Il corpo del capo. Come Hitler arrivò al potere grazie alla seduzione delle immagini

Torna a Milano, il 26 settembre, il “body-talk”, una lezione performance intitolata “Qualcosa ci sta sognando”, a cura di Manuela Gandini. Una immersione nell’arte e nella vita dell’Europa dal 1929 ad oggi, tra estetica nazista, surrealismo e arte contemporanea. Ce ne parla l’autrice in questo saggio

Mentre Berlino scivola nella corruzione e nella lascivia di personaggi alla Otto Dix, Monaco riempie le birrerie di migliaia di persone ipnotizzate dall’ex caporale Adolf Hitler durante i comizi. Per le strade scoppiano scontri tra le camicie brune e i comunisti. La criminalità domina locali notturni e commercio e l’inflazione è alle stelle. Lui è l’uomo della provvidenza che i circoli esoterici della Thule stanno aspettando. “Salverò la Germania”, afferma. “La salverò dalla mollezza della Repubblica di Weimar”, scrive nella sua Bibbia. E quasi tutti gli credono perché è il primo leader della Società-Spettacolo che usa il corpo, la voce, lo sguardo come uno sciamano. Che ruolo ha la fotografia nella costruzione del personaggio? Avrebbe vinto la sua battaglia (Kampf) per il potere senza l’amplificazione della radio, senza le foto sul “Volkisher Beobachter”? E senza i Cinegiornali? 

Emanuela Gandini durante un talk
Emanuela Gandini durante un talk

L’immagine e l’epica di Adolf Hitler

Nella piccola bottega di Heinrich Hoffmann nasce l’immagine del Führer e la sua epica. Prende corpo il leader che avrebbe rilanciato il Paese eliminando libri, opere, corpi, relazioni, famiglie. Sopprimendo le “vite indegne di essere vissute” e portando al suicidio la stessa Germania. Davanti alla macchina fotografica di Hoffmann, Hitler, con il Lohengrin di Wagner a tutto volume, si tuffa nel suo delirio razziale assumendo pose improbabili, enfatiche e convincenti. Intanto, nella camera oscura dello studio, Eva Braun, l’impiegata che ha l’ambizione di diventare fotografa, sviluppa i negativi dell’immagine del futuro cancelliere, suo futuro marito per un giorno. Quasi 78 milioni di tedeschi – dopo l’adozione di un linguaggio omologatore, pedante, violento che non ammette repliche, fantasie e confutazioni – sono pronti ad accettare, accogliere e compiere azioni immonde nei confronti dei non-ariani.
Fabio Mauri, che con l’amico Pasolini assistette da adolescente al passaggio del Führer e del Duce lungo una gremita strada di Firenze, improntò gran parte del lavoro e delle performance sullo studio dell’ideologia e della seduzione nazista. Secondo l’artista occorreva analizzare e rivivere l’estetica fascista come “parte ineludibile del nostro corpo collettivo”. 

La scena più celebre di Un chien andalou (1929) diretto da Luis Buñuel e Salvador Dalí
La scena più celebre di Un chien andalou (1929) diretto da Luis Buñuel e Salvador Dalí

Estetica nazista e surrealismo

Nel 1929 intanto Louis Buñuel e Salvator Dalì, in Un Chien Andalou, mostrano un uomo che taglia l’occhio di una donna impassibile. La scena è la più crudele delle premonizioni e inaugura il disfacimento dell’ordine nascente sciogliendo convenzioni e sequenzialità. Mentre l’Europa nera totalitaria impone il classicismo, l’adulazione per il corpo, la forza, l’ordine e la ginnastica, i surrealisti fanno irruzione nel mondo dell’inconscio. Come cosmonauti dello spirito, ritraggono paesaggi interiori deformi, inquietanti e sublimi. Sperimentano un erotismo intenso e senza confini, fanno sedute spiritiche, già in voga dalla fine del secolo precedente, e compiono rituali con l’arte, la danza e la magia. Le donne diventano protagoniste, vestali e streghe. Immagini amorfe e spazi misteriosi vengono al mondo. Si propone il ritratto degli abissi e della profondità dell’animo umano, delle energie sottili e dell’universo. Molte delle opere però finiranno alla mostra sull’Arte Degenerata, Entartete Kunst, a Monaco nel 1937, e in altre 12 città, per poi essere distrutte o approdare nei caveaux di Hermann Göring, del Führer e di altri gerarchi. Denigrare, deridere e disprezzare i capolavori del 900, intrisi del male indicibile generato dai nazisti, era modo per silenziare e nascondere i mostri che vivevano nelle loro menti sadiche. 

Pier Paolo Pasolini e l’estetica fascista

Oltre quarant’anni fa, Pier Paolo Pasolini parlando del regime fascista, definito “un gruppo di criminali al potere”, affermò che il fascismo non era riuscito a scalfire la realtà dell’Italia ma che, attraverso il regime democratico, l’acculturazione e l’omologazione, il consumismo era riuscito nell’intento di distruggere le varie realtà particolari degli uomini. La domanda è – oggi che il neoliberismo ha raggiunto livelli di controllo e omologazione inimmaginabili -“Siamo veramente alla frutta? L’arte è morta con una banana matura appesa al muro?”.

Manuela Gandini

Body-talk: 
Qualcosa ci sta sognando
Un viaggio nella dark zone degli ultimi 100 anni
26 settembre ore 18.30
Fondazione Mudima
Via Tadino 26
20124 Milano
02.29409633
[email protected]
www.mudima.net

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Manuela Gandini

Manuela Gandini

Manuela Gandini è critica d’arte contemporanea, curatrice e docente alla NABA di Milano. Scrive per “La Stampa” e “Il Manifesto” ed è responsabile della sezione Forme della rivista “Machina”. E’ autrice del volume “Ileana Sonnabend. The queen of art” (Castelvecchi…

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