistici, Teatrali, Cinematografici e dei Nuovi Media presso l’Università di Parma. Ha collaborato con il Teatro Lenz e con la Fondazione Magnani Rocca. È impegnato come curatore in una ricerca che lo spinge alla…

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