Ettore Scola, l’africano

È morto il 19 gennaio, Ettore Scola. Molti suoi film hanno segnato la storia del cinema italiano, da “C’eravamo tanto amati” a “Una giornata particolare”. Questo ricordo va però in maniera intimissima e affezionata a un film meno conosciuto, eppure memorabile. Forse meno apprezzato dalla critica, ma indimenticabile per il pubblico.

UN FILM DIMENTICATO
Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? è un film del 1968, con quell’abitudine di una volta, iniziata proprio da Ettore Scola (Trevico, 1931 – Nomentano, 2016), a nominare le pellicole con titoli lunghissimi per lo spazio di una locandina. Una pellicola con Alberto Sordi, nel ruolo del ricco ma annoiato editore Fausto Di Salvio, e con l’attore francese Bernard Blier, che interpreta il ragioniere marchigiano Ubaldo Palmarini. Entrambi hanno lasciato Roma alla ricerca spasmodica e ricca di peripezie del cognato del primo disperso, Titino, Oreste Sabatini, Nino Manfredi.
Ho visto questo film per la prima volta intorno al 2003. In quel periodo la mia famiglia viveva già da diversi anni in Africa e ricordo che pensai, tra le risate fino alle lacrime, che quello che stavo guardando era il miglior film mai visto sul “Continente Nero”. Sicuramente il migliore in assoluto a raccontare due italiani in Africa. Ciò che è straordinario, infatti, di Riusciranno i nostri eroi, ma anche di molti altri film dello Scola “grottesco” – da La terrazza a Brutti, sporchi e cattivi, fino a Dramma della gelosia. Tutti i particolari in cronaca e ad alcuni episodi de I nuovi mostri –, è la rappresentazione, il “bozzetto” diremmo con gergo mutuato dall’arte, dei tipi umani. Mai scontati, mai rispondenti a categorie prestabilite, dove la componente intima, anche quella più meschina e inconfessabile, emerge prepotente nella grandezza della vita, come solo il cinema nostrano sapeva (e non sa più) fare.


ITALIANI IN AFRICA
Quante volte ho visto in Africa turisti, non solo italiani, abbigliati come l’editore Di Salvio come raffazzonati esploratori, un po’ Hemingway, un po’ Uomo del Monte della pubblicità Anni Ottanta, essere oggetto del silenzioso e sorridente scherno dei locali; quanti Oreste Sabatini, dal passato dubbio e complicato, dall’animo tortuoso e innamorato dell’avventura, sono lì fuggiti davvero alla ricerca di una nuova vita, lontana dalle costrizioni sociali dell’Occidente borghese del boom e, successivamente, delle contestazioni. Quante missioni religiose disperse nel nulla, abitate da sacerdoti poliglotti, quanti Pedro Tomeo, personaggi misteriosi partoriti dalla colonizzazione precedente che parlano un italiano con accento sorprendentemente dialettale imparato da “Cammarata Siciliano”. E ciò che rende il film grande è che nessuno è mai macchietta, come sarebbe oggi con quel desiderio fastidiosamente malizioso e ammiccante che “chiama la risata a comando”.
Questi personaggi esistono veramente, io li ho incontrati. Solo hanno nomi e storie diverse. Sono lì, nell’iperuranio della fantasia di Scola (e degli immancabili sceneggiatori Age & Scarpelli, Agenore Incrocci e Furio Scarpelli), nei viaggi che hanno sicuramente fatto prima e durante il concepimento della pellicola. Senza dimenticare il rapporto con la grande letteratura e la storia. D’altra parte, lo stesso Scola commentava: “L’ispirazione è venuta da letture giovanili di Salgari, Verne, Conrad. E siccome erano tempi ricchi per il cinema, si facevano i sopralluoghi in base al soggetto, poi si scriveva la sceneggiatura, così ho girato il continente africano dal Kenya al Sud Africa, al Ciad. In Angola ho trovato quello che cercavo: un ambiente in evoluzione. La colonizzazione portoghese volgeva al tramonto e conviveva con la guerriglia, l’indipendenza era ancora lontana. Nel modo di vivere della gente c’era una sorta di sospensione, di attesa. Luanda era moderna e poco lontano vivevano tribù selvagge come i Mukubu, che abbiamo coinvolto nel film. Questa popolazione non aveva mai visto camion e automobili, quando abbiamo trasportato la troupe con un pullman erano terrorizzati, urlavano, era il loro primo viaggio. In Angola c’erano distanze di secoli a pochi chilometri.

Ettore Scola, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968)

Ettore Scola, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968)

ETTORE SCOLA E L’AFRICA
Il rapporto tra Scola e l’Africa non finisce con Riusciranno i nostri eroi. Non tutti sanno, infatti, che nell’ultimo decennio della sua vita il regista è stato presidente onorario della Fondazione Cinemovel, un progetto bellissimo che fa viaggiare il cinema come strumento di conoscenza e di sensibilizzazione, su una carovana mobile che nel corso degli anni, grazie alla passione per l’Africa e per il cinema di Nello Ferrieri e Elisabetta Antognoni, ha tra gli altri importanti progetti portato l’immagine in movimento in Mozambico, Senegal e altri territori del continente, credendo nell’importanza delle storie nella crescita e nello sviluppo culturale e civile delle comunità. Ed era bello quando il cinema italiano sapeva diventare realtà e fondersi con la società, come in questo caso, o trarre dalle nostre piccole storie del quotidiano delle narrazioni più ampie. Quando sul grande schermo c’era posto (anche) per facce eterne e persone diverse da designer, giornaliste, esperti di marketing quarantenni in crisi di nervi, di coppia e di mezz’età, con il problema del rapporto con la mamma tutto ancora da affrontare.

Santa Nastro

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Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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