Ritrarre la montagna: una mostra a Conegliano

A Conegliano, tra le sale di Palazzo Sarcinelli, una mostra preziosa racconta la pittura di montagna, anzi delle Dolomiti e delle Alpi venete, friulane e giuliane tra Ottocento e Novecento. Con incursioni nel mondo della pubblicità e dei personaggi che hanno scritto la storia dell'alpinismo e della tutela del paesaggio.

È un sentimento forte, irrinunciabile, quello per le cime, per le crode, per i ghiacciai. Lo sanno bene gli scalatori, gli sciatori, le guide alpine: della montagna ci si innamora, la si teme al fine di aver salva la vita, e non la si abbandona più. Ma non fu sempre così: il piacere delle escursioni, delle scoperte, degli sport nacque alla metà dell’Ottocento, si vivacizzò tra le due guerre mondiali ed esplose nell’immediato dopoguerra, quando il turismo d’alta quota si affermò in tutto l’arco alpino.

LA MONTAGNA IN MOSTRA A CONEGLIANO

Il racconto della montagna a Conegliano è una mostra dedicata alla pittura, ma l’itinerario è intercalato da curiosi cammei su alcuni personaggi cruciali per la scoperta delle Dolomiti e delle Alpi di Nord-Est, vere protagoniste della narrazione per immagini. Giuseppe Mazzotti accoglie il visitatori con il suo libro La montagna presa in giro (1931): fu lui a scoprire la “marca gioiosa” trevigiana, a censire e a salvaguardare le ville venete e a promuovere la conoscenza delle sue montagne. Arguto e preveggente su rischi del turismo di massa, come sottolinea Giandomenico Romanelli, “conosce perfettamente il mondo dell’alpinismo di livello alto […] ma, per mestiere e per vocazione, sa vedere i limiti delle mode e ne mette in evidenza gli aspetti grotteschi e ridicoli”. E già dall’ingresso si colgono il gioco di rimandi tra le opere esposte e le accattivanti grafiche di accompagnamento – le prime riprendono proprio le buffe vignette di Sante Cancian che illustrano il volume di Mazzotti –, efficaci nel delineare una traccia fra le diverse sezioni. Merita però soffermarsi su altri due cammei: le prodezze dell’“alpinista in gonnella” Irene Pigatti che, tra il 1886 e il 1893, riuscì a conquistare delle vette – compreso l’Antelao, il re delle Dolomiti – improbabili all’epoca per una donna; e le ambizioni della Squadra Volante triestina capitanata da Napoleone Cozzi. Quei giovani dallo spirito irredentista, eccellente preparazione atletica e un gran coraggio nell’affrontare scalate senza guide alpine, suscitarono grandi entusiasmi nella Trieste di inizio Novecento, e gli splendidi taccuini di Cozzi con acquerelli e didascalie testimoniano sia le ardite imprese sia la sua abilità di pittore e di narratore: “il cielo, i monti, i fiori esultavano in quella poesia iridescente”, e vien subito voglia di avventurarsi sui sentieri del CAI.

Giovanni Napoleone Pellis, Il viatico in montagna, 1921-22. Udine, Casa Cavazzini – Museo di Arte Moderna e Contemporanea

Giovanni Napoleone Pellis, Il viatico in montagna, 1921-22. Udine, Casa Cavazzini – Museo di Arte Moderna e Contemporanea

DIPINGERE LA MONTAGNA

Veniamo al soggetto principale dell’esposizione che, come sottolinea Franca Lugato, affonda le radici nella precedente rassegna monografica sulla famiglia Ciardi, di cui ora si propongono due piccole tele. Tutto comincia con gli inglesi e con il Romanticismo, a cui si affianca ben presto una resa esatta, quasi fotografica, dei paesaggi alpini. Pittori come Edward T. Compton contribuirono a creare una sorta di brand dolomitico compreso nelle tappe del Grand Tour, ma fu proprio Guglielmo Ciardi a “inventare” la pittura di montagna. Cavalletto e tavolozza in spalla – “la pittura en plein air non sarebbe esistita, se qualche decennio prima non fossero stati inventati i tubetti per i colori”, ci fa riflettere ancora Franca Lugato –, i pittori si lasciavano incantare dallo spettacolo potente delle rocce, dalla dolcezza dei villaggi e dall’“enrosadira”, quello speciale fenomeno per cui al tramonto le Dolomiti si accendono di rosa e che Giovanni Salviati ha saputo rendere con una palette luminosa e cangiante.
La montagna è sempre stata anche generatrice di simboli, e nessuno come i pittori divisionisti ha saputo unire l’aspetto “spirituale” e magico a quello visivo dei massicci; la montagna è candore, quando è innevata; è profonda, quando ci si inoltra nelle grotte del Carso ben rappresentate dalla serie inedita del triestino Ugo Flumiani. È confine di una patria, che proprio in quei decenni vedeva mutare i suoi limiti ufficiali, infrangendoli tuttavia con una continua contaminazione tra il di qua e il di là, come testimonia il lavoro di Gabrijel Jurkic che a Zagabria è un alto esponente del modernismo croato e la cui presenza a Conegliano rivela una tensione internazionale dell’attento progetto curatoriale a quattro mani.

Franz Lenhart, Cortina, 1947 ca. Treviso, Museo nazionale Collezione Salce, Polo Museale del Veneto

Franz Lenhart, Cortina, 1947 ca. Treviso, Museo nazionale Collezione Salce, Polo Museale del Veneto

MODA E PUBBLICITÀ

Dalla Collezione Salce di Treviso – che, assieme a Casa Cavazzini di Udine, ha largamente contribuito alla riuscita della mostra – provengono infine i bei manifesti che documentano l’intenso lavoro di “marketing” sulle montagne venete, in primis Cortina e l’Ampezzano, tra la fine della Prima Guerra Mondiale e il secondo dopoguerra. Le aziende di promozione turistica chiamavano gli artisti per allestire vere e proprie campagne pubblicitarie che oggi ancora affascinano o fanno sorridere, come accade davanti alle espressioni incantate e fumettistiche dei personaggi di Sabi, artista coneglianese che meriterebbe di essere riscoperto, alla pari di altri nomi che si incontrano lungo i racconti di queste montagne dipinte.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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