Giovanni Rizzoli (Venezia, 1963) dà simultaneamente una valenza astratta e “realistica” alle sue tele, foderate di seta bianca o nera e penetrate da una flebo in un Tempo specifico, riportato sul retro della tela. L’azione e il segno, memori della lezione spazialista, nell’opera di Rizzoli si caricano di una componente autobiografica: sensibile al tema etico dell’alimentazione forzata, Rizzoli esorcizza lo spettro della morte attraverso l’élan vital erotico. Per un uomo che ha amato molte donne, ogni tela di cui si impregna il liquido cromatico, oltre a essere unica, racconta la storia di un’avventura, dal corteggiamento alla conquista. Lo strumento medico, così essenziale e asettico, diventa metafora della compresenza di eros e thanatos: l’idea dell’amore convive con quella della morte.
Il linguaggio post-human è reso più crudo nell’opera La Dormeuse con la flebo (1991) che conclude il percorso espositivo: la citazione dell’opera di Courbet, autore caposaldo del Realismo ottocentesco, dichiara, prima della “farmacia” di Damien Hirst, l’illusione dell’ideale modernista che tutti possano essere curati e salvati. All’eternità dell’opera corrisponde la temporaneità della vita a cui siamo tutti, in ogni caso, destinati.
Deianira Amico
Milano // fino al 28 febbraio 2013
Giovanni Rizzoli
FEDERICO LUGER
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