Viaggio a Taranto, fra memoria, vita e incuria

Viaggio a Taranto, fra memoria, vita e incuria

È facile immaginare qui un Sud Italia Anni Cinquanta e Sessanta, il boom economico. T’nim u’ mar, felicità arcaica, preindustriale (ancora per poco). Per Pasolini, che visitò la città nel luglio 1959, nell’ambito della sua estate on the road lungo le coste dell’Italia da Ventimiglia a Trieste, Taranto era “un gigantesco diamante in frantumi”: “Una città perfetta. Viverci è come vivere nell’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta. Qui Taranto nuova, là, gremita, Taranto vecchia, intorno i due mari, e i lungomari” (Pier Paolo Pasolini, La lunga strada di sabbia, Guanda 2017).
Nella cattedrale di San Cataldo, sul pavimento i frammenti del mosaico centrale (1160) realizzato da Petroius rappresentano la leggenda del volo di Alessandro Magno. Un viaggio immaginario, in cui Alessandro ascende al cielo su un velivolo (un trono, un cesto o un paniere nella tradizione occidentale; un cocchio o una biga in quella alessandrina) trainato da due grifoni. Secondo alcuni, questa narrazione visiva è un’allegoria della superbia, un’ammonizione; secondo altri – come lo studioso Victor Schmidt – rappresenta invece la salvezza dell’anima e l’aspirazione dell’uomo al Paradiso: sarebbe dunque un’allegoria della forza.
Il mare di Taranto di fronte al cavalcavia, all’ingresso della città, dove c’è la chiesetta di Santa Maria di Costantinopoli, “quella spiaggia una volta silente e melanconica campagna infestata di pirati” (Mons. Giuseppe Blandamura, 1866-1957).

Antonio Ottomanelli, Untitled Panorama, Taranto, 2020–in progress. Courtesy l’autore

Antonio Ottomanelli, Untitled Panorama, Taranto, 2020–in progress. Courtesy l’autore

ALLA SCOPERTA DI TARANTO

Via Duomo: Antonio Mariano, maggio 2017. Il suo “negozio”; musica a palla di Little Tony e di Elvis Presley; racconto di Antonio su Malpensa 1964: incontro magico con Elvis.
Con Alessandro Bulgini – che in questi anni mi ha fatto (ri)scoprire la città nei suoi angoli più insospettati – e con sua moglie Ginevra Pucci entriamo nel negozio (o laboratorio, o bottega, o antro: o installazione) di Antonio Mariano – un incredibile spazio, con dietro un altro spazio e un altro ancora, pieno di quadri con marine e di modelli meravigliosi di navi militari seicentesche e moderne – a volume altissimo una canzone di Little Tony (Quando vedrai la mia ragazza) ci avvolge e satura in modo piacevole l’ambiente – i CD accanto allo stereo sono tutti di Little Tony e di Elvis Presley e dei Platters. Mentre siamo nella seconda sala, da soli, Antonio mi racconta un aneddoto, un frammento prezioso e del tutto inaspettato della sua vita – Aeroporto di Malpensa, 1964. Antonio a diciassette anni è scappato di casa e ha raggiunto in treno Milano da Taranto – si trova all’aeroporto non si sa come, non si sa perché, intravvede una piccola folla – al centro c’è lui, il Re, Elvis – il piccolo Antonio si intrufola fino a raggiungere il cantante, circonfuso di bellezza sovrannaturale (effetto fluo) – in questo incontro magico i due hanno qualche difficoltà a intendersi, proprio a livello linguistico, ma con l’aiuto dell’interprete in qualche modo ce la fanno e il succo del breve scambio è questo qui:
– Elvis, sono il tuo più grande fan!
– Eh, come vedi ne ho parecchi… sono milioni.
– Ma io ti sarò fedele per sempre.
– Beh, allora forse tu sei il più grande di tutti.
E poi, non si sa se con le parole o piuttosto con il solo sguardo (gli occhi del Re del Rock’n’Roll, allora 28enne: Elvis the Pelvis, il Nemico Pubblico, l’Inno di Guerra, il Fulmine di Memphis):
– In effetti, mi ricordi me stesso quando ero ragazzo…
Taranto è la macchia indecifrabile, indefinibile sulla cravatta azzurra di Antonio, vestito a festa per San Cataldo, patrono della città.
Taranto è l’amico di Antonio, che se ne esce con la battuta dell’anno: “Ma questa è… la macchia mediterranea!”.
Taranto è il modo in cui i palazzi dell’Isola si scrostano, si erodono e permangono – il loro essere al tempo stesso abbandonati e abitatissimi, reali e impossibili, confine e centro di ogni presente – un’erosione che è il risultato di una stratificazione storica e culturale quasi inconcepibile, prolungata e ipercompressa, in cui memoria oblio cura incuria si accavallano e si sovrappongono.

Christian Caliandro

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #65

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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