Il Re Leone. Esperienza visiva perfetta che va oltre l’aspetto emotivo

Forse il titolo più atteso nel 2019 della Walt Disney. Il Re Leone di Jon Favreau è visivamente eccellente però demolisce l’alto coinvolgimento emotivo, doloroso e divertente, del classico d’animazione

Un film sperimentale e altamente spettacolare. Dal 21 agosto al cinema arriva Il Re Leone, il live action della Disney dedicato alla storia di Simba e al magico cerchio della vita. Si tratta di una vera esperienza visiva, qualcosa di nuovo, di impressionante per la sua perfezione tecnologica. È banale usare il termine “bello” ma in questo caso è inevitabile. Il Re Leone è veramente un bel film, visivamente! Un film che però non restituisce le emozioni e le sensazioni a cui ha abituato il classico animato e che forse rende meno empatici alcuni momenti, tra tutti la morte di Mufasa. Il live action de Il Re Leone va quindi analizzato da due punti di vista: la spettacolarità visiva e l’inevitabile confronto con il forte coinvolgimento emotivo della versione classica. Un film quindi che ha un grande pregio ma al tempo stesso un significativo difetto. La tragicità e i colori forti dell’originale lasciano qui spazio a un’immagine così vera da sembrare reale – in realtà ricostruita al computer. L’animazione assume un aspetto quasi documentaristico e per questo acquista un incredibile fascino, sacrificando però l’espressività e la comunicazione dei singoli personaggi.

TECNOLOGIA VS EMOZIONE

Quel grande talento di Jon Favreau, che firma la regia, è il primo autore a realizzare due live action “dal vivo” della Disney avendo già fatto Il libro della giungla nel 2016. Favreau, commentando il suo lavoro per Il Re Leone, ha detto: “Hai la sensazione di restaurare un edificio classico, storico. Come fai ad aggiornarlo mantenendone la personalità? Come ti avvantaggi delle nuove conquiste tecnologiche, senza perdere l’anima e lo spirito del Re Leone originale? Per me questo film è l’apice degli adattamenti dal vero che la Disney ha fatto dei suoi classici animati”. Il lavoro di Jon Favreau e del suo team è eccellente, manca però di qualcosa. Nella versione italiana il vero godimento, quello emozionante, doloroso e insieme divertente, persiste solo e unicamente grazie a due voci “pazzerelle”, quelle di Stefano Fresi ed Edoardo Leo, che si divertono, lasciano andare e trascinano nel loro viaggio con Timon e Pumba tutti gli spettatori. Niente paura, Il Re Leone resta un racconto classico in cui la famiglia tradizionale è l’unica ancora di salvezza e il grande bene da proteggere.

 NALA E SIMBA, ELISA E MARCO MENGONI

Come si sono preparati al doppiaggio Elisa e Marco Mengoni? “Io de Il Re Leone, versione animata, porto nel cuore sicuramente la musica e alcune scene mitiche, iconiche come ovviamente il saluto iniziale”, ha raccontato Elisa. “Essendo un’amante anche della natura è un po’ uno di quei film che abbracciano la naturalezza del rapporto fra gli animali. C’è un colore, un calore che ho sempre amato. Fiamma Izzo è stata il mio faro in questo lavoro di doppiaggio. Abbiamo lavorato sulla fierezza delle leonesse. Sul loro essere combattive. Nala è colei che cambia la storia disobbedendo e andandosene alla ricerca di una soluzione e di cibo”. Marco Mengoni ha dovuto lavorare tanto sulla voce e non solo. “Il personaggio muta nel film, da piccolo ad erede al trono. Si trova a essere prima un giocherellone anche spinto da Timon e Pumba, poi deve prendere le redini della situazione e dimostrare di essere un re”, commenta il cantante. “Nell’ultima parte del film abbiamo lavorato sulla fierezza, nella prima mi sono divertito a essere “un giovane oggi” che pian piano deve prendersi le sue responsabilità. De Il Re Leone classico ricordo con immenso trasporto il legame con “mamma Africa”. L’Africa per la musica è una fonte di ispirazione eterna”. 

SIMBA E MUFASA EROI PER WHATSHISNAME

Curiosità: in occasione dell’anteprima italiana del film Il Re Leone, nella cornice dello splendido cortile dell’Anteo Palazzo del Cinema, gli ospiti hanno potuto apprezzare l’opera dello street artist londinese d’adozione, Sebastian Burdon, noto al pubblico con il suo pseudonimo Whatshisname. L’artista ha raffigurato le sagome di Simba e Mufasa riconoscendoli come due eroi dell’infanzia che riaffiorano dalle profondità della memoria. L’opera, realizzata su stampa giclée e fatta su carta Somerset Velvet, appartiene alla serie originale dell’artista chiamata GONE, dedicata agli eroi dell’infanzia oggi quasi dimenticati. “Ho iniziato a lavorare al progetto GONE alcuni anni fa, il mio desiderio era quello di mostrare personaggi dei cartoni animati che durante l’infanzia ritenevamo nostri amici ed eroi ma che nel corso degli anni sono diventati un ricordo sbiadito. Solo una sagoma indistinta di quello che erano”, ha commentato l’artista. Whatshisname è un designer polacco che vive a Londra e cerca con la sua arte di andare oltre l’ordinario. Ha iniziato la sua attività artistica a 7 anni e dopo essersi trasferito a Londra nel 2006 e aver lavorato come assistente e consulente per artisti britannici, ha iniziato a firmare con lo pseudonimo “What’s His Name” opere e sculture realizzate con una grande varietà di mezzi, tra cui inchiostro, grafica e stampa 3D.

 – Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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