Tiziano Scarpa: il geco & l’arte contemporanea

L’ultimo romanzo di Tiziano Scarpa è ambientato a Venezia, nei giorni di preview della Biennale d’Arte. Ve ne abbiamo parlato su Artribune Magazine, lo ha recensito per noi Luca Bertolo e ora – con un terzo commento – ci pensa anche la rubrica Inpratica.

Alla letteratura italiana mancava un romanzo dedicato all’arte contemporanea: adesso ce l’ha. Non una narrazione che avesse una semplice ‘coloritura’ artistica, ma una la cui struttura interna fosse il nostro sistema dell’arte, con le sue convenzioni e norme surreali. Il brevetto del gecoche qui trovate recensito da Luca Bertolo – di Tiziano Scarpa è questo, e molto altro (come, per esempio, un libro in cui sono le parole stesse a rivolgersi direttamente al lettore in corsivo, intercalando il racconto, annullando e distanziando il narratore-scrittore e proponendo il loro punto di vista mai-nato; oppure, un libro che indaga un altro punto di vista sull’arte, religioso-sacro-demonico).
Federico Morpio è il prototipo – inconfessato, inconfessabile – di molti, moltissimi artisti italiani (e non solo) quarantenni. Animati dal risentimento nei confronti di un sistema che li ha rifiutati, spinti ai margini, senza che loro abbiano mai ben compreso le regole del gioco (che comunque non esistono, o non sono quelle che sembrano). Artisti che si sentono sempre inadeguati rispetto alle richieste e alle sfide del momento, però sempre pronti a giudicare e a invidiare il prossimo “che-ce-l’ha-fatta”: “Inauguro a Settembre a Londra – oh che meraviglia che gallerista hai – Uno Nuovo Con Questo Ho Svoltato Ha Un Giro Di Collezionisti Pazzesco Vende A Cifre Altissime Mi Paga Anche I Costi Di Produzione Delle Opere Paga Perfino Le Trasferte Si Occupa Di Tutto Lui Non Devo Pensare Più A Niente Solo Dipingere – sono contento per te – E Tu?”.

Tiziano Scarpa – Il brevetto del geco, Einaudi, Torino 2016

Tiziano Scarpa – Il brevetto del geco, Einaudi, Torino 2016

Morpio realizza videoritratti che sfondano e zoomano digitalmente a tal punto da penetrare la superficie del viso, e mostrare batteri e micromondi biologici (neanche una brutta idea, se la vedessimo concretizzata su uno schermo). Questo per esempio il resoconto della sua vita fino al presente (simile, molto probabilmente, a tanti altri reali): “1996-1999: Accademia pagata dai miei; 1999-2002: bolla web (anni d’oro); 2003-2007: illustrazioni, rete, ecc. (scarso); 2007-2013: illustrazioni, rete (poco); 2013-oggi: lavoretti (pochissimo); domani: ???”.
Parallelamente, la vicenda di Adele alla scoperta della fede proprio attraverso l’arte, una percezione dell’arte completamente diversa, ancora più problematica se possibile – e che recupera forse una dimensione simile a quella che Hans Belting definiva della “pre-istoria dell’arte”. Così, le pagine dedicate all’installazione progettata da Dan Flavin prima di morire per Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa a Milano (1996) sono tra le più belle in assoluto, proprio perché fanno intravvedere limpidamente questa dimensione estranea, liminale, di annuncio.
Il brevetto del geco, dunque, è importante non solo per il rilevamento preciso e la rilevazione puntuale dei tic e dei meccanismi tipici del mondo in cui viviamo immersi (le pagine sui curatori per esempio sono esilaranti), ma perché scandaglia a fondo la temperatura di questa immersione, nomina proprio il mondo dell’arte come sommerso rispetto alla realtà e al fuori: “Morpio non doveva mai dimenticare che quello non era il cielo vero!, era un simulacro fatto di celebrità, luccichii posticci applicati come addobbi, mentre il soffitto marino si poteva sfondare: c’era tutto un altro mondo là sopra, oltre la superficie dell’acqua, all’aria aperta: bastava puntare più su per spalancare tutto, anche se stessi. E però… Quello subacqueo era il suo mondo. Un pesce-artista che ne fosse uscito sarebbe morto d’asfissia, boccheggiando nell’atmosfera. Il premio in palio era una patacca, un rametto di corallo che imitava le stelle; tutti lo sapevano, ma non avevano il coraggio di uscire da lì, per paura di morire”.

Robert Smithson, Dead tree, 1969 - 56. Biennale di Venezia - photo Valentina Grandini

Robert Smithson, Dead tree, 1969 – 56. Biennale di Venezia – photo Valentina Grandini

In questo il romanzo di Scarpa è davvero prezioso: nel segnare delle possibili traiettorie per far penetrare la vita, il suo rumore bianco e il suo rumore di fondo, all’interno del recinto avvizzito dell’arte; per far entrare aria aperta in una stanza chiusa da tempo; per suggerire dimensioni molteplici da intrecciare e intersecare. Quando Morpio riflette sul “potere del rettangolo” – come lo definisce il suo nuovo mecenate –, e su quello che sta tentando di fare durante l’inaugurazione di una Biennale di Venezia insieme ad altri artisti, dipingendo giorno per giorno un’opera vivente sulla vetrina di un negozio abbandonato (“sembrava lo schermo di un computer gigante, una light box, o uno di quei pannelli pubblicitari digitali, ma in versione artigianale”), qualcosa brilla e risuona dentro di noi. Il punto è proprio il suggerimento e l’invito a superare la barriera, a tirare la testa fuori dall’acqua, a “uscire di lì”, a vincere la “paura di morire” (o di non esistere, che forse è anche peggio): perciò, è un libro che andrebbe letto da tutti artisti-curatori-galleristi-collezionisti-decisori-spettatori. Gli Operatori del Mondo Subacqueo.

Christian Caliandro

Tiziano Scarpa – Il brevetto del geco
Einaudi, Torino 2016
Pagg. 336, € 20
ISBN 9788806203115
www.einaudi.it

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

Scopri di più