L’IVA sulle opere d’arte e l’abbassamento dell’aliquota spiegate bene
La misura, che non ha convinto tutti, ma che ha entusiasmato il mondo dell’arte, è una leva necessaria ed efficace per rilanciare la vitalità degli scambi nella filiera artistica, e una azione strategica per riposizionare l’Italia, che ora ha l’aliquota più bassa, in Europa

Dopo battaglie durate mesi, anni, il sistema dell’arte festeggia una vittoria importante: la riduzione dell’IVA sull’arte. Con l’approvazione dell’articolo 8 del DL Omnibus da parte del Consiglio dei Ministri lo scorso venerdì 20 giugno 2025, si è stabilito, infatti, che l’aliquota sulle cessioni e le importazioni di opere d’arte in Italia passerà dall’attuale 22% al 5%, il valore più basso in Europa. Un punto e una svolta che riporta il Paese a essere competitivo nello scacchiere europeo, soprattutto considerando che la Francia, già a fine 2023, e la Germania, nel 2024, hanno optato per una riduzione dell’IVA rispettivamente al 5,5% e 7%, con effetti dal 1° gennaio 2025.
Perché la misura è importante per il mercato
A valle della decisione presa dall’attuale Governo le reazioni del comparto sono state comprensibilmente e unanimemente entusiaste, anche visto l’impegno profuso da tanti degli operatori della filiera, in prima linea in questa battaglia da portare sui tavoli della politica, e celebrativi sono stati, anche giustamente, i toni degli stessi decisori coinvolti. Forse però non è del tutto chiara la portata di questa operazione, che rischia di sembrare uno sconto sulle tasse per un settore dai più percepito come elitario (non che non lo sia, ma non crediamo sia solo questo) o una misura che impatta solo gallerie e collezionisti, a discapito di artisti o curatrici, per dire. Mentre è invece una leva necessaria ed efficace per rilanciare la vitalità degli scambi nella filiera artistica, in grado di diffondere benefici a tanti dei tasselli che la compongono, oltre che una misura strategica per riposizionare l’Italia in Europa.
E allora per provare a capirci di più, in attesa di leggere per esteso le nuove previsioni e sentire anche un po’ di commenti e opinioni, raccogliamo i punti e gli interrogativi su cui ci pare ci possa essere più confusione.
Che cosa è l’IVA?
Come dire, partiamo dalle basi. Si riduce dunque l’IVA su cessioni e importazioni di opere d’arte e oggetti da collezione. Ma cosa è l’IVA forse non tutti lo sappiamo benissimo. L’acronimo indica l’imposta sul valore aggiunto e si applica alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate. Sempre a grandi linee le imprese addebitano l’imposta al cliente, includendola nel prezzo finale praticato, e la versano poi all’erario. Un passo indietro ancora, cosa è il valore aggiunto? È la differenza tra il prezzo di vendita di un prodotto – bene o servizio che sia – e il costo delle materie prime, ausiliarie e dei servizi utilizzati per la sua produzione, ovvero il valore aggiunto dall’impresa grazie all’intervento dei fattori produttivi di capitale e lavoro a ogni passaggio economico, dalla produzione al cliente finale. In Italia l’aliquota ordinaria IVA è del 22%, ma ci sono aliquote ridotte per alcuni beni e servizi, come alimentari e prodotti agricoli (4%) o energia e gas per uso domestico o medicinali (10%).
Come si quantificava l’IVA sull’arte finora?
In Italia al momento le opere d’arte hanno due aliquote: una, quella ordinaria fissata al 22%, prevista per tutti gli intermediari professionisti come gallerie e case d’asta, e una seconda agevolata al 10%, riservata alle opere che l’artista o i suoi eredi vendono direttamente al collezionista e alle importazioni, ovvero alle opere acquistate fuori dall’Unione.

Perché si poteva abbassare l’IVA sull’arte e non su altri beni più essenziali?
A consentire questa riforma è stata la Direttiva UE 2022/542 del 5 aprile 2022, che consentiva agli Stati membri di introdurre nuove aliquote di IVA ridotte per specifiche categorie di beni e servizi, da scegliersi però in un elenco limitato e chiaramente indicato nell’Allegato III della Direttiva 2006/112. Tuttavia, ogni Stato può decidere di applicare aliquote ridotte a un massimo di 24 categorie delle 29 previste dall’Allegato. E con l’obiettivo non solo di costituire un beneficio per il consumatore finale, ma di perseguire obiettivi di interesse generale. In particolare, l’applicazione dell’IVA ridotta al 5% per la cessione di oggetti d’arte, da collezione o d’antiquariato rientrava nelle possibilità previste, in quanto questi sono stati esplicitamente aggiunti come categoria merceologica per favorire il raggiungimento di obiettivi e finalità di politica sociale e culturale specifiche. Si poteva applicarla anche a beni molto essenziali come, ad esempio, gli assorbenti o i metodi per la contraccezione? Sì, la direttiva può essere usata per estendere regimi fiscali agevolati anche a questo tipo di prodotti, ma non è stato fatto finora. E allora perché dovremmo essere felici dell’applicazione alle opere d’arte e non ad altro, che magari ci coinvolge anche più da vicino? Perché questo intanto riconosce il valore della produzione e dello scambio di beni culturali, frutto della creatività e del pensiero, e questo già dovrebbe soddisfarci. In più, lungi dal considerare la filiera solo come esito di scambi di lusso e per soggetti con elevato potere di acquisto, la riduzione dell’IVA potrebbe rendere l’Italia più competitiva e incoraggiare gli acquisti di tanti soggetti, i collezionisti, certo, ma anche le istituzioni pubbliche al servizio della collettività, oltre ad andare a beneficio anche di chi le opere le realizza, gli artisti, e di chi a vario titolo ci lavora, dalla critica alla curatela all’educazione. Dagli studi di settore, inoltre, emerge anche che aliquote più basse siano in grado di produrre benefici fiscali indiretti, con un incremento dell’attività economica a quelle correlata.
Chi beneficia quindi della riduzione dell’IVA al 5%?
Tutta la filiera dell’arte, potremmo dire, e in particolare alcune categorie di operatori, in primis le gallerie e poi chi compra arte. Ma la maggiore vitalità degli scambi attesa, incentivata da un prezzo più basso grazie a una IVA inferiore, ha la capacità e potenzialità di diffondere benefici e ricadute positive più ampie all’intero sistema dell’arte. Favorendo i collezionisti e gli acquirenti, che avranno un risparmio sui prezzi praticati, così come le gallerie e i mercanti, anche in relazione con clienti e competitor internazionali. Per le piccole gallerie, in particolare, sempre seguendo le indicazioni contenute nello studio di Nomisma, questa misura può tradursi in una crescita del fatturato fino al 50%, mentre per il settore nel complesso si prevede un incremento del 28%, con una crescita del fatturato fino a 1,5 miliardi di euro in un trimestre e un impatto complessivo sull’economia di circa 4 miliardi di euro. La salute del comparto commerciale poi, per estensione, potrebbe riguardare tanti soggetti diversi. O questa è la speranza, almeno.
A chi va il merito di questa nuova riforma?
La battaglia sulla riduzione dell’IVA per le opere d’arte è stata lunga, se ne è discusso per decenni, e se è arrivata ora a compimento è, come spesso accade, merito dell’impegno di alcune categorie professionali e di una cornice istituzionale e legislativa favorevole. In particolare va riconosciuto l’impegno per questa svolta al Gruppo Apollo, che ha così commentato la vittoria: “Questa sinergia tra gli operatori del comparto – gallerie, case d’asta, collezionisti, professionisti – con le istituzioni, in primo piano il Governo, in particolare il Ministero della Cultura e il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Parlamento ha avuto un ruolo determinante nel raggiungimento di questo traguardo, in recepimento di quanto previsto a livello comunitario dalla direttiva europea 542/2022. Un particolare grazie va ai Presidenti delle Commissioni Cultura di Camera e Senato Federico Mollicone e Roberto Marti e l’Onorevole Alessandro Amorese per la dedizione e il sostegno dimostrato”.
Il Gruppo Apollo è la confederazione che raggruppa tutte le principali associazioni dell’industria dell’arte in Italia, un comparto che – secondo l’ultimo rapporto commissionato dal Gruppo Apollo e realizzato da Nomisma in collaborazione con Intesa Sanpaolo e presentato lo scorso marzo – vale 1,36 miliardi di euro.Bisogna inoltre dare atto che il partito che più di altri si è speso sulla questione è, proprio con Federico Mollicone, Fratelli d’Italia.
Con il beneficio per il sistema dell’arte non si sottraggono però risorse economiche al Paese in termini di tasse inferiori nelle tasche dell’erario?
In parte certamente la riforma ha un costo e dunque si sono dovute cercare coperture finanziarie a compensazione, ma la considerazione che l’ha resa possibile, oltre che importante, è stato il rilancio competitivo di un intero settore culturale, ancor prima che commerciale, la sua capacità produttiva, l’indotto che è in grado di generare e che in effetti genera, avendo proiezioni e calcoli alla mano per decidere in merito, tenendo anche conto di quanto accade nei paesi europei più vicini all’Italia e alle influenze reciproche e alla concorrenza nel settore a livello internazionale.
Questo taglio costerà allo Stato italiano circa 90 milioni ma, come segnalato dal Ministro Giuli seguendo i numeri contenuti nello studio di Nomisma, senza questa facilitazione il mercato dell’arte avrebbe perso “il 28% del fatturato complessivo. Per le piccole gallerie sarebbero state perdite del 50%. Secondo le simulazioni, in un triennio con l’IVA ridotta il fatturato di gallerie, antiquari e case d’asta crescerà fino a raggiungere 1,5 miliardi con un effetto complessivo sull’economia italiana stimato fino a 4,2 miliardi. Che significa anche un gettito fiscale indiretto”.
Dunque, si è scelto, per fortuna, di intervenire su un nodo fiscale, che indeboliva la competitività del nostro mercato rispetto agli altri Paesi europei, trasformandolo, invece, in un luogo ora particolarmente attrattivo, almeno in termini di politiche fiscali, riconoscendo al contempo all’arte un ruolo strategico e fondante.
L’Italia può ora “primeggiare”?
Si e no. Di certo la riforma fiscale è un passo necessario e prioritario per competere ad armi pari e continuare a lavorare con una sostenibilità economica in un contesto globale. “L’Italia può diventare hub europeo del mercato artistico”, ha osservato sempre il Gruppo Apollo, per evidenziare quanto queste nuove condizioni operative possono rendere più solido il lavoro dell’industria e più attrattivo il Paese anche per gli operatori e i collezionisti internazionali. Tornando al primeggiare, questo è un passo nella direzione giusta, ma non l’unico, né tantomeno quello definitivo. E per garantire respiro e incidenza della produzione artistica e del commercio dell’arte in Italia sono tante le misure che andrebbero implementate a stretto giro, dalle previsioni di legge sulla circolazione dei beni artistici e dagli investimenti nella formazione e nella promozione di artisti e curatori, degli operatori italiani, a politiche di valorizzazione consapevoli e mirate da parte degli attori istituzionali, passando per un lavoro di diffusione della cultura visuale contemporanea a un pubblico più ampio ed educato. D’altro canto, il Ministro Giuli ha garantito che anche altro sarà fatto per il mercato dell’arte e a luglio, secondo quanto anticipato da Mollicone, dovrebbe arrivare anche l’altra riforma a lungo attesa, per la semplificazione delle procedure sull’esportazione dei beni culturali.
Un’IVA ridotta renderà più accessibile e democratico il mercato dell’arte?
Si e no. Nel senso che di certo la nuova fiscalità prevista permetterà ai galleristi, per esempio, di arrivare ai collezionisti e agli acquirenti in generale con prezzi più contenuti, consentendo a questi ultimi di comprare magari a cuor più leggero, o anche un’opera in più, perché no, o di comprare in generale. Così come dei range più bassi magari avvicineranno nuovi appassionati. Restiamo però in un ambito in cui l’acquisto spesso non è certo per le tasche di tutti, e più che un ribasso dell’aliquota, a espandere la platea degli acquirenti d’arte, servirebbe una correzione al rialzo di stipendi, compensi, salari, in un Paese che è letteralmente invaso da lavoratori poveri, a cominciare da quelli dell’industria dell’arte stessa.
La nuova IVA più bassa eliminerà il “nero” dal mercato dell’arte?
Nessuna misura di legge può impedire agli evasori di evadere, il nostro Paese in questo è secondo a pochi. Tuttavia, l’implementazione di condizioni più favorevoli può come sempre disincentivare condotte opache e indirizzare i professionisti verso la trasparenza e la legalità.
Per ora è tutto, ma rimaniamo in attesa dell’altra riforma annunciata da Mollicone, che toccherà innovazione, digitalizzazione, valorizzazione, e soprattutto nuove misure di semplificazione dell’esportazione dei beni culturali.
Cristina Masturzo
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