Basel Updates: Unlimited è sempre un’arena interessante, anche se… Top five e considerazioni a margine sulla sezione monumentale di Art Basel

Partiamo dalle considerazioni negative: l’area espositiva della main fair Art Basel, pur con i recenti interventi di Herzog & de Meuron, resta menomata a causa dei soffitti particolarmente bassi, soprattutto al secondo piano. Ragion per cui le opere di una certa dimensione sono difficilmente collocabili nell’area “standard” della fiera. Anche per questo era nata la […]

Partiamo dalle considerazioni negative: l’area espositiva della main fair Art Basel, pur con i recenti interventi di Herzog & de Meuron, resta menomata a causa dei soffitti particolarmente bassi, soprattutto al secondo piano. Ragion per cui le opere di una certa dimensione sono difficilmente collocabili nell’area “standard” della fiera. Anche per questo era nata la sezione Unlimited, con opere monumentali e destinate soprattutto all’acquisto da parte di musei e big collectors. E però con gli anni questa situazione – magari anche a causa della crisi – si è andata snaturando, arrivando quest’anno a un apice che difficilmente si potrà superare. In sintesi, l’immensa area dedicata ad Unlimited è stata plurifrazionata a suon di copioso cartongesso: così che le opere veramente monumentali risentono della mancanza di respiro di cui avrebbero necessità, mentre altre – di dimensioni assolutamente “normali” – trovano qui sede, mentre in fiere come Frieze e Fiac stanno tranquillamente all’interno degli stand. Insomma, Unlimited sembra aver perso almeno in parte la sua ragion d’essere, o almeno la giustificazione a definirsi tale.
Detto tutto questo, ecco la nostra top five, con il consueto inderogabile giudizio della redazione. Cinque lavori che premiamo senza stilare un ordine tra di essi, e che quindi vi proponiamo in ordine rigorosamente alfabetico. A partire quindi da Carl Andre, con uno dei suoi classici pavimenti a quadrelle metalliche, che però attraversa con determinazione e insouciance la diagonale dell’interno hangar, per disfarsi soltanto dopo decine di metri. Altro gigante d’una certa età è Giuseppe Penone, che la Galleria Tucci Russo porta a Basilea con un lavoro qui presentato per la terza volta: un monumentale albero svuotato, percorso dalla propria linfa; ma d’una lunghezza infinita, pulsante di vita al di là dell’intervento artistico, in una poeticissima e ipnotica celebrazione della vita, scevra però di ogni trito stereotipo romantico della natura selvaggia: qui la mano dell’uomo c’è, e non fatalmente, ma con delicatezza ed empatia. Sterling Ruby, da parte sua, porta in Svizzera il suo tripudio di oggetti molli e colorati: un ambiente che è gaudio senza dover stringere patti con stanche derivazioni Pop; peccato per l’allestimento, di cui avete letto nelle righe precedenti: lui è uno dei più penalizzati, con una installazione che avrebbe bisogno di grande respiro ed è invece ingabbiata da pareti che la soffocano.
Pareti che, facendo di necessità virtù, riescono invece forse a valorizzare ancor più l’operazione di Pascale Martine Tayou (ancora una galleria italiana ci mette lo zampino: la Continua), con un assemblage ipercompresso ma rigoroso, odoroso d’Africa senza cedere alla tentazione dell’autoesotismo, fra pile di cassette in plastica per frutta&verdura, video, sculture, feticci che sono più Europa che Africa. Chiude, con uno strappo alla regola dell’ordine alfabetico, l’operazione pittorico-concettuale di Markus Schinwald: la base sono alcuni dipinti, fra l’altro di notevole fattura; ma montati su pareti frazionate e semoventi, che un addetta instancabilmente movimenta, fa ruotare sul proprio asse, sposta e risposta con gesti e movenze misurate; se qualcuno s’azzarda ancora a dire che la pittura è morta, o che si tratta di pittura 2.0, ecco allora…

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