L’Assassina di Franco Scaldati in scena al Mercadante di Napoli

È firmata dal regista del duo Ciprì e Maresco la messa in scena del testo di Scaldati al Teatro Mercadante. Una riflessione sul doppio e sull’identità

Assassina (1984), testo del drammaturgo e attore siciliano Franco Scaldati, è andato in scena per la regia di Franco Maresco e Claudia Uzzo (regista collaboratore Umberto Cantone), al Teatro Mercadante di Napoli. Un testo che ci trasporta in un mondo-teatro al contempo quotidiano ed extra-quotidiano in cui i topi e le galline hanno sentimenti e dialogano con gli umani, visioni appaiono improvvisamente e incertezze sull’identità lo attraversano.

L'Assassina, Teatro Mercadante, Napoli. Photo Ivan Nocera

L’Assassina, Teatro Mercadante, Napoli. Photo Ivan Nocera

ASSASSINA DI FRANCO SCALDATI

Lo spettacolo mette in scena in un ambiente realisticamente essenziale, in cui troneggiano una radio e due ritratti incorniciati, le azioni quotidiane di due figure, l’Omino e la Vecchina: lavarsi i piedi, preparare da mangiare, tentare di catturare il topo Beniamino, ma soprattutto litigare per affermare ciascuno il possesso della casa in cui abitano, tutte azioni intervallate dall’apparizione di una Fanciulla vestita di bianco. È un testo con finale a canone sospeso, in quanto non è chiaro chi sia l’assassino (la Fanciulla del quadro, il topo Beniamino), ma anche la modalità della “morte” della strana coppia. L’Assassina non è svelata. L’ambiguità riguarda sia il finale che la natura di Omino e Vecchina: sono una coppia costituita da un maschio e una femmina, o sono un doppio? Potrebbero essere una sola persona, tant’è che parlano “con un’unica voce” e la Fanciulla (Aurora Falcone) si rivolge a loro prima con il singolare e poi al plurale.
È coerente con il mondo-teatro di Scaldati l’uso delle ombre con cui si apre e si chiude lo spettacolo, come se le figure dei due ritratti fotografici appesi sopra la radio, ritratti di defunti che popolano spesso i testi di Scaldati, si fossero animisticamente dinamizzate in quanto presenze immateriali sulla scena. Va sottolineato che l’ombra, nel teatro di Scaldati, è un personaggio vero e proprio, insieme agli esseri umani, agli animali, agli angeli: indice di una esistenza precaria, sempre sul rischio di svanire, rappresenta lo statuto immateriale, fantasmatico, incorporeo del suo teatro. Inoltre l’incipit “cuminciamu” e la battuta finale “Araciu svanisce a scena/ comu o cinema”, affidati alla Fanciulla, inscrivono questo mondo di ombre in uno spazio di rappresentazione fatto di apparizioni e sparizioni, di visioni che nascono nel buio che è quello del teatro.

L'Assassina, Teatro Mercadante, Napoli. Photo Ivan Nocera

L’Assassina, Teatro Mercadante, Napoli. Photo Ivan Nocera

IL DIALETTO SICILIANO SECONDO SCALDATI

Quali sono le questioni che bisogna tenere a mente nel rappresentare i testi di Franco Scaldati? Innanzitutto la natura dei personaggi, che sono spesso mutanti: da vivo a morto, da donna a uomo, da umano ad animale. La domanda fondamentale di Assassina infatti è quella che Scaldati declina costantemente nei suoi testi: chi sono? Qual è la mia identità? Basta il genere a connotare come differenza l’essere maschio o femmina? Non potrei essere sia maschio che femmina? Essere uno in due e due in uno: come stabilire che sono due persone distinte l’Omino e la Vecchina? Il doppio (Omino e Vecchina, Totò e Vicé nell’opera omonima, Lucio e Illuminata in Lucio) per Scaldati è un dispositivo attraverso cui innescare un processo drammaturgico, un dialogo, un conflitto, uno scioglimento. In questa prospettiva la performance attoriale di Melino Imparato, la Vecchina, si dà come prototipo attoriale di un canone scaldatiano che lo scrittore-attore ha affidato alla trasmissione orale, senza tentare di codificarlo in principi e procedure e di cui Imparato conserva la memoria e la conoscenza sedimentate nel corso degli anni di vicinanza e collaborazione attiva con Scaldati. Per canone intendiamo, innanzitutto, la capacità di parlare la lingua, il dialetto siciliano, in cui sono stati scritti i testi, un patrimonio lessicale che è una lingua poetica; intendiamo anche la capacità di restituire in scena la leggerezza di una figura – la Vecchina ‒ che sfugge alle tipizzazioni, che transita fra il trasognato, il quotidiano, il patetico, l’ingenuo, evitando di marcare un solo tono, attitudine che invece imbocca decisamente l’Omino (Gino Carista), piegato monoliticamente sul versante della gag comica da cabaret, trasformando le partiture vocali e sonore di cui è ricco il testo di Scaldati in prosaiche pernacchie, che amplificano a dismisura la dimensione comica, mettendo a rischio la complessità di livelli, toni, atmosfere del testo e dello spettacolo.
Una regia sapiente quella di Maresco, in grado di riportare in vita i testi dell’autore, attore e regista, come solo chi ha vissuto vicino alla vita e all’arte di Scaldati avrebbe saputo fare.

Valentina Valentini

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Valentina Valentini

Valentina Valentini

Valentina Valentini insegna arti performative e arti elettroniche e digitali alla Sapienza Università di Roma. Le sue ricerche comprendono il campo delle interferenze fra teatro, arte e nuovi media. Fra le sue pubblicazioni: "Nuovo teatro Made in Italy" (2015), "Medium…

Scopri di più