Casablanca: il classico che non tramonta torna al cinema

Torna nelle sale dal 26 al 28 giugno il capolavoro di Michael Curtiz, nella rassegna che celebra i 100 anni di Warner Bros. Il trailer

Ci sono poche certezze al mondo. Fra queste è che la Warner Bros i film li sa fare, li saprà sempre fare e soprattutto li ha sempre saputi fare. D’altronde, quando metti insieme grandi talenti è difficile che il risultato deluda!

Ma nel film cult Casablanca c’è molto di più: c’è il più imperscrutabile divo hollywoodiano dell’epoca, una musa svedese, un attore teatrale tutto d’un pezzo e un regista ungherese destinato a fare la storia del cinema, in un dramma romantico che aveva già spopolato a teatro (Everybody Comes to Rick’s di Murray Burnett e Joan Alison), insieme alla fotografia malinconica di Edeson, avvolti nelle note di uno dei pezzi jazz più famosi di tutti i tempi – qui nella versione di Dooley Wilson diventata celebre – il tutto condito da battute indimenticabili (da “Suonala ancora, Sam” a “Avremo sempre Parigi”).

CASABLANCA HA SEGNATO L’ETÀ DELL’ORO DI HOLLYWOOD

Ma Casablanca non è solo un’ottima strategia o una ricetta riuscita, è il prototipo per eccellenza della grandezza dell’età dell’oro del cinema di Hollywood, e ancora oltre. È quel capolavoro intramontabile che si è depositato nel cuore di ogni spettatore, si è sedimentato nella (in)conscia cinefilia collettiva – citato e ricitato in opere a loro volta diventate cult (da Provaci Ancora, Sam a Harry Ti Presento Sally) – testimone di un cinema che non tramonterà mai: quello della semplicità.

Lasciando perdere il budget e soffermandosi infatti sul nocciolo, l’opera racconta una semplice storia di amore e di guerra, topoi che non smetteranno mai di ricorrere nella narrazione umana dai tempi dei poemi omerici, ponendola di fronte ad una serie di bivi morali che nella storia dei sapiens si è sempre stati chiamati ad affrontare. Amore vs guerra, sacrificio vs egoismo, collettività vs desideri personali, sfera pubblica vs privata: questa la dimensione dicotomica di un film girato e ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale.

EROI O NON EROI?

È nel Marocco francese del 1941, controllato dal governo filonazista di Vichy, che Rick e Ilsa si incontrano, dopo che lei lo ha abbandonato a Parigi proprio durante l’invasione tedesca per aver scoperto che il marito, creduto morto in un campo di concentramento, è invece ancora in vita. Statunitense espatriato dalla scorza dura e ora disilluso proprietario del famoso Rick’s Café di Casablanca che dà da bere ad ogni nazionalità, lui, moglie di un eroe della resistenza cecoslovacca, lei, i due non potrebbero sembrare più diversi. Già dalle loro presentazioni.

Differita, posticipata, sudata e inseguita è quella del personaggio reso celebre da Humphrey Bogart – introdotto sottoforma di commenti di terzi, di scritte, insegne e firme, di nomi dunque astratti prima ancora che nella “carne e ossa” della pellicola. Prima una mano, poi la sigaretta e gli scacchi, infine quel viso che spezza lo schermo per la sua inconfondibile cupezza, che si sa ben presto venire da una ferita romantica: “Vi dirò, caro Rick, che sono sicuro che sotto quella scorza cinica, siete in fondo un sentimentale”. Un aspetto ambivalente confermato nell’arco della narrazione attraverso dettagli in cui – a scapito di quanto lui stesso voglia far credere – Rick si dimostra dalla parte del bene e contro i soprusi di ogni regime. Ma non solo il bene politico. Basta uno sguardo per capirlo, da quando le note di As Time Goes By suonata da Sam riempiono la sala fumosa, così come era stato richiesto da lei, Ilsa.

Poco prima nel locale era infatti improvvisamente entrata una Ingrid Bergman che con il suo carisma nordico avrebbe rubato la scena in mezzo secondo, per non restituirla mai più. Diretta, incantevole e spiazzante è dunque la presentazione di lei, che subito scaglia lui in quel passato parigino di amore, intravedibile dal pubblico solo a momenti e sottoforma di flashback.

IL MAROCCO COME NON LO ABBIAMO MAI VISTO

In un Marocco crocevia di popoli e genti, quelle che fuggono dall’avanzata nazista e aspettano (“e aspettano, e aspettano…”) di imbarcarsi per Lisbona, da qui alla volta dell’America; in una città fatta di contrabbando, mercato nero, false lettere di transito, omicidi, arresti ma anche flirt, bevute e poker; in una zona che è un poliedro di visioni politiche e prese di posizione che non sono solo bianche o nere, ma anche grigie (emblematico in questo senso il personaggio interpretato da Claude Reins) – tra chi combatte segretamente, chi collabora, chi pensa a salvarsi e chi pensa a salvare gli altri; in una scacchiera dunque sfumata, pasticciata e confusa, i due protagonisti si incontrano di nuovo.

Il teatro è quel bar notturno che è un po’ il simbolo di tutto ciò: il Rick’s Café dove all’Horst Wessel Lied – inno nazionale del Terzo Reich – si contrappone invece la Marsigliese, cantata con una fierezza commossa che riaccende subito la voglia di indipendenza. Così come presto si riaccende la miccia della passione mai sopita di Rick Blaine e della Signora Laszlo, destinata a concludersi in un aeroporto nebbioso. Perché ha vinto l’amore per l’altro, per il prossimo, per lo sconosciuto che è in realtà la collettività, il bene più grande: quello di tutti. Così Rick ricomincerà (o continuerà) la sua lotta silenziosa, forse con il supporto del Capitano Renault (“Louis, credo che questo sia l’inizio di una bella amicizia”), e Isla volerà alla volta degli Stati Uniti, a supportare il marito nelle sue imprese.

UN FILM EPICO, IERI E OGGI

Ecco che il film segna il trionfo della generosità, dell’onore nel senso più alto e nobile del termine, del coraggio di combattere per la libertà che vince su ogni altra pulsione, anche sulla più viscerale. Per questo è un capolavoro di epicità, di sentimento, di bellezza, che non smetterà di farci battere il cuore, di commuoverci, e forse di insegnarci qualcosa. Anche nell’epoca dell’individualismo più spietato, a ricordarci che alla fin fine, i piccoli problemi del singolo – che ad ognuno sembrano totalizzanti – invece “contano molto poco in questo mondo pazzo”: c’è sempre qualcosa di più importante di noi.

 
Bianca Montanaro

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Bianca Montanaro

Bianca Montanaro

Bianca Montanaro (Torino, 1996) Scrittrice creativa e critica cinematografica, ha una triennale in Storia e una Magistrale in Culture Moderne Comparate presso l’Università di Torino. Studia Scrittura Creativa presso la IULM di Milano e perfeziona gli studi di Sceneggiatura a…

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