Danza. Il Dante fantasy della star Sergei Polunin

Rinviato di un anno a causa della pandemia, è finalmente approdato sulla scena del Teatro Alighieri di Ravenna l’atteso debutto dello spettacolo “Dante Metànoia” del divo del balletto Sergei Polunin. E verrebbe da dire “tanta attesa per (quasi) nulla”.

Pop e cinematografico. Un viaggio tra un fantasy Anni Novanta, un videogame e Gardaland. Un gran fumettone animato, una graphic novel che mescola gusto horror e video-mapping 3D, tra luci, fumi e musica roboante. È questo lo spettacolo Dante Metànoia ‒ commissione del Ravenna Festival per il 700esimo anniversario della morte di Dante ‒, concepito da Sergei Polunin, l’ex bad boy del balletto di origine ucraina, dalla storia tormentata raccontata nel film Dancer di Steven Cantor, artista spesso al centro di non poche polemiche e di equivoci per le sue esternazioni via social, ma star talentuosa per magnetismo e naturalezza tecnica. La fama di ribelle che lo ha finora accompagnato – clamorosa l’uscita tumultuosa dal Royal Ballet dov’era sbocciato come principal a soli 19 anni; i tatuaggi sul corpo incluso il ritratto di Putin sul petto e il Joker maledetto Heath Ledger – sembra smorzarsi se consideriamo i cambiamenti degli ultimi anni (vedi la nascita di un figlio di nome Mir, in russo “pace”, avuto dalla compagna Elena Ilinykh, o il viaggio spirituale in India documentato dal cineasta Shailendra Singh).

IL NUOVO POLUNIN

La scelta del titolo dello spettacolo il cui significato, dal greco, sta per “conversione totale”, è indicativa della trasformazione che ha voluto raccontare. Mutazione che rappresenta firmando anche la coreografia Purgatorio, tocco ancor più intimo del suo percorso, a significare il trovarsi nel mezzo dei due opposti Inferno e Paradiso. Questi ultimi portano la firma rispettivamente dei coreografi Ross Freddie Ray e di Jiří Bubenícek, con il determinante apporto dei video designer Yan Yanko e Otto Bubenícek e dei compositori Miroslav Bako e Kirill Richter, mentre per Purgatorio sono Marcella Grimaux e Gregory Revert. Concepito come uno one man show, lo spettacolo inizia con Polunin incappucciato che si addentra nella selva oscura ‒ disegnata dai video di Yanko ‒ inseguendo un punto luminoso, per ritrovarsi smarrito e impaurito nel mezzo di una bolgia di dannati tra mostri giganti, animali deformi, caverne, montagne, paludi e fiumi incandescenti; lo vedremo precipitare nel vuoto, nelle immagini video proiettate sul tulle in proscenio, tra mani che vorrebbero afferrarlo; lottare incatenato (ricorda Spartacus), e insanguinato, al ritmo percussivo accentuato da un pianoforte live; quindi procedere lungo un corridoio tridimensionale che conduce, attraverso una vertiginosa scalinata, in cima a un portone luminoso che si aprirà su un vasto paesaggio deserto dominato da un monolite. Nel transito tra le Cantiche, ecco apparire e scomparire Beatrice, unica presenza in carne e ossa (la cantante Andjela Ninkovic). Infine, dopo un rintocco di gong, accedendo dalla platea individuato dal fascio luminoso di un occhio di bue, il nostro varcherà la soglia rotolando sotto un sipario metallico appena alzato, e si ritroverà tra anime bianche – come il suo vestito – rappresentate da calchi di volti piantati su delle colonnine. Si aggirerà tra di esse, spostandole e raggruppandole, mettendosi in mezzo, mentre appare il suo viso reale ingigantito su un grande schermo, colto nel risveglio e poi nel dissolversi e ridefinirsi delle sue fattezze.

Sergei Polunin, Dante Metànoia. Paradiso. Teatro Alighieri, Ravenna 2021. Photo © Silvia Lelli

Sergei Polunin, Dante Metànoia. Paradiso. Teatro Alighieri, Ravenna 2021. Photo © Silvia Lelli

UNO SPETTACOLO NON DEL TUTTO RIUSCITO

È l’uomo-nuovo Polunin, in quel Paradiso finalmente raggiunto, dove ha ritrovato, forse, il riscatto dai propri demoni. Sicuramente, quest’ultima, è la più riuscita delle tre coreografie per il linguaggio più contemporaneo e una visione meno spettacolare e invasiva, la delusione è per le altre, che vedono il bravo Polunin fagocitato dall’invadenza delle immagini dell’Inferno e dalla frastornante musica, e in un veloce attraversamento del Purgatorio. Seppur animato da sincero pathos, espressività, e senza risparmio di energia, la sua danza è principalmente un virtuosismo di slanci, corse, salti, torsioni, giri, piroette, che appartengono al linguaggio classico più consueto ‒ ma privi di un’incisiva drammaturgia ‒, quando, invece, avrebbe potuto essere diretto in ben più ardite dinamiche contemporanee, forse più consone alla Commedia di oggi. Pubblico comunque coinvolto e in delirio. Ma per il fascino del divo.

Giuseppe Distefano

www.teatroalighieri.org

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Giuseppe Distefano

Giuseppe Distefano

Critico di teatro e di danza, fotogiornalista e photoeditor, fotografo di scena, ad ogni spettacolo coltiva la necessità di raccontare ciò a cui assiste, narrare ciò che accade in scena cercando di fornire il più possibile gli elementi per coinvolgere…

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