Topos artistico e letterario, segno di distinzione sociale, “moda” culturale, occasione di studio sul campo e di confronto… Tra idealizzazione e approccio metodico, il fenomeno del Grand Tour, che nel Settecento e nell’Ottocento fece dell’Italia una tappa obbligata per membri delle élite e per artisti, musicisti e letterati, ebbe molte facce.
La mostra alle Gallerie d’Italia sceglie di ripercorrere il fenomeno “prove alla mano”, ovvero riunendo 130 opere d’arte che testimoniano le sue varie anime e fasi, l’evoluzione del gusto ma anche le dinamiche mercantili che si svilupparono.

DAL CLASSICO AL ROMANTICO NEL SEGNO DEL GRAND TOUR
Il punto di partenza e il sottinteso costante alla base dell’interesse che si sviluppò per la cultura italiana fu la cultura classica, grazie anche alle nuove scoperte archeologiche dell’epoca. La sezione introduttiva, che occupa come al solito maestosamente l’atrio delle Gallerie, lo evidenzia con una selezione di pezzi che riproducono o prendono spunto da opere antiche, esponendo anche un nucleo di “originali” per un confronto diretto.
Si passa poi al capitolo sulla fama di Canova, il cui studio diventò luogo immancabile da visitare, e ci si addentra sul terreno con le sezioni dedicate alla varie tappe privilegiate del Grand Tour: Roma, Firenze, Napoli, Venezia. Il paesaggio italiano si declina tra tocchi di realismo e visioni idilliache e sfocia nel concetto romantico di sublime nella sezione dedicata al Vesuvio.
Un altro spunto di stampo romantico è ovviamente quello relativo alle rovine, mentre il capitolo “viaggiatori e collezionisti” immerge nella ritrattistica sì celebrativa ma per niente priva di autonomia artistica come nel caso dei dipinti di Pompeo Batoni.
IL GRAND TOUR IN ITALIA
Si sfocia poi nel pittoresco nella sala dedicata alla visione del popolo italiano sviluppatasi all’epoca del Grand Tour, con raffigurazioni che mitizzano i caratteri delle popolazioni italiane descrivendo un’innata bellezza, ma anche una “ingenuità” di fondo.
Del resto, proprio il confronto tra realtà e idealizzazione, tra indagine “cronachistica” e pittoresco luogo comune (in senso alto) è in effetti uno degli spunti più intriganti della mostra. Un’esposizione non semplice da seguire nella sua articolata trattazione, ma estremamente approfondita e ricca di momenti che da soli valgono la visita – tra gli autori figurano Canova, Piranesi, Canaletto, Batoni, Angelica Kauffman, Ingres.
Una mostra da visitare al più presto se la si vuole trovare completa, dato l’imminente ritiro delle opere arrivate in prestito dai musei russi, ma che varrà la pena di essere vista anche dopo la menomazione.
‒ Stefano Castelli
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