“Il mio lavoro in Polonia è iniziato con il progetto Podwórka, nel 2009. Durante le riprese ho incontrato una giovane ragazza di nome Milena Slowinska, ed è nata un’amicizia. Lei aveva nove anni all’epoca…”. A raccontare – in un’intervista rilasciata nelle scorse settimane – la sua esperienza nel paese nordeuropeo è l’artista americana Sharon Lockhart, cinquantaduenne da sempre attenda alle istanze sociali, un impegno che interpreta attraverso la fotografie a la videoarte: con una robusta carriera, testimoniata dal lavoro con gallerie di prestigio come Gladstone o Blum & Poe, ma con un’inesauribile esigenza didattica, sfociata nell’insegnamento prima alla Roski School of Fine Arts dell’University of Southern California, poi al California Institute for the Arts. Perché se ne parla ora? Perché quella carriera ora tocca un nuovo punto nodale con l’annuncio della scelta della Lockhart per il padiglione nazionale alla Biennale Arte di Venezia 2017. Gli Stati Uniti quindi sciolgono le riserve? No, visto che l’artista californiana sarà sì presente ai Giardini, ma come rappresentante nazionale di quella Polonia che citava nell’intervista.
TANTE VOLTE LA BIENNALE HA INCROCIATE LE NAZIONALITÀ
Un trend, questo di scegliere per il proprio padiglione un artista “straniero”, che negli ultimi anni si sta riproponendo, prova che la trasversalità e l’abbattimento delle barriere nazionali trova nella Biennale un terreno accogliente: l’aveva sperimentato la Germania nel 2009, invitando l’inglese Liam Gillick, poi ancora la Germania nel 2013, con la collettiva transnazionale animata dal cinese Ai Weiwei, dall’indiana Dayanita Singh, dal sudafricano Santu Mofokeng e dal franco-tedesco Romuald Karmakar, mentre la Francia apriva i suoi spazi all’albanese Anri Sala. Sharon Lockhart sancirà così il suo impegno quasi decennale che l’ha fatta innamorare delle terre polacche: presentando – a cura di Barbara Piwowarska – il progetto Little Review, ispirato alla storia di Mały Przegląd, un pionieristico inserto del quotidiano Nasz Przegląd uscito fra il 1926 e il 1939, scritto da bambini e giovani e a loro rivolto. Un’idea che vuole anche essere un omaggio a Janusz Korczak, un educatore e pediatra ebreo-polacco, autore di libri per bambini, che trascorse molti anni lavorando come direttore di un orfanotrofio a Varsavia prima di essere inviato al campo di sterminio di Treblinka nel 1942. Little Review prevede la realizzazione di un film con giovani studentesse a contatto con centri socioterapici polacchi e una serie fotografica che ripercorre la storia della rivista.
– Massimo Mattioli
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