Il nuovo album del musicista Elia Piana realizzato con strumenti tribali

L’ultimo disco del giovane musicista bresciano, uscito in cassetta per un’etichetta greca, nasce dal campionamento di strumenti etnici del collezionista Carlo Fasser e della Galleria dell’Incisione. Ecco la storia

L’ispirazione musicale (per non dire quella artistica in tutte le sue forme) è sicuramente uno dei misteri più affascinanti della storia dell’essere umano: un fenomeno che, in tantissimi casi, può avere del miracoloso. Che si tratti di motivazioni religiose, di pulsioni urgenti o di puri passatempi, ciò che spinge un autore a concepire e produrre musica è davvero qualcosa di unico che spesso può arrivare anche da un incontro inaspettato. È proprio questo ciò che è successo al giovane musicista Elia Piana (Gardone Val Trompia, 1990) grazie alla scoperta fortuita di un piccolo tesoro nascosto. 

Il nuovo album di Elia Piana: la collezione di strumenti etnici di una galleria di Brescia

Intitolato Sotto l’albero tutto si copre, il nuovo album di Piana nasce infatti dall’utilizzo di alcuni strumenti etnici appartenenti alla collezione del geologo Carlo Fasser, gelosamente custodita nel sottoscala della bresciana Galleria dell’Incisione, diretta da sua moglie Chiara Padova. Pubblicato lo scorso 19 ottobre dall’etichetta greca Dasa Tapes, l’album si presenta sotto la forma delicata e minimale di una audiocassetta per rivelare quindici brani brevi ma intensi. Caratterizzato da una intricata stratificazione sonora, il disco mette in risalto l’atemporalità degli strumenti utilizzati per portare alla mente qualcosa di atavico e ritualistico. 

Sicuramente debitore di esperienze oramai emblematiche all’interno della musica Ambient/IDM – come Selected Ambient Works Volume II di Aphex Twin o Geogaddi dei Boards of Canada –, Sotto l’albero tutto si copre porta alla memoria anche gli atipici approcci artistici di esploratori musicali del calibro di Pierre BastienCharlemagne Palestineo il nostrano Regno Maggiore. Incuriositi dalla particolarità di questo progetto discografico abbiamo incontrato Elia Piana per raccontarci qualcosa di più.

L’intervista al musicista Elia Piana

Il tuo ultimo album ha un titolo molto evocativo: Sotto l’albero tutto si copre. Da dove viene? 
Sotto l’albero tutto si copre è un estratto di un haiku del maestro Matsuo Bashō che ho ricollegato alla bellezza nascosta: “Sotto l’albero tutto si copre di petali di ciliegio, pure la zuppa e il pesce sottoaceto”. Nella mia musica spesso la melodia risulta intrinseca, nascosta da rumori, glitch e field recording materici. Mi piace molto questo metodo e lo uso anche per dare organicità al suono.

Qual è il suo significato?
Il tema della bellezza nascosta è centrale per questo disco poiché la collezione stessa degli strumenti da me campionati si trova nel piano sottostante della Galleria dell’Incisione: molti conoscono la Galleria e le bellezze che offre, ma pochi sanno della meraviglia che custodisce.

Sotto l’albero tutto si copre è caratterizzato da suoni molto suggestivi, prodotti grazie ad alcuni particolarissimi strumenti della collezione privata di Carlo Fasser. 
Si, ogni brano è stato composto partendo dai suoni di strumenti musicali etnici raccolti nella collezione di Carlo. È stata un’esperienza bellissima, tutto nacque dall’incontro con Caterina – figlia di Carlo e di Chiara Padova –, gallerista per l’appunto della Galleria dell’Incisione. Frequento spesso la galleria e tra una mostra e l’altra c’è sempre stato spazio per un bel confronto. Quando mi disse della presenza di questa collezione e mi diede la disponibilità di suonarla e registrarla fu meraviglioso.

Raccontaci la genesi di questo progetto.
Sono sempre stato amante delle derivazioni tribali, degli strumenti materici che racchiudono una storia ed un’energia alle spalle. Il processo di registrazione è stato fatto rispettando completamente il momento dello strumento, senza cercare un’accordatura o una pulizia sonora. Gesti istintivi che sono stati tramutati in composizioni, grazie alla successiva manipolazione con strumenti elettronici, quali Monome Norns, Ciat Lonbarde Cocoquantus 2, Plumbutter 2 e un piccolo sintetizzatore modulare.

Il disco si presenta in forma di audiocassetta. Come mai questa scelta?
L’audiocassetta è una scelta dell’etichetta Dasa Tapes che pubblica ogni album in questo formato. È una scelta che nel mondo più “indipendente” viene spesso fatta: permette convenienza per le tirature limitate e, a mio parere, nasconde un fascino fuori dal tempo. Per quest’ultima produzione ho cercato proprio la stampa su di un supporto simile, mi affascinava molto l’idea. Mi piace avere l’oggetto tra le mani, goderne del guardarlo, toccarlo; spero e penso che il formato digitale non potrà mai superare tutto questo.

La tua ricerca spesso ti ha portato a confrontarti anche con realtà museali come la GAMEC di Bergamo e il Centro Arti Multiculturali Etnosociale di Brescia. Quanto conta la location nelle tue esibizioni?
La location della performance sonora è importantissima, valorizza il suono, l’atmosfera. Bellezza eleva bellezza. Oltre agli spazi museali che tendenzialmente racchiudono il giusto silenzio e la giusta energia, mi è capitato di suonare con una compagnia teatrale in una vecchia miniera abbandonata ed è stato molto suggestivo. Così come in una chiesa completamente al buio e in un boschetto tra silenzi ed ombre

Nella tua biografia si legge anche di un progetto sulla sonorizzazione di opere d’arte. Parlacene un po’.
Con la cantante Claudia Ferretti ho condiviso il progetto Alamye e abbiamo avuto il piacere di dare suono ad alcune opere dello scultore Giuseppe Rivadossi, e ad altre, in ceramica, di Giuseppe Messinese al Musil, il Museo del ferro di Brescia. Nel 2021 ho poi collaborato con il musicista Alessandro Pedretti per sonorizzare a Capo di Ponte (BS) l’installazione permanente Molecole, composta da quattordici piccole sculture in verde olivo di Capo di Ponte, create dalla scultrice Milena Berta.

Cosa ne pensi dei software di Intelligenza Artificiale? Come la vedi la musica del futuro?
L’Intelligenza Artificiale per ora l’ho sempre osservata da una prospettiva più distante, nasconde sicuramente una marea di possibilità in ogni ambito, oltre che nell’arte e nella musica. Personalmente rimango sempre molto legato all’emozione e alla spiritualità quando si fa arte, alla sensibilità intrinseca di ogni persona, al colpo di genio, alla materia. Il connubio tra l’evoluzione e la primitività può essere il mio compromesso anche in ottica futura.

Valerio Veneruso

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Valerio Veneruso

Valerio Veneruso

Esploratore visivo nato a Napoli nel 1984. Si occupa, sia come artista che come curatore indipendente, dell’impatto delle immagini nella società contemporanea e di tutto ciò che è legato alla sperimentazione audiovideo. Tra le mostre recenti: la personale RUBEDODOOM –…

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