Il boom italiano nel settore della produzione di rovine ha il suo apice a L’Aquila; rovine non certo prodotte artificialmente, ma che solo grazie alla premura umana sono giunte intatte fino a noi. Dovute in toto all’uomo, e anzi a certi ben precisi uomini, sono invece altre rovine, a quelle aquilane intimamente legate: le lussuose strutture approntate dalla cricca (per soli quattro o cinquecento milioni) alla Maddalena, in vista del G8 del 2009 trasferito all’Aquila all’ultimo momento.
Rovine nate praticamente come tali, poiché non hanno mai assolto nessun altra funzione; nate come conseguenza della decisione di trasferire il consesso dei potenti tra altre rovine; frutto indiretto di un terremoto che, in maniera inedita, ha provocato macerie non solo nell’area che ha colpito, ma anche a molti chilometri di distanza.

Ora le bianche architetture se ne stanno lì nel vento e nel silenzio, circondate dal mare; senza clamore la natura se le riprende, rompendo vetri e macchiando di ruggine il loro candore già immacolato. L’ex arsenale della Maddalena può così andare ad aggiungersi alla lunga lista di rovine sarde, che si apre coi nuraghi. E può soprattutto rappresentare, nel suo contrasto tra lusso e decadenza, un monumento perfetto all’Italia a cavallo tra due millenni; anzi, pensando al G8, un monumento al ruolo sempre più marginale che il Paese è venuto a ricoprire sullo scacchiere mondiale, e alle imbarazzanti performance estere del suo capo, sempre pronto tuttavia ad atteggiarsi a mago della diplomazia.
E siamo a una manciata di chilometri da quella Caprera che fu l’ultima dimora dell’Eroe dei due mondi, Giuseppe Garibaldi.
Fabrizio Federici
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #16
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