Scolpire la figura. Hans Josephsohn in mostra a Lugano

È tutto chiuso a Ginevra, Neuchâtel, Giura, Friburgo e Vaud, ma non a Lugano, che, seppur con qualche restrizione, lascia aperti i suoi musei. Giusto o sbagliato che sia ‒ non è questa la sede per discuterne ‒ al piano inferiore del LAC prosegue con una serie di nuove limitazioni la mostra che rende omaggio a Hans Josephsohn, in occasione del centenario della sua nascita.

Un’esposizione di sole sedici opere realizzate tra il 1950 e il 2006 non può avere la pretesa di ripercorrere l’intera carriera dello scultore Hans Josephsohn (Königsberg, 1920 – Zurigo, 2012). Eppure esemplifica con grande efficacia la centralità della figura umana nella sua ricerca artistica, documentando tutte le tipologie in cui Josephsohn catalogò il proprio lavoro: figure in piedi, sedute, distese, mezze figure e rilievi.
Sebbene il punto di partenza di Josephsohn siano sempre stati modelli reali (principalmente femminili), la resa dei suoi lavori somma punti di vista che rendono spesso difficile individuarne la frontalità. Chi guarda è sovente stimolato a interagire fisicamente con loro, muovendosi intorno all’oggetto proposto e osservandolo a distanze differenti: solo una visione multilaterale rende possibile entrarvi davvero in relazione.
La figura umana viene trattata qui innanzitutto come volume, sia nel caso delle straordinarie mezze figure sia in quello delle più definite figure in piedi: il risultato è sempre caratterizzato da una fisicità potente.

LO STILE DI HANS JOSEPHSOHN

Durante la seconda metà del secolo scorso il linguaggio formale di Josephsohn si evolve di continuo: più astratto e geometrizzante negli Anni Cinquanta, poi caratterizzato da una rappresentazione dell’essere umano più accentuata, infine – a partire dagli Anni Ottanta ‒nuovamente indirizzato verso un processo di astrazione, che non è più basato sulla riduzione geometrica, ma diviene accumulo di materia che origina figure sempre più massicce.
Per realizzarle lo scultore utilizza il gesso: la malleabilità di questo materiale gli permette di ritoccare l’opera a più riprese aggiungendo o rimuovendo la materia a piacimento. Sulla superficie di alcuni dei lavori esposti le tracce di questo modus operandi restano evidenti anche dopo il processo di fusione in ottone: facile scorgervi le impronte delle dita, i segni degli scalpelli, dei coltelli, delle asce e delle accette utilizzate su spigoli e rilievi lasciati appositamente grezzi e irregolari.

Hans Josephsohn, Senza titolo (Mirjam), 1950

Hans Josephsohn, Senza titolo (Mirjam), 1950

HANS JOSEPHSOHN, UN ARTISTA ISOLATO

Pur allineandosi alla schiera dei grandi scultori novecenteschi (Wotruba, Giacometti e soprattutto a Germaine Richier), Josephsohn è rimasto per suo volere isolato nel contesto artistico a lui contemporaneo. Proprio le sculture del suo ultimo periodo si possono forse leggere come una ricerca accanita dello statuto intermedio tra materia e idea: esattamente quanto nell’Estetica Hegel attribuisce alla specificità dell’opera d’arte che sta nel mezzo tra sensibilità immediata e pensiero ideale. Non a caso Josephsohn è nato a Kaliningrad, che allora si chiamava Königsberg e si trovava nella Prussia orientale. Proveniente da una famiglia di commercianti ebrei, abbandonò l’Accademia di Belle Arti di Firenze dove stava studiando nel 1938 per trovare rifugio in Svizzera, così da sfuggire all’idiozia mortifera delle leggi razziali applicate dai fascisti anche in Italia. Collassata l’avventura nazista, nel 1946 espone per la prima volta in una mostra collettiva a Zurigo. Da allora non si è più fermato, sino a raggiungere ancora in azione i 92 anni di età.

Aldo Premoli

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

Scopri di più