Fase Due (II). Il peso della insostenibilità

In che cosa davvero può consistere una Fase Due dell’arte, che non sia retorica e consolatoria? Prende forma attorno a questa domanda il nuovo capitolo della rubrica di Christian Caliandro.

Fase Due: si tratta di riprendere e di riannodare il filo di discorsi spezzati.
Solo che le condizioni in cui questi discorsi e queste riflessioni vengono svolti sono mutate – e il cambiamento è sia esterno che interno.
Inoltre, si tratta ogni volta di tradurre che cosa questa mutazione significhi in particolare per l’arte contemporanea. E sempre (considerando magari con apparente invidia il discorso agli artisti di Angela Merkel) si presenta davanti agli occhi l’irrilevanza sostanziale di questo “settore” agli occhi della politica nazionale, un territorio chiuso arbitrariamente tra lo spettacolo, il turismo e non-si-sa-cosa…
E così, mentre si scoprono dolorosamente le conseguenze pratiche della monocultura turistica sulle città, dei territori e di un intero Paese, che cosa voglia dire in effetti prevedere un’alternativa – o più alternative – a un tipo di economia totalmente estrattiva ma al tempo stesso straordinariamente esposta all’imprevedibilità degli eventi, ci si interroga anche su come l’arte possa affrontare davvero la Fase Due. Si interrogano gli artisti, si interrogano i curatori, si interrogano gli operatori.
Tutti sperano che la mostra o le mostre non vengano rinviate, o che non vengano rinviate troppo; molti sembrano di fatto sperare nel ritorno a ciò che eravamo, alla situazione precedente, al prima. E, qui e lì, si insinua la domanda che riguarda se questo prima, se quella situazione precedente sia davvero desiderabile. Se un ritorno sia, in effetti, auspicabile.
Ciò che questa emergenza ha amplificato è, nel mondo dell’arte come altrove, una sostanziale insostenibilità. Condizioni di lavoro iperprecarie ‒ fino al paradosso dell’autosfruttamento ‒degli autori e delle altre figure di questo sistema, invisibilità, esclusività, classismo, elitarismo, paternalismo. Autoreferenzialità spinta a estremi tali da recidere qualunque connessione con il mondo reale: quanti artisti visivi, quanti curatori vengono interpellati regolarmente in merito a questioni di attualità, e di interesse generale?
Solo che prima – in questo prima oggi magari favoleggiato, e che però non è forse così sfavillante come lo ricordiamo, o come lo immaginiamo – le situazioni che già erano presenti non erano così evidenti: c’erano, ma si preferiva non vederle, e non parlarne.
La finzione che tutto andasse bene, che questo fosse il migliore dei sistemi possibili (e comunque l’unico concretamente praticabile) ha contribuito fortemente a coprire e a nascondere aspetti non proprio brillanti dell’intera faccenda, e che però sono fondamentali. Strutturali.

Anna Capolupo, Battaglia (2020), tecnica mista su tela, 50 x 40 cm

Anna Capolupo, Battaglia (2020), tecnica mista su tela, 50 x 40 cm

Il gallerista Emilio Mazzoli, rispondendo alla domanda su come reagirà il sistema alla crisi attuale, ha di recente analizzato in maniera molto lucida la situazione attuale (via Marco Neri): “Speriamo che sia un bene nella disgrazia, e che nell’arte ritorni tutto nei ranghi come dovrebbe essere, perché prima il sistema era impazzito tutto. Ma sì, perché nell’mondo dell’arte c’erano troppi personaggi che non hanno a che fare con il mondo dell’arte, ma avevano solo a che fare con la finanza. Non c’era nessuno che metteva una lira e tutti lucravano dall’arte. Le aste lucrano, le fiere lucrano e non ci mettono una lira, ma diciamo pure che va bene. Ma se all’attore togli il teatro e togli il palcoscenico gli togli praticamente tutto. Al mondo dell’arte hanno tolto la galleria, e tutto il sistema dell’arte è impazzito perché oggi il mercato dell’arte è in mano a chi fa l’antiquariato. Non ho nulla nei confronti di nessuno, ma si tratta di gente che fa l’antiquariato del modernariato. Tutti i buoni galleristi e le persone che hanno lavorato bene lo hanno fatto 30, 40 e 50 anni fa, facendo un lavoro straordinario, mentre oggi si lucra soltanto sul lavoro di quella generazione. Oggi succede che i galleristi chiudono, le case d’aste che fanno prezzi incredibili e gli artisti validi vengono venduti a una lira. Questo sistema è diventato un grande manicomio”.
Non si potrebbe dirlo più chiaramente: la galleria come “teatro”, come “palcoscenico” dell’arte, e all’arte negato; l’ossessiva concentrazione sulla dimensione dell’“antiquariato del modernariato”, e parallelamente l’assenza di investimento economico e cognitivo sulle nuove generazioni.
Questa insostenibilità è dunque qualcosa di molto più profondo, e pervasivo, rispetto ai problemi del mercato, o alla momentanea difficoltà di fare e far visitare una mostra, di mettere in piedi una fiera, ecc. Molto probabilmente, essa ha a che fare con la prospettiva, l’immaginazione non solo del futuro ma del presente. Che cosa è l’arte oggi? Come può uscire dal recinto in cui si è rinchiusa autonomamente, per riconquistare una dimensione viva e aperta finalmente alla realtà contemporanea, a ciò che accade nel mondo?
In che cosa davvero può consistere una Fase Due dell’arte, che non sia retorica e consolatoria?

Christian Caliandro

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Fase Due (I). Niente è come prima

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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