Dai luoghi ai loghi. Quando il brand fa turismo

Marketing territoriale e turismo sono due aspetti che, da tempo immemore, ricorrono nella promozione del patrimonio italiano oltre i confini nazionali. Ora che il Belpaese non occupa più le prime posizioni nella classifica dei luoghi da visitare, i rischi legati alla brandizzazione di città e territori sono aumentati. Mettendo a repentaglio il fragile concetto di identità.

TURISMO E MARKETING
Da noi il turismo, si sa, ha radici antiche; e radici profonde può vantare anche la valorizzazione a fini turistici del territorio. Nel 1640 alcuni nobili romani pregarono il cardinale Francesco Barberini di intervenire affinché venisse bloccata la demolizione allora in corso del mausoleo di Cecilia Metella, e per convincere il prelato gli spiegarono che “questo era un aprire la strada alla destruttione dell’altre antichità, la cui fama invita quasi tutto il mondo di venire a vederle, e così non vi sarebbe più il concorso de’ forastieri; per lo che detto signor cardinale Barberino, che non ha altra mira che la grandezza e buon governo di questa città, ha ordinato che si sospendesse tal demolitione, e si crede che non se ne farà altro”.
Anche il marketing territoriale, da noi, è un fenomeno di vecchia data. Nel 1868 la città di Massa decise di assumere il nome di Massa dei Marmi, sull’esempio del poco distante Forte versiliese; ma non se ne fece nulla, perché la vicina Carrara – da tempi assai più remoti, in effetti, impegnata nell’escavazione e nella lavorazione del marmo – si oppose allo scippo, con apposita delibera del consiglio comunale.

H5, Logorama, 2009

H5, Logorama, 2009

I RISCHI DELLA BRANDIZZAZIONE
Poi in questo, come in altri settori che ci hanno visti all’avanguardia, abbiamo perso un po’ di smalto, e siamo scesi di diverse posizioni nelle classifiche dei Paesi più visitati e più desiderati. Ora è giunto il momento di risalire la china, e uno strumento per farlo è quello di attuare da noi, come altri Paesi concorrenti hanno già fatto, la brandizzazione delle città e dei territori che compongono il mosaico italico: in uno scenario turistico che è sempre più competitivo e in cui le scelte avvengono con sempre maggiore rapidità, bisogna condensare le “eccellenze” di un’area in una sigla, in uno slogan, in un’immagine. Il territorio si fa marca, o meglio brand.
L’homo œconomicus che è in me non può che esserne contento, se questo aiuta a intercettare i flussi turistici e a produrre ricchezza e occupazione. Però gli altri homines che si agitano al mio interno non possono non porsi delle domande. Lo slogan, l’immagine suasiva, il marchio ossessivamente ripetuto possono andare bene per una banana o per un telefonino, ma come possono racchiudere e rappresentare la complessità del reale? Chi sceglie quale eccellenza elevare a simbolo e quale ricacciare nell’ombra? E con quale diritto si cancella tutto ciò che non è un’eccellenza, perlomeno dal punto di vista turistico, ma è comunque un pezzo significativo di realtà, magari tanto più interessante quanto meno incasellabile come attrazione?

H5, Logorama, 2009

H5, Logorama, 2009

IDENTITÀ IN PERICOLO
Va da sé, poi, che il brand, per avere successo, deve essere qualcosa di immediatamente riconoscibile e immutabile, una volta che è stato stabilito: e dunque la contemporaneità può accomodarsi fuori, la Storia è un capitolo chiuso e noi non dobbiamo pensare a “costruirci” giorno per giorno, ma limitarci a coltivare e valorizzare la nostra identità, già definita una volta per tutte. L’identità! La versione pre-Twitter del brand: un concetto che era già scivoloso, ma che perlomeno poteva essere più o meno articolato, e su cui si potevano proporre ponderate riflessioni. Ora no: occorre essere lapidari, un luogo indeciso, o confuso, non interessa a nessuno.
Infine, e soprattutto, il marketing territoriale trasforma il territorio, la realtà stessa in una merce: non si vende più il singolo monumento, la singola spiaggia, ma tutto l’insieme, esperienze e abitanti compresi. Facciamo parte anche noi del pacchetto. Dall’alto dei sightseeing bus siamo tutti ricompresi nella categoria del pittoresco, anche quando non stiamo facendo nulla di particolarmente tipico, come può essere rientrare con le buste della spesa o portare il cane al parco. Non ce ne rendiamo conto, ma siamo costantemente in vendita, assieme alla città o alla campagna in cui siamo calati; siamo, anzi, un elemento irrinunciabile, che ha il compito di differenziare con la sua sola presenza fondali che si assomigliano sempre di più tra loro, e di rendere in tal modo indimenticabile la visita. Il marketing ci ha trasformato in un’orda di marchette inconsapevoli.

Fabrizio Federici

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #28

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Fabrizio Federici

Fabrizio Federici

Fabrizio Federici ha compiuto studi di storia dell’arte all’Università di Pisa e alla Scuola Normale Superiore, dove ha conseguito il diploma di perfezionamento discutendo una tesi sul collezionista seicentesco Francesco Gualdi. I suoi interessi comprendono temi di storia sociale dell’arte…

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