“Nei musei solitamente vengono usati allestimenti del tutto neutri, ma penso che questo non avrebbe dato nessuna soddisfazione. Soprattutto in questa mostra, che è completamente diversa dalle altre”. Così parlò Kengo Kuma (nel video una sua breve intervista), archistar che firma l’allestimento di quella che, per Milano, passa come mostra dell’anno. E le immagini confermano la sua tesi: impossibile limitare Vincent Van Gogh a un contesto espositivo astratto, pulito, in stile white cube; impossibile non tenere conto del personaggio, dell’estro, del tormento, della passionalità selvaggia. E dunque via libera, in una intelligente convergenza con lo spirito della mostra che approda nelle sale di Palazzo Reale, all’empatia tra l’uomo e la natura: natura terragna, tutt’altro che idilliaca; semmai sofferta, dolorosa e per questo impietosa.
Una sessantina le opere in arrivo dal Van Gogh Museum di Amsterdam, dal Kröller-Müller di Otterlo e da una serie di ricche collezioni pubbliche e private (su tutte quella del messicano Carlos Slim), impaginate in un ambiente contrassegnato da pannelli ondulati, evocazione delle sensuali e nervose pennellate dell’artista; rimando ai suoi campi, ai solchi tracciati dal vomere tra le zolle, ma anche ai segni bluastri tracciati dalle correnti nei cieli del Brabante. Con il pavimento rivestito di stuoie a trama grezza, nella restituzione di un effetto cromatico – ma anche tattile – di raffinata crudezza.
Il concept dell’esposizione, così come ha voluto la curatrice Kathleen Adler, si concentra sul Van Gogh contadino, ammiccando al tema portante di Expo 2015: con una connessione dunque forte ma antiretorica e non stucchevole al discorso del cibo come elemento forte nella poetica dell’artista.
– Francesco Sala